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LA COLLANA PHI DELL’ARCOLAIO PRESENTA FRANCESCO SCARABICCHI E IL SUO PROGETTO POETICO, “VIA CRUCIS”.

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Il penultimo libro pubblicato in questo 2018 dalla nostra Arcolaio è un libro esile – una plaquette – che sorprende per la sua bellezza espressiva. Si tratta di “Via crucis“, una breve raccolta di frammenti di Francesco Scarabicchi che sarebbe dovuta uscire nell’ormai lontano 1992, ma che, per ragioni editoriali, (la chiusura della casa editrice di allora) rimase nei cassetti dell’autore marchigiano. Il progetto, tra le altre cose, era introdotto da una prefazione eccellente di Vincenzo Consolo. L’edizione Arcolaio è quindi la prima uscita in assoluto. Il volumetto si chiude con una prefazione di uno dei due curatori di collana, Diego Conticello. La lettura di queste poesie sarà per il lettore un bagno tanto breve, quanto intenso e sacrale: un vera occasione di assoluta esperienza poetica.

Buona navigazione!

 

Praefatio

Le vele, le vele, le guardavo

senza mai poter prendere

il mare per andarmene.

I

La condanna

Perenne eternità delle parole

da cui non è concesso mai più uscire:

Ė questa la condanna

che da quel giorno pesa,

non le voci perdute del sinedrio,

Pilato, il crucifige.

 

La madre

Dov’era il suo respiro

durante la salita?

Perché non l’ho sentito

seguirmi, nominarmi?

 

La veronica

Di lei non conoscevo neanche il nome

quando si avvicinò. Chi sa chi era

colei che mi veniva incontro muta

nella pietà del gesto

e con in mano un panno?

 

La crocifissione

Sul Golgota si compiono i miei anni. Sul legno.

Quante volte ho pensato

a ciò che non ha scritto Levi l’esattore,

al me muto che vive il suo morire

e sente, del mondo, il farsi nulla.

 

FILIPPO DAVOLI HA SCRITTO DUE NOTE SU DUE LIBRI ARCOLAIO: “DEVIATI” DI MATTEO ZATTONI E “FAVOLE PER UN MONDO POSSIBILE” DI MICHELE ZIZZARI

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DALLA RUBRICA PERIODICA “FILIPPILOLE

DUE AZZECATE NOTE DI FILIPPO DAVOLI SU DUE LIBRI L’ARCOLAIO:

FAVOLE DA UN MONDO POSSIBILE” DI MICHELE ZIZZARI

DEVIATI” DI MATTEO ZATTONI

 

 

                    

Anziché Grun (che tanto è come Beautiful: ti torna la voglia di leggerlo tra ventidue anni e c’è pronto il suo ennesimo libro nuovo! No: Camilleri no. Manco se uno mi punta una pistola: ero abituato a Sciascia. Camilleri proprio non mi va né su né giù. DA NON COMPRARE.), sovviene alla mia buona voglia di leggere qualcosa di carino l’amico Gianfranco Fabbri che, dal suo Arcolaio, fa uscire un filato pregiato nel libro “Favole per un mondo possibile”, del campano Michele Zizzari.

Bravo, Zizzari: ha scritto un libro di splendide favole, adatte per i piccini e per i grandi, in cui i protagonisti sono barche, treni; vivono in città dal nome che è tutto un programma (tipo “Frettonia”… brrrr); e hanno l’ambizione – che è propria del sogno, ma anche della speranza – di sovvertire la disumanità del nostro mondo contemporaneo. DA REGALARE A GRUN E A CAMILLERI.

Sempre dall’Arcolaio ricevo il nuovo libro di Matteo Zattoni, giovane poeta alla sua prima prova narrativa. E per cimentarsi, dopo i suoi tre libri di poesia, con il respiro lungo della prosa, ha scelto un campo attualmente molto in voga: la devianza. I suoi “Deviati” provengono dalla bulimia, dall’anoressia, dal bullismo, dalla nevrosi e dalla psicosi, dalla crisi di identità e quant’altro. Zizzari rovescia il mondo e Zattoni lo riporta coi piedi per terra.

