ESCE OGGI IL TERZO LIBRO “L’ARCOLAIO” DI ANTONIO PIBIRI. IL TITOLO E’: “IN COSA CONSISTE IL LAVORO”.
dicembre 19, 2020
Poesia e Prosa Lascia un commento
ESCE OGGI IL TERZO LIBRO “L’ARCOLAIO” DI ANTONIO PIBIRI. IL TITOLO E’: “IN COSA CONSISTE IL LAVORO”.
dicembre 19, 2020
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Antonio Pibiri è ormai un autore fedele alla nostra casa editrice. Dopo “Chiaro di terra” e “Il prezzo della sposa”, eccolo di nuovo in Arcolaio con questo “In cosa consiste il lavoro” – un progetto ricco di riferimenti culturali di chiara marca europea -. Pibiri sembra davvero un autore poco italiano, quasi che la sua origine primaria lo stacchi dal territorio del Belpaese. La sua è una ricerca particolare, autentica e aristocratica.
Proponiamo adesso una serie di testi tratti da questo suo ultimo gioiellino.
Buona lettura.
gf e la Redazione de L’arcolaio.
*****
Dalla sezione “In cosa consiste il lavoro“
“Noi dobbiamo viaggiare nella direzione delle nostre paure” John Berryman
Tua figlia s’imbarcherà per l’oceano.
Dice – “Posso remare, ho forti le braccia!”
Questo mese l’autunno resiste al viraggio
giallo di Arles, di Parma, rosso acero,
alla muta gravità.
Le foglie hanno paura di cadere:
sarà più povera l’offerta.
Sullo sfondo si abbandonano alla parabola
i seni, ad esempio, dopo la monta del latte,
i fuochi diavoli che trecciano scie,
la mela dopo la perfezione, la mela
cadente e senza colpa.
Si allontanerà nell’oceano tua figlia.
Il remo cerca dove fa buio l’acqua.
***
(Die Vorstellungskraft)
Immaginazione, monito del Tempo.
Ma la cornetta del telefono declassa
ad antiquariato, non più cornucopia.
La rimessa degli scuola-bus lastrica
gialloluce il pomeriggio a NYC,
niente affatto sensibile all’occhio,
non muta in campo di girasoli.
Un traliccio non è la Colonna senza fine
che lo scultore innalza, e si ripete
per moduli in altezza e stazione.
I marinai di stanza presso fontanili,
lavatoi, per terrore dell’acqua,
sognano il mare farsi ventre.
Quel Dioniso, negativo al test alcolico,
non delirio o sfrenatezza che fu.
Né la penna d’oca con cui scrivo
splenderà nel cuore della foresta,
un Quetzal sacro ai Maya,
lui sì vivo, reale sì,
quanto il poema.
***
Europa
Assopito nella pancia della Tigre
dovrai tenderti fino alla luce,
alla grata dei nodi che imbudellano,
alla schiuma plateale di fauci.
In ultimo, nel balzo d’uscita,
spezzando al felino le zanne, portare
lo sguardo lontano dove finisce
e prosegue il lontano.
***
(Dr. Murphy)
Supponi sia la stessa luna.
La videro i soldati dalla terrazza di Erode.
Fuori dal tempo la vedi tu, e chiosi:
“Sembra nuotare in un guscio di madreperla.”
E cadi giù dal ponte dell’altrui desiderio.
In realtà non c’era nessun ponte, nessun raggio.
Dopo la ghiaccia prestazione lei ti guarda le mani.
– “Porti belle mani, due colombe d’Israele
in riva al fiume, due gioielli di precisione,
non conoscono certo carestie.
Devi essere quanto meno un medico, un chirurgo?
Ma hai in volto un uomo così triste…
Non parlo in confidenza ai clienti.”
Voltando le spalle tiri a te il lenzuolo,
come si alza un bavero di carne morta.
Movenze – per – fratture.
***
Dalla sezione
Dalla sezione “Alla ricerca di una nuova casa“
(A Ives Bergeret)
Versi di tortore quelli
li riconosco da sempre
che si parla nel mondo
I becchi passano tra loro
un ciondolìo di vermicelli
e suoni, sono altri nomi di Dio.
