E’ davvero con grande gioia che annuncio la pubblicazione dell’ultimo progetto in versi dell’amico Gian Ruggero Manzoni. Il titolo di questa raccolta è: “Nel profumo delle catacombe“. Vi rimando direttamente alla mia prefazione, che posto adesso qui sotto.
La redazione accoglie Manzoni nel catalogo Arcolaio e si augura, assieme a me, che nascano in futuro nuove avventure editoriali con Gian Ruggero!
(gf)
È per me un grande piacere presentare la nuova raccolta poetica dell’amico fraterno Gian Ruggero Manzoni. La nostra amicizia risale esattamente a quarant’anni fa, quando ci incontrammo per la prima volta, a Forlì, in occasione di una mostra d’arte. Eravamo reduci entrambi dall’esordio editoriale (lui con “Pesta duro e vai tànquilo”, edito da Feltrinelli, e io con due libricini di versi, “Di tutto un niente” e “I pantaloni del Po”). Ruggero stava portando avanti una sua idea su un manifesto da scrivere intorno ad un concetto di una scrittura emotiva, fatta di tematiche fibrillanti, ricca di carne e sangue. Il Visceralismo, appunto. L’idea mi colpì molto e accettai con entusiasmo di unirmi al gruppo che lui, in parte, aveva già formato. Eravamo così in quattro: noi due, Emanuele Gaudenzi e Giancarlo Tugnoli. Lavorammo per tutto il 1980 a casa di uno e dell’altro, realizzando incontri memoraboli. Nel gennaio dell’81 presentammo a Venezia il grande foglio azzurrino, scritto fitto fitto. Parteciparono all’evento molti artisti e amici di Lugo, che divisero con noi autori un fantastico banchetto a base di paste e caffè al Florian.
Con estrema emozione ritrovo nel manoscritto, ricevuto qualche tempo fa da Gian Ruggero, lo stesso magnetismo. Di colpo sono ripiombato nell’atmosfera resa dal manifesto. Il tempo, il corpo: la scrittura come conseguenza di forti scosse neurovegetative. Mi garba qui riprendere l’incipit del capitoletto intitolato “9. Il movimento verso l’andito del più infinito (il tempo ci dà il tempo)”. Eccolo: “Avvertita la variazione di vita, si ride attorno, essendo quella vita stata vissuta dalle competenze altrui. L’esistenza del plesso solare urla guardando le impossibili comprensioni.”
Sin dalle prime pagine del progetto qui pubblicato [Nel profumo delle catacombe] si parla del fattore ‘viscerale’. Si entra nelle profondità terrene visitate dall’autore nel corso della propria esistenza. Manzoni penetra nel ventre di Madre Terra con l’intento di ricercare i frutti di una gravidanza conclusa nel tempo. Le cavità sotterranee che il poeta individua sono colme di resti umani, di icone, oggetti di una remota vita domestica e mistica.
Mi viene spontaneo iniziare la mia riflessione sulla scelta dei due colori fondamentali: il bianco e il nero. Essi rappresentano, a mio avviso, i due ruoli dello Spirito. Il primo, il bianco, è quello che respinge tutte le altre “tinte” e rimane vuoto di ogni espressione, tanto da essere assimilato al senso della morte. Il secondo, invece, assorbe tutti i colori – li divora, li rivolta nei propri intestini, miscelandoli sapientemente nel fitto dell’esistenza, a dispetto del buio che emana. Tra queste due atmosfere – il chiaro vuoto del nulla e il nero della narrazione esistenziale – si agita la dinamica creativa del poeta:
Bianco e nero…
dobbiamo risvegliare in noi
la capacità di osservare i colori
quelle sfumature
attraverso il sentimento
e il fervore…
(pag. 45)
Orbene, il nostro autore, con tale nota, ci introduce all’interno di un tema costituito da squarci di lampi e ombre, secondo una dinamica quasi caravaggesca, laddove prova a inserire la forma più pregiata dell’espressione umana: la poesia. Egli conduce il verso nelle interiora delle catacombe per verificare quanto la morte sia rappresentata da ciò che sta, a livello di giacenze e di reperti, dopo l’interezza del corpo. Il viaggio intrapreso non è comunque “dantesco”. Qui non vi è un Virgilio a indicare la strada, nel groviglio di cunicoli delle profondità archeologiche. No, qui il poeta si rende egli stesso una sorta di auto-conduttore, con il compito di registrare suoni e voci di una vita vissuta e parallela. Potrebbe essere una storia di spiriti e di fantasmi dal momento che i personaggi fanno sfoggio di presenze impalpabili, in un clima vaporoso e indipendente dalla fisicità umana.