RITORNA ATTIVA LA COLLANA “QUADERNI & IMMAGINI” DIRETTA DA MAURIZIO BACCHILEGA. LA RINFRESCA MASSIMO REPETTI CON IL SUO “QUASI HAIKU”.

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Ecco il ritorno della collana “Quaderni & Immagini“.

Ci pensa Massimo Repetti con il suo “Quasi haiku“, un progetto aggraziato di poesia flebile, breve come i famosi componimenti di marca giapponese. Anche se un po’ irrispettosi, rispetto alla forma canonica, i componimenti del nostro autore lasciano in bocca un gusto dolce e suggestivo. Repetti spiegherà in una nota che ripetiamo qui sotto gli elementi di discordanza dei suo testi da quelli giapponesi.

Seguiranno poi alcuni esempi che potranno fornire al lettore motivi di chiarimento.

Buona lettura!

 

Quasi Haiku perché si discostano dalla struttura giapponese tradizionale, in uso dal XVII secolo e ancora praticata ai giorni nostri, prevalentemente per due aspetti:

  • La presenza di un titolo
  • Il mancato rispetto della stesura in 17 sillabe, pur mantenendo la struttura entro tre brevi versi.

  

Degli Haiku rimane il racchiudere sempre, come nella loro veste originale, un aspetto legato alla natura, alle stagioni, e, nel contempo, un aspetto legato ad una emozione, ad uno stato d’animo“.

 

Testi:

Diapason

     

Cielo calmo, pioggia leggera.

Ogni foglia tintinna note diverse,

colte prima che sia fango.

 

Ammirazione

 

 Cavaliere senza terra.

Vincente, minuscolo Don Chisciotte.

È il papavero nato nell’asfalto.

 

La mia vita

           

Lungo il fiume,

serenamente,

vado incontro ad un vecchio.

 

Controluce

             

Al nòn, piantè in tal prè

A caver radéc,

al pariva na salzéra.

 

Spianata di Gerusalemme

 

Placenta esausta dell’umanità,

goditi quest’attimo

di sole[1].

[1] Terra Santa, ottobre 2012. In una visita, tranquilla e serena, dopo dei disordini, prima di un attentato.

 

Itaca

 

 Irraggiungibile meta,

Moby Dick di terra,

mi affascini, all’orizzonte.

 

 

 

 

 

 

 

SEBASTIANO AGLIECO RECENSISCE “VARIAZIONI NEL CLIMA” DI CAROLINA CARLONE

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Carolina Carlone, VARIAZIONI NEL CLIMA, L’arcolaio 2018

 

Il libro di Carolina Carlone è strutturato per microsezioni autonome, declinazioni intorno a un tema dato che tuttavia concorrono, simili all’ossatura di uno scheletro, a definire il progetto.

Questo progetto è chiaramente indicato nel titolo del libro, comprensibile alla lettura ma con un sottile scarto di significato da intendere come presenza, nella sfera di Gea, dell’Umano, di una carica propulsiva e distruttiva delle azioni.

“Chi ha qualche utile consiglio, e vuole offrirlo alla città?”. E’ una citazione di Euripide, ed è chiaro come l’autrice sia interessata a indicare l’urgenza della verità, la verità che salva, piuttosto che la verità ontologica; la verità come medicamenta per la città ferita, contro la peste, il male incurabile della guerra, delle devastazioni, degli sconvolgimenti epocali.

Papaveri, s’intitola la prima sezione del libro, forse per suggerire il rosso dei papaveri come “sangue // che già ci tocca i piedi / e ci corre intorno”, p.23; sezione tra le più accorate del libro, in cui i paesaggi descritti sono di devastazione e rancore, di urgenza e rabbia.