***
MOLTE RECENSIONI OTTENUTE IN QUESTI ULTIMI GIORNI DA “OPERA INCERTA” DI ANNA MARIA CURCI. LE PUBBLICHIAMO UNA DI SEGUITO ALL’ALTRA CON L’ENTUSIASMO DI UN VERO SUCCESSO!
dicembre 16, 2020
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MOLTE RECENSIONI OTTENUTE IN QUESTI ULTIMI GIORNI DA “OPERA INCERTA” DI ANNA MARIA CURCI. LE PUBBLICHIAMO UNA DI SEGUITO ALL’ALTRA CON L’ENTUSIASMO DI UN VERO SUCCESSO!
dicembre 16, 2020
Una vera e propria tempesta di recensioni si è abbattuta su Opera incerta di Anna Maria Curci. Un inizio sorprendente! E questo è soltanto l’inizio. Siamo tutti felici per questi primi consensi accreditati all’opera ultima della nostra autrice romana.
Ma, senza perdere spazio, diamo la stura alle quattro schede critiche!
Felicitazioni, cara Anna!!!
Gf e la Redazione.
***
OPERA INCERTA di Anna Maria Curci
Recensione di Maria Benedetta Cerro
Opera incerta si può considerare una tranche de vie in cui Anna Maria Curci costruisce, concretamente e poeticamente, la propria esistenza e contribuisce all’edificazione di un’opera maggiore che è il proprio tempo.
Più di un decennio in cui lo sguardo poetico – acuto, vigile – legge gli eventi del quotidiano e della storia, nell’intento di dare un senso ad ogni, anche minimo, accadimento.
Un esercizio che il poeta sente come intima necessità e compito etico e civile, contro “brutalità, oblio e menzogna” del potere imperante.
“Percorro la mia strada nella storia”, afferma Anna Maria, in un procedere fermo, non agevole, perché contro corrente, ma avendo verità e libertà come riferimenti costanti. Impegno quanto mai necessario, in un tempo in cui ci troviamo a fare i conti con i guasti del sistema, causati da spregiudicatezza nel conseguire profitti, mancanza di cura e rispetto del pianeta.
Opera, dunque, come azione e costruzione (con uso di strumenti, attenzione all’esito e alla solidità), ma non priva di difficoltà, se effettuata con materiale “incerto”, che richiede cura del recupero, predilezione per il frammento, visione di una totalità che non considera lo scarto.
Ma sappiamo che il poeta non teme le sfide. “Se ‘incerto’ è il materiale a disposizione, non lo è il “mestiere”, poiché la perizia propria del poeta è nell’uso della parola, il bacino profondo e vario della lingua materna e fraterna – le lingue tout court, come patrimonio umano – da cui attingere tesori da restituire moltiplicati.
Ecco allora trovare collocazione nell’opera tessere di valore, di provenienza diversa, ciascuna con la sua specificità, in cui riconosci la memoria personale “gioie minute / in scatole modeste”; la memoria storica (l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, piazza Tienanmen, strage di Bologna); il quotidiano “Passa il tempo impunito / e sparge sale”; incontri e frequentazioni degli autori amati o tradotti, tra i quali Cristina Campo, Joyce, Sartre, Orazio, Puccini, Ingeborg Bachmann, George Trakl, Keats.
Da considerare per intero la sezione Mnemosyne, in cui la poesia diventa canto e dove ritmo e senso raggiungono una perfetta armonia. In ogni testo la voce si dispiega con naturalezza in obbedienza a una musica interiore. Le parole, non cercate, si affacciano discrete: “Nella sera che lenta / scendeva i gradini / netta di note / carica di sorte / modulò la voce” (Il canto di Ischitella).
Un tempo “benigno di stupore” in cui la poesia diventa epifania: “non ti eclissare adesso che non so cercarti”. Invocazione perché finalmente “l’ala ripiegata” sia raggiunta dall’altra per il volo e perché “la musica della pazienza” riveli nella pienezza tutti i suoi frutti.
Una poesia che conferma solidità e sapienza strutturale, con attenzione alla cura formale e “agli aspetti ritmici e sonori”, come ben rilevato da Francesca Del Moro nell’ottima postfazione.