Dalle catacombe si estraggono insegnamenti e protocolli, come ad esempio succede nelle profondità di Classe di Ravenna – in un sito in cui risiedono i cadaveri scomposti degli evocati che intonano: «Non pregare quando necessita / prega solo quando c’è richiesta / e il cielo non se l’aspetta».
Vi è sacralità, in luoghi simili? Difficile dirlo. Di sicuro si evidenzia una mestizia dovuta alla scomposizione, al frazionamento della pietà di un essere sconvolto da una forma di non essere.
Proprio per queste ragioni, la raccolta di Gian Ruggero ha una presa narrativa ricca di particolari, di oggetti di sapore cavernicolo. Che aspettativa s’impone qui ai defunti? Spazi e scene fatti di sfondi egiziani o paleocristiani? Quale terreno concedere al fetore antico dei reperti?
L’oggettistica è quanto mai vasta e variegata; si parte dal teschio, per giungere poi alle tibie, alle lampade, gli scalpelli, il pavone, i graffiti, i sigilli, le bambole di pezza, le boccette di vetro e tutto quanto un armamentario di resti, di parti botaniche e degli oggetti più svariati; un corredo che parrebbe quello di una fata, o di una morta insonne, soprattutto di una mistica.
Si rende concreto uno spezzone di esistenza parallela a quella terrena: un coacervo di scambi – l’uno che prega il santo o la santa affinché intercedano presso Iddio per una contropartita di salvezza; l’altro che popola un vero e proprio mercato che accende interessi e perdoni.
In quella dimensione alta e imperiosa sta la cifra viscerale della mater matuta – l’esaltazione delle sue proprie viscere, intossicate e ricolme di infiammazioni. Laggiù, nelle miriadi di città del sottosuolo (Aosta come Vigna Cassia, Capodimonte come Siracusa…) accade una ripopolazione di enti e di commerci –, succede l’evento clou che riunisce, in un solo quadro, immagini e situazioni, le più strane e accese – … (come in «A Caterina d’Alessandria, […] da cui sgorgarono gigli e margherite dalla vagina, / e latte e miele dal collo, / quando depose la testa sul ceppo / e la campana ne suonò la morte»).
Il rito principale è quindi la preghiera recitata come un mantra, di radice ipnoide e non avulso dal vero e proprio verso poetico – un canto che fuori dal mondo rievoca e rafforza i principi della fede e della conseguente purificazione. I poeti procedono allora in direzione aliena, del tutto intima e buia, come buia è la verità che essi indicano.
Gian Ruggero Manzoni conclude le proprie descrizioni con un piglio stilistico analitico, frutto del verso lungo, generoso e abbondante. Il suo non è un frammento stitico, bensì una teoria ininterrotta di energie e dati di fatto. La lettura donerà a chi assorbirà questa sua opera un largo spettro di immagini, costituiti dal continuo e speranzoso cammino verso la verità.
Alcuni testi:
I
Fin dagli albori il bianco e il nero
divennero la contrapposizione ai colori.
Oggi sono elementi di primaria importanza
per arrivare all’essenzialità del pensiero
esentato dall’elemento emotivo
che le altre tinte portano in loro.
Nella storia il nero è visto come tenebra,
principio d’inizio e di fine,
dal quale tutto nasce e nel quale
tutto torna; mentre il bianco, la cosiddetta luce,
è quella dimensione che si frappone
tra nascita e cessazione.
Il nero è l’immagine spirituale dell’elemento
che non è più forma,
o prima che la stessa fosse definita,
mentre il bianco è l’immagine concreta
dell’energia, che in esso vive.
Nel bianco e nel nero
lo Spirito è sempre presente
ma con due differenti ruoli:
quale proiettore e quale ombra.
Il bianco e il nero non sono lo Spirito
ma due diversi punti di vista
tramite cui lo stesso si manifesta
e trova ragione.