 

Ore 13: presagi

 

Ancora un corpo

 

e una testa

 

riconsegna oggi il fiume

 

E ombre di fucili

la sabbia

 

Hanno già chiuso le porte

blindato gli avamposti

giurato vendetta e radar

ai molteplici infedeli

di questa Terra

 

Dicono che vi sia un traditore

che passa nella notte

tagliando gole

 

Per altri uno straniero

dal nome impronunciabile

 

che scuote il capo

come le orecchie

 

gli asini carichi di mosche

 

e cammina lungo la muraglia

 

che altri usa chiamare città

 

pag. 19

 

*

 

La città assediata sfiorisce della sua forma e la presenza dell’altro – nemico, fratello non riconosciuto, despota – è l’incarnazione, nella storia, di fatti che ci sovrastano come minacce, letteralmente dall’alto.

Il clima atmosferico, nella logica misteriosa di Gea, è una diversa maschera di un clima emotivamente scoppiato, come se i temporali, le siccità, i rivolgimenti, avvenissero dentro noi stessi. Invocare Dio, la presenza/assenza che accompagna le nostre esistenze, sembra essere la constatazione di un’avvenuta apocalissi nella quale abitiamo, senza la coscienza di essere già entrati in un nuovo medioevo, in un ridimensionamento delle forze e delle potenzialità.

Brucia. / Brucia, / Brucia. // La lingua ostaggio fra i denti. I suoni trovati a fatica mi sembrano solo un roco belato; un verso di capro. “, p. 25; “Che questo dio tanto invocato / ci accechi, dunque / Ci costringa a cercare, a mano di un altro”, p. 29; “Non c’è nulla / che tu possa tu possa testimoniare / tireranno pietre”, p. 32; “Il fuoco che verrà giudicherà ogni cosa e la comprenderà, (Eraclito)”.

Il fuoco, appunto, è il tema della seconda sezione, quindi di un’apocalissi – che i moderni chiamano distonia – al tempo presente (l’utilizzo del futuro è solo, forse, la speranza che questo avvenga, o non avvenga, veramente):

 

Un poco più forte

 

Vi volterete di scatto

antico sussulto

a un rumore

un poco più forte

 

Cadrà a terra il tablet

assieme al mojito

 

Perderete nelle tache

ogni telefonino

 

Senza più trono

porterete nella retina

l’orrore di un mondo

 

pag. 47

 

*

 

Si chiarisce sempre di più il progetto del libro: una chiara riflessione dall’alto di che cosa sia la terra, il pleistocene che abitiamo di una galassia vegetale (la terra) dove tutti i fenomeni sono interconnessi, soprattutto quelli psicologici; rete elettrica, o neuronale, di un sistema complesso in cui ogni creatura è custode di una possibilità di rinascita, di salvezza, o di distruzione. Sembra dirci, Carolina Carlone, che un nuovo tempo è incominciato, un presentimento che possono intuire solo i poeti e i libri di fantascienza:

 

Variazioni nel clima

 

Un vento fossile

scioglie il respiro

che ci tiene insieme

 

Percezioni nuove

variazioni nel clima

ossidazioni

  1. 70

 

*

 

Nelle foglie

 

Come antichi rettili

un meteorite ci colpirà

e dovremo sporgerci

farci attenti

scrutare dentro alle polveri

 

Forse

saremo premiati

con l’argento dei pioppi

che nelle foglie portano

impressa la rotta di Sirio

 

  1. 80

 

*

 

A terra

 

Forse toccherà alle nostre mani

accomodare il tempo e ricomporlo

 

come un giocattolo scaraventato a terra

 

pag. 84

 

*

 

Fra le schiere

 

Rivoluzione

sarà spogliarsi della divisa

abbandonare l’elmetto e I suoi canti

 

Stendersi a terra nudi

con scritto sulla fronte

un futuro di silenzio

 

E come foglie atterrate

abbracciarsi

 

fra le schiere degli umani

 

pag. 86

 

SEBASTIANO AGLIECO

FABIO MICHIELI RECENSISCE IL LIBRO “CHI MI ‘PARLA NON SA / CHE IO HO VISSUTO UN’ALTRA VITA. ANTONIA POZZI E LA ‘SINGOLARE GENERAZIONE'”, OPERA CURATA DA MATTEO M. VECCHIO E FABIO GUIDALI.