Maria Benedetta Cerro
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Vincenzo Luciani:
Opera incerta di Anna Maria Curci
Recensione di Vincenzo Luciani
Pubblicato il 14 Dicembre 2020
Ho letto avidamente (e poi riletto) Opera incerta (L’Arcolaio 2020), l’ultima raccolta di Anna Maria Curci, sottolineando e facendo orecchiette alle pagine con le poesie che via via mi coinvolgevano maggiormente e ripromettendomi di scrivere in una nota le motivazioni di invito alla lettura di questo bel libro. Perché a questo, in buona sostanza, deve servire una recensione.
Nella prima lettura ho evitato di leggere la postfazione di Francesca Del Moro, poeta e critica che stimo molto, per non lasciarmi condizionare nella lettura dei testi e che in seguito ho letto ed ammirato.
Mi sono invece soffermato sulla Nota dell’Autrice perché sono convinto che quando un poeta parla della sua opera bisogna spalancare le orecchie e mettersi all’ascolto. In particolare quando si tratta di poeta che non scrive e pubblica di getto e conosce la virtù indispensabile e irrinunciabile di un buon poeta: la pazienza, accompagnata dall’arte, e dalla sapienza costruttrice, che dà solidità all’impianto di un libro, come questo, solido e maturo, in cui le “pietre” poetiche pur “diseguali” sono state selezionate e poi interconnesse con sapienza artigianale che bada alla sostanza senza trascurare la bellezza.
Entriamo nella sua bottega e sorprendiamola all’opera con queste due poesie (ma riferimenti a questo proposito sono in molte parti:
Ascolta, su, porgi l’orecchio / dirama la conversazione / traduci e chiedi, leggi e annota, / discerni e associa sotto il cielo. (p. 26);
dosi massicce di sopportazione / sordina a false rivendicazioni / sguardo rivolto al cielo o a un filo d’erba / un libro spalancato o uno spartito (“Kit di sopravvivenza”, p. 51)
Fra tradizione (rispetto, lettura e comprensione dei maestri) e traduzione (compenetrazione e riappropriazione di testi poetici) e perenne ascolto e studio delle voci più interessanti della poesia di ogni tempo e luogo è questo l’incredibile lavoro in cui è immersa straordinariamente Anna Maria Curci e questo libro ne è testimonianza piena.
leggere versi all’alba / salutare maestri / nel vento freddo / dell’oscuramento // spogli di scuse / fronzoli intrisioni // è luce dopotutto (p. 32).
Tutto è già stato detto? Non lo so. // Più degli omissis temo le omissioni, // le sommosse mancate contro l’inanità (“Traducendo ‘Sic transit gloria mundi’ di Czechowski”, p. 39).
Il suo impegno civile contro “brutalità, oblio, menzogne, triade elevata a esercizio di potere” è costante nella poetica di Anna Maria Curci ed è presente, scevro di enfasi retorica, anche in quest’opera, aperta al mondo, e non reclinata sul proprio ombelico (come spesso accade tra i poeti d’oggigiorno). Anna Maria Curci è giustamente allarmata sull’incertezza del nostro domani e dell’avvenire del mondo (vedi la poesia di Marie Luise Kaschnitz. “È ancora incerto”, che conclude la breve Nota dell’Autrice la quale, non solo valente critica, ma anche critica spassionata di se stessa), commenta: “Poesia come veglia, quesito costante, costruzione di senso, coesistenza delle diversità: opus incertum?”
Premesso che la silloge è ricca, ben costruita e compatta, esprimo una preferenza per i testi della sezione “Mnemosyne”, con una preferenza per “EUR (eucalipto, un ricordo)”, a p. 55, che magnificamente la apre e di cui invidio il verso: “con il mare nel naso” di quei bambini in festa, fieri dell’albero piantato dal padre le cui fronde risuscitano le onde marine.