**
III
A Concordia Sagittaria, nei pressi di Venezia,
sono oltre duecento le lapidi di legionari morti
per frecce, daghe, lance, vaiolo o peste.
All’entrata del tunnel una scritta:
“Mai fare commercio degli assoluti”.
A Chiusi, in Valdichiana, uno fu dedicato
a Santa Mustiola e l’altro, paleocristiano,
fu innalzato a Santa Caterina d’Alessandria,
da cui sgorgarono gigli e margherite dalla vagina,
e latte e miele dal collo,
quando depose la testa sul ceppo
e la campana ne suonò la morte.
All’interno di una cripta un motto:
“Hai solo una volta per scegliere,
quindi attento a quel momento
perché l’eterno non ripasserà
e tu resterai uno schiavo a vita
sempre alla catena”.
A Classe di Ravenna quattro le miniere di cadaveri
… per Probo, per Sant’Apollinare, per Eleucadio
e per San Severo, su cui troneggia
un epitaffio altero:
“Non pregare quando necessita,
prega solo, quando non c’è richiesta
e il cielo, non se l’attende”.
**
XII
Il Circo di Massenzio mai venne usato
perché Costantino, più forte in Dio,
a Ponte Milvio diede battaglia.
“Che divenga il pollice di Dio
anche nelle gare fra aurighi
simbolo di vita o morte?
Che la Sua fermezza
nel sancire una sconfitta o una vittoria
possa ispirare anche la nostra?”
Il vecchio sistema sta annegando,
il nuovo tarda ad affiorare,
in quella calma d’acqua
nascono mostri coi quali
poi vado a passeggiare.
Sempre più credo,
dal come sono guardinghi,
che per loro il mostro sia io.
Santa beatitudine quando i demoni
fanno di te un esempio
e seppellisci loro, non usandoli
quali complici oppure servi.
**
XXVIII
Nei loculi puoi trovare oggetti
che furono cari a chi oggi è cenere…
sigilli, piatti, lampade di creta, teche,
anelli, pettini, bambole di pezza,
aghi, bicchieri, gemme, anfore, collari,
amuleti, piastre, tegole, pettorali, fibbie,
boccette di vetro, lamelle e recipienti
di vario uso e capienza.
Bagna sempre con latte e vino
là dove verrà deposto il cadavere,
ché ritrovi il sapore della nascita
e ciò che, in vita, scorrendogli nelle vene,
gli ha scacciato l’idea della fine.
Spargi profumi e oli, come facevano gli egizi,
e rendi talismani zoccoli di capra, chiodi piegati,
campanelle di bronzo, biglietti con invocazioni.
Sotto la lingua o sugli occhi
le monete per Caronte, poi, se hai denaro,
fai invadere la piazza da mimi, saltimbanchi,
funamboli e suonatori di corno, ché l’esistenza
ritorni nella morte, vana e caciarosa,
fatua e quale scherzo, come poi è
per la maggior parte degli uomini.
E i portatori di fiaccole e le préfiche…
quelle donne che a pagamento
intonavano lamenti funebri
o cantavano le lodi del defunto.
Non trascurare alcunché
così che la messa in scena
risulti completa
e addobba la casa con rami di tasso
e cipresso,
ché la gente sappia che sei in lutto
anche se poi già conti l’eredità
e quei terreni…
**
XLIII
La bella addormentata di Palermo,
la mummia della piccola Rosalia Lombardo,
morta di polmonite nel 1920 a due anni,
a volte apre e chiude gli occhi
e non manca molto che ti sorrida
o ti faccia un segno per illudersi
di non essere dalla parte
di chi più non vive.
Il padre la volle così, quale verità duratura,
ma che non la si riveli, perché non scompaia
come spesso succede coi defunti.
Forse che non esista un vero assoluto,
ma solo quello del momento?
Ciò che della verità, nel tempo resta, io lo so
ed è da quando sono nato che lo apprezzo.
Ha un nome strano che deriva da blasfemia,
da ingiuriare, calunniare, offendere…
infatti si chiama
nient’altro che: bestemmia
o sfida a Dio.
GIAN RUGGERO MANZONI – NEL PROFUMO DELLE CATACOMBE – COLLANA RED L’ARCOLAIO – EURO 12