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dicembre 1938 – 3 dicembre 2018. Per Antonia Pozzi

 

Gli anniversari sono sempre ambivalenti: momenti di celebrazione capaci di trasformarsi in un passo falso, vittime di un tranello ben celato. Il fatto, però, che un volume di scritti dedicati ad Antonia Pozzi sia uscito a ridosso di un anniversario importante come gli ottant’anni dalla sua prematura e volontaria scomparsa è solo un evento che va accolto in modo assolutamente positivo. Nessun intento celebrativo; solo il desiderio di affrontare la giovane poeta in modo libero, autorevole, scientifico e scevro da letture stereotipate, dogmatiche, che da anni si ripetono raccontando una favola bella che, evidentemente, qualcuno ancora illude.

La novità forse più evidente di questo volume corposo (oltre 500 pagine), curato da Fabio Guidali e Matteo M. Vecchio, sta nello sguardo ampio e argomentato rivolto alla figura di Antonia Pozzi; sta nell’evocazione della «singolare generazione» cresciuta attorno alla figura del professore Antonio Banfi e soffocata dai tragici eventi storici che modificarono la fisionomia dell’Italia, culminando proprio nel 1938 con l’emanazione delle leggi razziali. Non che i legami tra Antonia Pozzi e la cerchia banfiana non fossero già stati in precedenza indagati, ma è la prima volta che in un volume intenzionalmente si danno il giusto rilievo e il degno riconoscimento alle possibili influenze esterne, agli apporti esterni, facendo dialogare tra di loro i singoli risultati delle indagini per trarne un quadro di insieme nuovo, nonché foriero di future esplorazioni (rapidamente penso ai due contributi di Davide Assael – La lezione di Giovanni Emanuele Barié nel percorso formativo di Antonia Pozzi, e Da Piero Martinetti ad Antonio Banfi. L’Università di Milano negli anni Trenta -; nonché l’affine contributo di Marcello Gisondi, Un giovane maestro: Antonio Banfi teoretico; oppure all’affresco ‘topografico’ di Francesca D’Alessandro, Occasioni di lettura. Vittorio Sereni e la topografia poetica del suo tempo; fino al ‘dittico’ di Matteo M. Vecchio, Notizia su Piera Badoni e Nella Berthier, che tratteggia un quadro di relazioni dirette e indirette con l’universo pozziano).

Ma si dà voce pure al lato negativo della cerchia banfiana, dalla quale in una certa misura Antonia si è sempre sentita esclusa, e che non le risparmierà delusioni cocenti, come il giudizio negativo sulla propria poesia espresso dal professor Banfi, e che porterà la giovane Antonia a ipotizzare la via del romanzo per dare corpo alla sua scrittura.

L’intenzione dei curatori è quella di sottrarre la vita e l’opera di Antonia Pozzi da quella dimensione attuale che l’ha resa un caso letterario, per riconsegnarle – vita e opera – alla «complessità del loro tempo», come viene detto nell’agile ed efficace introduzione, sottraendola da uno «svilimento, che trae origine proprio dal contesto di prima lettura e pubblicazione delle sue Parole»; e nel fare ciò, sia chiaro, non si disconosce la storia anche critica, bensì si parte proprio da questa per contestarne certi esiti (vedi il “non incolpevole” Vincenzo Errante) e, di contro, ribadire la centralità di altri (vedi l’ancora autorevole contributo di Eugenio Montale). Consegnare Antonia ad Antonia stessa, anche con l’aiuto degli strumenti della psicanalisi applicati alla lettura delle poesie, come avviene nel contributo firmato da Matteo De Simone, Sostare in riva alla vita. Note sulla poesia di Antonia Pozzi, al quale va riconosciuto il merito di mettere all’angolo parte della vulgata critica, quella parte per la quale è sembrato «essere difficile riconoscere, anche post mortem, ad Antonia la sua personale storia, costituita da malinconie e angosce ma anche da desideri e speranze.»