Molto toccante, a p. 68, nella poesia “2 agosto 2015” il ricordo dello zio ferroviere e della strage avvenuta, in quel tragico e mai dimenticato 2 agosto 1980, alle 10:25, alla stazione ferroviaria di Bologna Centrale, in cui l’affetto profondo è “contenuto” in “quel dannato ritegno all’espansione” che caratterizza/va la gente del sud. Associato all’8 di settembre 1943, che rivive attraverso gli occhi di sua madre e di cosa balzava col terrore nel suo animo, è quel drammatico frangente della nostra storia (a p. 63). Indimenticabile anche l’orgoglioso ricordo del nonno ambulante che mi ha riportato alla mente Rocco Scotellaro e la sua Lucania: Era ambulante nonno, / il padre di mio padre. / Con le pezze di stoffa / traversava i calanchi. // Serbo la discendenza / come viva memoria, / sudato testimone / della lampada accesa.
La rimemorazione di Curci non si limita alla sua cerchia familiare – per quanto interconnessa con vicende della nostra storia – ma si estende a personaggi come Gramsci (a p. 62) presso la cui tomba, nel cimitero acattolico, A.M- Curci, sosta pensando ai suoi scritti, “al tempo, ad altre soste”). Rievoca la strage di Sant’Angela di Stazzema “a voi che vivete ignari” (a p.64), dedica a Dietrich Bonhoeffer la poesia “Di grida omesse e canti gregoriani”, con l’invocazione finale: Sia umano il canto, voce dei sommersi.
Molto importante per l’Autrice appassionata componente di un coro nel suo quartiere sono il canto e la musica, presenti nelle poesie “Sorridi dico”: canta il tuo canto sorridendo (p. 25); in “Controcanti” (p.30) che dopo l’apertura scanzonata: Bau bau baby mi viene da cantare (…) ci mette a parte dell’importanza vitale per lei della musica, anche e soprattutto di quella dei versi: Leggo la musica della pazienza, / talvolta inciampo sulle biscrome / e all’improvviso, ecco: cadenza (…); in “Cade il suono” a p. 41; nel già citato “Kit di sopravvivenza”; e per finire ne “Il canto di Ischitella” (a p. 84) che trovo straordinaria ad ogni rilettura.
Musica e canto sono anche eredità paterna e materna come confessa l’autrice in “Giungo da un sogno altrui” (peraltro in rima alternata): Inseguo ancora, sai, / vostri sguardi e pensieri / e Madame Butterfly / che cantaste, leggeri.
Spero vivamente di avervi trasmesso almeno qualcosa del mio godimento di questo libro per la cui pubblicazione Anna Maria Curci non ha “avuto fretta” (le poesie sono quelle di circa un decennio di fatica: 2008-2019), frutto di un’attesa protratta e che – come avviene per le poesie non banali – ci riserva una sfida: Tu prova a decifrare / linee forme colori. / Della sciarada resta / l’anelito, l’attesa (p. 23, “Avvistamenti”).
Vincenzo Luciani
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Fabio Michieli:
Anna Maria Curci, Opera incerta
Postfazione di Francesca Del Moro
Editrice L’arcolaio 2020
Recensione di Fabio Michieli apparsa su Poetarum Silva
Di libro in libro, di verso in verso, Anna Maria Curci ha intessuto le trame di un fitto racconto sull’individuo, la percezione del suo essere parte della storia collettiva, del suo non essere escluso, estraneo a ciò che accade. Una narrazione che ha puntato il dito più volte contro le varie forme di egoismi; una narrazione che non ha negato accuse esplicite, e che soprattutto ha rivendicato la fierezza di donna che sa e vuole dire le cose in un mondo che ancora vorrebbe zittire chi solleva il capo.
E ha sempre fatto tutto ciò tenendo alta la tensione linguistica che inevitabilmente – e fortunatamente per chi legge – è significato anche un’alta tensione poetica, chiedendo e imponendo al lettore un grado di attenzione maggiore per godere appieno di ogni sfumatura, di ogni immagine, di ogni allusione, di ogni aspetto di una poesia che ha impiegato molto tempo per essere riconosciuta, e che ora giustamente è apprezzata (come testimoniano le molte recensioni alla precedente raccolta, Nei giorni per versi, Arcipelago Itaca 2019).
