Home

ENEA ROVERSI RECENSISCE “DICEMBRE DALL’ALTO” DI VITTORIANO MASCIULLO

Lascia un commento

Tratto dal blog Tragico Alverman

Articolo di Enea Roversi

Che cosa hanno in comune tra loro Carmelo Bene, Paul Celan, Euripide, Sigmund Freud e Flavio Giurato? E Pasquale Panella, Amelia Rosselli e Richard Wagner?

Sono una parte degli autori da cui Vittoriano Masciullo ha attinto per i suoi “campionamenti” presenti nel libro (bellissimo, davvero) Dicembre dall’alto (L’arcolaio, 2018).

Masciullo, infatti, nei propri testi inserisce versi, frasi, parole appartenenti ad altri autori ed è lui stesso a usare il termine “campionamenti” nelle note in appendice alla raccolta.

Non siamo di fronte a un banale copia e incolla e neppure a una sorta di patchwork letterario, né abbiamo a che fare con la tecnica del cut-up che abitò le pagine della letteratura dadaista prima e della beat-generation poi.

Ci aiuta a capire di più e ad approcciare nel modo giusto la lettura di questo libro Cecilia Bello Minciacchi, che così scrive nella sua pregevole postfazione:“Se ogni libro è fatto di altri libri, e se – giusto l’assunto sanguinetiano – non possiamo fare altro che citare, tanto nella scrittura quanto nella vita, Dicembre dall’alto di Vittoriano Masciullo sembra per eccellenza un testo di testi altrui, un’opera in cui gran parte delle parole che l’autore pronuncia erano d’altri. Erano perché il processo compositivo è, alla sua origine, chimico: l’appropriazione (debita, indebita, comunque non taciuta, confessa) è di fatto assimilazione. Ossia nutrimento intellettuale, emotivo e psichico, energia verbale.”

Nutrimento intellettuale, emotivo e psichico, dunque: non solo per l’autore, direi, ma anche per il lettore.

Si può dire, riferendosi a un libro di poesia, che è un libro intelligente? Sinceramente non lo so, ma mi sento di poter dire che Dicembre dall’alto è un libro da cui traspaiono con nitidezza, da ogni pagina, l’intelligenza, il ragionamento, il pensiero.

Ecco, il pensiero: in tempi bui come quelli che stiamo vivendo libri come questo rappresentano una boccata d’ossigeno irrinunciabile.

Dicembre dall’alto è un libro che arriva a compimento al termine di una lunga (lenta?) gestazione: è il resoconto di un viaggio interiore, un taccuino di appunti nel quale s’intrecciano psicanalisi, letteratura, scienza. Suddivisa in tre sezioni (Inaspettata, Ueno e Nessuno spiega chirone) la raccolta di Masciullo affascina per la propria complessità.

Non è certo poesia di presa immediata, a volte anzi destabilizza il lettore, incutendo spaesamento anziché indulgere in rassicurazione, lasciando spazi aperti laddove ci si aspetterebbe una chiosa, ma è proprio grazie a queste peculiarità che colpisce.

Una delle raccolte più intense e coinvolgenti lette negli ultimi tempi.

Una breve selezione di testi tratti da Dicembre dall’alto:

consegue

la consegna della vita nelle mani

un posto migliore l’offerta

delle chiavi di una stessa casa

un’epidermide mattutina prima

di consegue un pudore insufficiente

la girata di tacchi poi

lo zodiaco dei perduti

l’armamentario necessario

consegue a me a te

al ricordati consegue

alla strategia di caccia

al no al sipario

e consegue

* * *

dal profondo della

felicità da teca

lustra e mai restituita a sé

brilla il pensiero sul

non noi da

questo arschloch propriamente

detto assenza che solo

ora qui per favore rende

riconoscibile tanta differenza il

viaggio dalla notte di wonder alla

notte di wound in cui non

si ferma più il rumore o quel

vento per la sola presenza delle nostre

notte così infelice e nera

da essere blu e amputato dell’adolescente

un uomo pratica la tassidermia la

sopravvivenza dei corpi non

restituiti il vuoto riconosciuto

in una calma oscura indifferenza

(è dopo che si espande l’acqua tiepida e allaga

membra epiteli organi il glicine fiorito tardivamente)

* * *

lasciamo stare

la punteggiatura le pieghe gli

sguardi obliqui (scatto

non scatto fumi ti giri

verrebbe bene con questa

negli occhi meglio se di profilo anzi un)

limite che finisce sempre in un deserto

senza racconto senza libro speso

in anni tutto non detto nel e infatti

(scoprimmo non si diede la morte

fumiko fuggì in cerca di sopravvivenza

inviò lettere si disse viva senza di lui

passata per solitudine morte presagi

e anche noi)