 

Sintomatico dell’atmosfera che si respira nel volume è il primo vero contributo, a firma di Fabio Guidali – Antifascismo cum figuris. Arte e politica nella Milano di Antonia Pozzi – nel quale si interroga proprio l’antifascismo sui generis della Pozzi in rapporto all’ambiente in cui si trovò a crescere, una delle molteplici “questioni aperte” mai realmente affrontate in precedenza; un’indagine condotta sia sui documenti sopravvissuti e perciò conservati della poeta, sia attraverso un inedito confronto con l’arte. Se di un vero e proprio antifascismo manifesto non si può parlare, per penuria di documenti, e forse anche per censura, visto che non si deve mai dimenticare l’azione nefasta del padre sugli scritti della figlia, il confronto con l’ambiente di origine e con quello della crescita intellettuale offrono a Guidali argomenti interessanti che mostrano come nella Pozzi il regime sia stato sulle prime accolto con una certa indifferenza, sulla scorta dell’adesione paterna, per poi essere implicitamente osteggiato nel non allinearsi al disegno intellettuale del regime, mostrando in ciò un atteggiamento più affine alla figura del professor Banfi. L’accostamento inoltre alla figura di Gabriele Mucchi, in verità mai frequentato direttamente da Antonia, ma sicuramente a lei non sconosciuto per frequentazioni comuni, permette a Guidali di parlare di «un’opposizione non aperta, non armata, silenziosa, ma corrosiva per le basi del regime, e, come per molti allievi di Banfi, culturale», dove è proprio «il tipo di cultura stessa apprezzata nella cerchia di Banfi e tra i sodali di Mucchi a essere implicitamente antifascista, perché per entrambi i gruppi, che parzialmente si sovrapponevano, l’arte e la cultura rappresentavano un approccio morale alla realtà.»

Inoltre è proprio questo silenzio di Antonia Pozzi sul regime a essere letto come «attenzione ad altro», ossia al problema estetico del rapporto tra arte e vita che si lega inevitabilmente a ogni questione etica, e in esse la salvaguardia stessa dell’esistenza. Insomma si spinge ulteriormente in avanti l’analisi della vita di Antonia Pozzi con lo Zeitgeist. Il limite, come ho già detto, di questa lettura sta proprio nella qualità dei documenti pozziani, che non permettono l’individuazione di netti giudizi, né tantomeno di piccoli indizi. Ma qui io mi spingo più in là di Guidali e, sulla scorta del dolore manifestato negli ultimi tempi, gli ultimi anni della propria esistenza dalla Pozzi, non nascondo che anche le ragioni della scelta estrema del suicidio vadano ricercate nel suo non sentirsi più parte del mondo in cui si ritrovava a vivere, e non per motivi individuali, personali, ma proprio più ampiamente universalmente storici: il mondo del 1938 non era più quel mondo osservato con dolce sofferenza nelle poesie degli anni precedenti. Certo il silenzio sull’esilio volontario dei fratelli Treves a causa delle leggi razziali è un silenzio che parla; ma potrebbe anche parlare dell’alterazione subita dalle carte pozziane, come il famoso testamento riscritto a memoria dal padre (sullo stato delle carte pozziane è incentrato il contributo di Elena Borsa, I testimoni manoscritti del lavoro poetico di Antonia Pozzi; contributo notevole perché, pur prendendo le mosse dalle note descrizioni di Onorina Dino, offre un’immagine più nitida nelle manomissioni post mortem, mettendo in discussione in alcuni casi l’autografia in precedenza data per certa).

 

© Fabio Michieli

 

Chi mi parla non sa | che io ho vissuto un’altra vita. Antonia Pozzi e la «singolare generazione», a cura di Fabio Guidali e Matteo M. Vecchio, L’arcolaio, 2018