Bisognerebbe distendere tutte le poesie di Curci su un unico tavolo, o appenderle a delle cordicelle come faceva Jolanda Insana, per scorrere dentro la storia raccontata e scorgervi il forte, profondo amore per la vita, e quindi il profondo dolore per come viene trattata, che in esse viene profuso in un lungo discorso etico in cui lo sguardo fisso su ciò che siamo stati consegna inesorabilmente anche l’immagine di ciò che siamo diventati e di ciò che purtroppo saremo (il monito dantesco «nati non fummo…» si espande e rimbomba continuo). Le smancerie in poesia non sono ammesse. I facili risultati, il superfluo meno che meno. La poesia di Anna Maria Curci percorre le stesse strade che lei percorre come lettrice e come critica. Nel corso degli anni le sue note di lettura delle opere altrui, insieme alle sue traduzioni, ci hanno insegnato a guardare a una poesia che cammina parallela a quella che gode di una a volte ingiustificata maggiore visibilità: una poesia che custodisce il seme e la cura della tradizione. Specialmente se è espressione della cultura dialettale. E Opera incerta, raccolta di poesie fresca di stampa per L’arcolaio di Gian Franco Fabbri (che già pubblicò Nuove nomenclature e altri versi nel 2015), tra le altre doti ha anche quello di invitarci a porci in ascolto della poesia in silenzio, con umiltà (luziana, aggiungo io, umiltà).
Il massimo che si concede l’io è quello di sorridere di tanto in tanto: sorridere con ironia, a volte con sarcasmo, altre volte per celare il dolore. Sorridere alla vita come cura; sorridere alle basse provocazioni come arma che disarma l’avversario.
Apparentemente in posa su una sponda del fiume, Curci osserva il farsi delle cose, il procedere (in processione) di individui esautorati di ogni individualità e resisi automi; un fiume che di volta in volta può sembrare il classico nonché dantesco Acheronte, ma che può essere anche il Bisenzio del magmatico Luzi, o il Tevere di voci care alla poetessa, come Ingeborg Bachmann. Perché la parola di Anna Maria Curci si fa carico di una robusta tradizione per spiccare in tutta la sua autonomia, in tutta la sua tensione capace di ardite figure di luminosa assolutezza e asciuttezza (una personale raggiunta concinnitas).
Già: “luminosa assolutezza”! Perché è nel segno di una ricerca della luce, metaforica luce, che si procede di verso in verso. E nuovamente la condizione dell’ascolto è d’obbligo, e nell’ascolto sempre il silenzio. Il mondo chiede d’essere ascoltato; ma immersi nello schiamazzo odierno abbiamo perso la percezione di quest’unica voce da cercare. Certo è una tensione tutta metafisica, religiosa, che in lei assume davvero i toni di un sentire cristiano messo in crisi nei suoi cardini. Una religiosità non tanto campiana (nessun estremismo, tanto meno arroccamento a un’ortodossia che nega l’evoluzione del pensiero in virtù della difesa della ritualità come rifugio) quanto piuttosto affine al sentire di Simone Weil proprio nel punto in cui Cristina Campo sembrò non riconoscervisi più. E in queste mie parole interviene il ricordo di una passeggiata sull’Aventino con Anna Maria che emerge nei versi della quartina XXI di Nei giorni per versi; quartina che porta in scena l’immagine dei granchi che nuovamente tornano ora, e rinnovano, nella loro andatura incerta, tanto la fragilità quanto l’opposta dimensione dell’impudenza di chi – come bene indica Francesca Del Moro nella postfazione – predilige «le vie più dirette», senza ostacoli, da velocisti brucia tappe («gli affannosi affanni» di chi avanza con «mazurche» e «ammiccare di anche»).
Ma la vita chiede, in quest’ultimo periodo più che mai, che ci si metta in ascolto dell’incertezza indicata sin dal titolo; questo titolo che rinvia a una precisa e antica pratica architettonica e allo stesso tempo sembra volerci dire che proprio nel suo incerto, impreciso, non perfetto mostrarsi, in questo suo essere composto di pietre diseguali, armoniosamente disarmoniche, risiede la necessaria solidità per resistere alla corruzione dei tempi: mura solide e non piedi d’argilla, per semplificare.
© Fabio Michieli
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Maria Gabiella Canfarelli:
Anna Maria Curci. Le storie, le voci della Storia in Opera incerta
Nota di Maria Gabriella Canfarelli
Pubblicato il 15 Dicembre 2020 SUL BLOG i POETI DEL PARCO
Poesia còlta, modulata in canti e controcanti magistrali, variazioni ritmiche e sfumature, toni diversi, e strofe brevi e lunghe per dipanare la complessità della Storia, penetrarla, significarla. Non è passiva contemplazione, piuttosto partecipazione intensa della mente e dello spirito (in serafica ma vigile attesa), quanto del corpo che sente, vede, tocca.