* * *

c’è un

sospetto dietro

tutte le narrazioni nascoste abitano

lì alcune vittime dell’eliminazione

segreta ma tu che per tutti sei penelope

o elena prometti di non

riconoscere resta tacita non

ma almeno proteggi proteggi

o a che serve se questa è la notte

in cui trucidano i nacht und nebel

anche se la casa è di un altro ora

se è capovolto il mondo

a che è servito tornare

* * *

dunque lettera

riposta nella primavera

e inviata quando sembrava

invece torna la psicolinguistica

in tema di per sempre crudele mese

ti lavai e dove sei ora

carne morta sezionata aperta investigata

per se ci sono vermi

parti grigie tumori a conferma

del lascito d’aria e a che serve

è museo ora anche il numero delle paia

di nel mobiletto all’ e il

ricordi sarò passato di là hai letto

gli invisibili sì je comprends

que cette affirmation puisse

surprendre mais nous avons

la preuve una regolamentazione

eccessiva peut mème risquer

de provoquer la mort e poi ben

sappiamo che è solo paura

l’assenza dell’

e che inizia sempre morendo

poi ora non sarebbe

il caso di finirla spostarsi

restituire

* * *

non avere paura

torna se deve tutto

anche le interiezioni o i gesticolari

polvere di ferro su magneti ridice

sé e cambia il tempo nagel

paixão na carne suturata

compie un giro larghissimo e tutto

le estati il femminile il frammento suicida lingue

morte i resti dell’aeroplano l’intraducibile futuro

vi sono certezze non vi sono certezze tutto se deve

anche l’apparizione il maleviso si ridice in vita

allora impara per favore per pietà

impara a reconhecer o mar

non è più tempo in cui gli alberi si spostavano

e le labbra forti scapole mascelle

ma lo sai puoi pensarlo

anzi compilo ora l’apotrope gridalo

maledetto sia il traditore della patria sua

(Vittoriano Masciullo, Dicembre dall’alto, L’arcolaio, 2018)

Vittoriano Masciullo è nato a Roma nel 1968, vive a Bologna. Sue poesie sono state pubblicate su Private, L’Alfabeto di Atlantide, Versante Ripido, Poetarum Silva e Versodove. E’ presente in Poesie del Navile (ed. Moby Dick, 1997) e nella plaquette E’ così l’addio di ogni giorno (ed. Corraini, 2015, introduzione critica di Niva Lorenzini). E’ tra i vincitori segnalati alla “Biennale Giovani Artisti – Iceberg” di Bologna, nel 1996. Ha vinto il premio “Poesia del Navile – Città di Bologna”, nel 1997. Ha partecipato a “RicercaBo” nel 2014 e collabora alla redazione della rivista di critica e letteratura Versodove.

LUNEDI PROSSIMO, 23 FEBBRAIO 2019, ALLA FABBRICA DELLE CANDELE, GLI AUTORI GIANFRANCO FABBRI E GASSID MAHAMED PRESENTERANNO I LORO LIBRI -“IL TEMPO DEL CONSISTERE” E “LA VITA NON E’ UNA FOSSA COMUNE”.

Lascia un commento

 

 

 

 PATROCINIO DEL COMUNE DI FORLI

CON LA  COLLABORAZIONE DELLA BIBLIOTECA DI BABELE E CASA ED. L’ARCOLAIO

 

Lunedì prossimo, 23 febbraio 2019, alla Fabbrica delle Candele, in piazzetta Corbizzi 9/30, a Forlì,

ALLE ORE 20,30

GASSID MOHAMED E GIANFRANCO FABBRI presenteranno i loro libri

LA VITA NON E’ UNA FOSSA COMUNE   e  “IL TEMPO DEL CONSISTERE

INGRESSO LIBERO

 

MARCO NICASTRO RECENSISCE “LINGUALUCE” DI DAMIANO SINFONICO

Lascia un commento

 

 

La sognante attesa del significato. Lingualuce di Damiano Sinfonico

4 Febbraio 2019

di Marco Nicastro

In Letteratura

ARTWEEK

 

Cos’è la “lingualuce”? Mi piace pensare che sia un uso della lingua depurato dalle incrostazioni del parlato quotidiano e del luogo comune (dalla “chiacchiera” direbbe Heidegger). Probabilmente prova ad avvicinarsi a questa possibilità espressiva Damiano Sinfonico nel suo ultimo libro di poesie, Lingualuce (edito da L’arcolaio).

Si tratta di una raccolta di 25 poesie divise in tre sezioni in cui emerge fin da subito l’inclinazione narrativa e la predisposizione relazionale dell’io poetico. Vengono infatti descritti momenti, dialoghi, brevi viaggi, interazioni e in questi c’è sempre un tu o un voi con cui l’autore ha uno scambio significativo:

«Ci siamo persi a un certo punto. / Nessuno sapeva l’indirizzo. / Inutile il navigatore / abbiamo chiesto a un passante / ci ha detto di tornare indietro / di percorrere altre strade»

(pag.13).

«“Di che pianeta sei” / mi fu chiesto / ad un tratto»

(pag.14).

«Mi hai detto davanti alla vetrina di orologi: / è strano, nessuno batte l’ora giusta» (pag.16).

Nel primo di questi passaggi elencati, tratto dalla poesia che apre la raccolta, viene forse chiarito il senso dell’intero libro e dell’avventura poetica dell’autore: cambiare strada (linguistica, percettiva), andare lentamente per non smarrirsi nella realtà. Questa lentezza finisce per schiudere una dimensione di attesa quasi sognante – ben realizzata attraverso il ritmo lento e suadente dei versi, non caratterizzati da una specifica metrica, né da figure elementi sonori (rime, assonanze) particolarmente rilevanti – in cui un significato inatteso, anche minimo, ma comunque decisivo si rivela:

«Gli studenti mi guardano inespressivi, a volte / come pesci in una bolla: / girano in tondo nella loro ignoranza / girano impauriti e smarriti. / Poi qualcuno scatta, solleva il braccio / ha la risposta in tasca / ha la risposta che non contemplavo»

(pag.17).

«È alto e goffo il professore, / un po’ più grande della lavagna / […] ma parlando di un russo fa una pausa / e dolcemente si confessa / di quando lavorava di notte / e al mattino si addormentava / davanti a un film di Tarkovskij»

(pag. 19).

E uno degli aspetti più interessanti del libro è, a mio avviso, proprio questa capacità dell’autore di saper conferire un ritmo disteso alle sue poesie, quasi da prosa poetica, pur nell’estrema brevità, tipicamente lirica, delle stesse. Sinfonico non ha bisogno cioè di ampi spazi, né di dilungarsi nella narrazione per segnare col proprio personale ritmo la pagina e questo è, credo, segno inequivocabile di una personalità già matura e definita da un punto di vista letterario, nonostante la giovane età.

Dicevamo all’inizio della necessità di trovare una lingua più vera. L’autore pare avvicinarsi all’obiettivo grazie alla pulizia del suo linguaggio – un periodare semplice, sia da un punto di vista lessicale che sintattico – sia attraverso la delicatezza e freschezza di alcune metafore («Nei suoi occhi passò un fiocco di stupore», «abbiamo soffiato sugli anni come schiuma», «la spina della scrittura»), sia infine inserendo la narrazione in una realtà definita da un punto di vista spazio-temporale, cosa che rende l’oggetto trattato facilmente comprensibile e condivisibile col lettore.

Il lavoro poetico è un lavoro faticoso sulla lingua che permette, quando riesce, di schiudere un cielo chiaro di significati in cui ci si può finalmente innamorare di qualcosa (per riprendere la bella immagine di una poesia); è l’estrazione della parola giusta dalla scatola della mente, che dia nuove possibilità espressive («sillabare una lingua nascente»), è togliere la polvere dall’abituale modo di esprimersi, tela di ragno che ti impiglia:

«“Come si dice”, mi chiedono i miei studenti. / si è in cerca dell’espressione adeguata / perché una lingua ha molti rami / su uno solo è preferibile poggiare. / È la domanda che si fanno i poeti / fra le parole, trovare la parola giusta / che faccia vedere mentre la pronunci».

Al di là di tutto, mi sembra emerga dai versi continuamente l’umanità delicata dell’autore, che partecipa allo svolgersi degli eventi dal basso, senza assumere posizioni assertive o autoreferenziali, percependo i sussulti e le emozioni anche sottili che la vita di ogni giorno è in grado di regalare.

C’è un’inclinazione evidente a condividere l’esperienza del dolore, del dubbio o della gioia con gli altri, un orizzonte pregno di umanità e compartecipazione sincera:

«Fuori dal loro ambiente le persone cambiano / come la professoressa ora in pensione”

(pag.15).

 

«“La sua vita non ha lasciato tracce” / stavo per scrivere in un articolo. / Poi ci ho ripensato. / Non si può scrivere una cosa più crudele. / la vita non si scioglie come neve»

(pag.29).

«A quante domande ci hanno sottoposto, / di norma burocratiche / nessuno chiede mai se preferiamo un tramonto / o se giornate piovose dell’autunno»

(pag.31).

Cosa rimane al lettore di queste poesia? La sensazione di aver fatto una breve ma significativa escursione in una vicenda umana sincera e concettualmente rigorosa, segnata da una lieve malinconia che si accompagna sempre ad una speranza: quella di innamorarsi di qualcosa, di trovare la propria modalità espressiva, di riuscire a stabilire un contatto più profondo con gli altri, di stupirsi delle cose e vederle, magari solo per un attimo, in una nuova luce (luce è una parola che ricorre diverse volte nella raccolta). È questa la missione di un poeta: aprire un’immagine, lasciare in dono un significato nuovo, suscitare in modo inatteso un’emozione sottile nel lettore.

In un modo semplice, ponendosi sempre in una posizione tutta umana di dubbio e di stupore quasi infantile per la sua limpidezza, Damiano Sinfonico riesce a farlo.

 

MARCO NICASTRO

INCONTRI CON GLI AUTORI. “LA LETTERATURA ARTEFICE DELL’UTOPIA”. CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI FORLI. APPUNTAMENTI A CURA DELLA BIBLIOTECA DI BABELE E DELLA CASA EDITRICE L’ARCOLAIO.

Lascia un commento