Se il titolo Opera incerta (L’arcolaio, 2020) è preso in prestito da opus incertum (degli antichi romani, tecnica di edificazione muraria consistente nell’assemblare pietre di misura disuguale, irregolare ma combacianti tra loro), Anna Maria Curci allo stesso modo assembla i conci irregolari, sghembi della realtà, con mirabile pazienza scava e varca il visibile, lo scavalca, lo supera, ne accoglie piccole e grandi schiuse di verità (C’è un tempo di usci chiusi/uno di porte aperte).
Ché il muro che ha di fronte non è soltanto confine, separazione tra un di qua e un di là ma anche stimolo ad andare oltre, in cerca di segni da tradurre, interpretare, e infine trasformare l’oscuro in luce, il dolore in bellezza, il disordine in logos: bellezza, dunque, vibrante visione poetica di un intelletto che avvista, discerne e valuta (In bilico su toni e fenditure, /cerca il prodigio il varco quotidiano/ senza i sipari i tuoni le tribune).
Con un profondo e largo e resistente respiro, e trasalimenti catturati dalla coscienza la poetessa approda alla rivelazione, o le va incontro dopo il traghettamento da riva a riva, da una sponda all’altra del fiume, liquido muro orizzontale (mentre qui aspetto/mi si accosta il silenzio/ e suggerisce); nasce improvvisa la luce tende le braccia, districa l’intricato e oscuro ordito del mondo e della Storia e delle storie, ed è gioia scoprire e toccare dopo questa proroga// attesa protratta/ / gioie minute / in scatole modeste”. La sontuosa eleganza dei versi e il ritmo polifonico tracciano un disegno compatto che felicemente coniuga tempi e temi differenti, eterogenei come appunto i pezzi dell’opus incertum; e soprattutto rende visibile ai sensi e al cuore ciò che non si vede, ciò che sta dietro e dentro l’opera: le visite ai luoghi cari, gli omaggi, le dediche alle molte storie entrate brutalmente nella Storia (Gramsci, Sant’Anna di Stazzema, 8 settembre 1943, Birkenau, Tienanmen, la strage alla stazione di Bologna) perché Sia umano il canto, voce dei sommersi; le vicende e i legami d’amicizia e amore, i ricordi, la famiglia (Serbo la discendenza /come viva memoria,/sudato testimone/della lampada accesa); temi importanti, vitali tenuti insieme dal filo teso tra intuizione e ragione, un intreccio poetico di accadimenti, tra figure fisiche e metafisiche come è l’Angelo forse custode, certo è nunzio d’Avvento, che insieme alla poetessa attende la fine dell’attesa (e l’ala ripiegata/ aspetta l’altra, insieme voleranno); la poesia, dunque, il necessario ineludibile Kit di sopravvivenza agli orrori e al dolore, la poesia portatrice di luce e di vera gioia, quando è lo sguardo rivolto al cielo o a un filo d’erba/ un libro spalancato o uno spartito.
Testimone del nostro tempo, la voce di indubbia potenza evocativa di Anna Maria Curci edifica dunque uno spazio e un luogo di libertà e di conoscenza, di libertà nella conoscenza oltre l’indistinto, l’informe intorno a noi, e anche per noi invera la promessa di quel fiore azzurro rispondendo con generosità alla “chiamata alla testimonianza, nella vocazione a parlare per conto di voci dimenticate o che rischiano di spegnersi” scrive Francesca Del Moro nel saggio critico accuratissimo scritto in forma di postfazione; e ancora Del Moro: “valore e necessità di un percorso quale è quello su cui Anna Maria si interroga e ci interroga. Il percorso etico ed estetico compiuto da un “cuore pensante”, definizione che utilizza nella sua prima raccolta e che racchiude in sé la capacità della poesia di pungolare intelletto e sentimento per diventare, nelle sue parole, pegno d’incanto, balzo, testimone”.
Maria Gabriella Canfarelli