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ESCE OGGI IL PRIMO LIBRO DEL 2021. E’ “DI NON SAPERE INFINE A MEMORIA” DI VITO M. BONITO. CON QUESTA OPERA TORNA OPERATIVA LA COLLANA “IL LABORATORIO” DIRETTA DA LUCIANO NERI.

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Eccoci alla prima pubblicazione del nuovo anno: si tratta di “Di non sapere infine a memoria“, l’ultima fatica di Vito M. Bonito – l’autore foggiano, da sempre residente a Bologna – il quale impreziosisce ulteriormente il nostro catalogo. La collana che ospita il poeta è la risorta “Il laboratorio“, diretta da questo numero in poi dal poeta e critico letterario Luciano Neri. Questo progetto riporta all’attenzione del pubblico le istanze socio-politiche della fine degli anni Settanta – la morte di Aldo Moro e le conseguenze psicologiche che questo delitto portò nel cambiamento di coscienza, anche in alcuni componenti delle Brigate rosse -. Il tutto, però, efficacemente miscelato con la temperie adolescenziale di Bonito. Il testo, su basi riferite a quella lontana stagione, è poi stato scritto o riscritto alcuni anni fa. Da notare la grazia dello stile letterario, sia nei momenti evocativi che in quelli, potrei dire giornalistici e documentaristici. Un’opera, questa, da leggere con attenzione. E goderne ad ogni singolo verso.

Ma ascoltiamo (leggiamo) la bella nota editoriale del direttore Luciano Neri.

L’ultimo atto poetico di Vito Bonito si dispiega entro una cornice storica in dissoluzione, il Novecento, che a stento riesce a contenere le voci cantilenanti, remote e disamplificate, cui è affidato il “racconto”. Emergono allora come “fotocomposizioni” voci della prosopopea, da ritagli testimoniali, da dettagli personali, da un sogno infranto.  La lingua si avvicenda nei risvolti della storia, nella sua fibra umana più irriducibile, senza la pretesa di riordinare gli eventi di un’epoca al fine di dare credito a una verità.  Tra l’oblio e i refusi della memoria si intravede dunque una strettoia in grado di circoscrivere il fallimento delle grandi aspirazioni umane, ormai conchiuso in ciascuno in una privatezza isolata e sorda, in un auto-segregazione della coscienza. Il testo fa luce su questa strettoia, a intermittenze, ad abbagli. Resta tuttavia vigile nell’opacità, con il suo mandato sacrificale, la figura dell’inquilino, solo con il proprio destino segnato, ospite da rimuovere per mano dei suoi stessi carcerieri, ai quali mostra (e ci mostra) la loro natura paradossale, ridotta all’idea dialettica e incomprensibile per la quale lottano. Nel dualismo vittima/carnefice del genere tragedia ogni possibilità di io/tu viene orientata alle sue estreme conseguenze. E i conti con la memoria, tra gli scheletri dell’oblio, vengono assunti qui dalla maschera tirannica di una visione grandiosa morta, che fa ancora le veci di un fantasma della libertà ormai svanito in se stesso, posta banalmente di fronte allo spettacolo di cui pure si è resa artefice.

Luciano Neri

Alcuni testi tratti dalla raccolta:

canto dei bambini monocellulari

gli organismi monocellulari

sono la forma di vita

di maggior splendore

un’esistenza parassitaria

che non ha bisogno alcuno

di svilupparsi ulteriormente

senza cervello              senza nervi

immortali                    perfetti

solo ciò che è perfetto

non continua a svilupparsi

lo sviluppo non è altro

che un indice di imperfezione

e allora bisogna

pensare in grande

andare oltre

la striminzita misura umana

la morte non finisce mai

la morte finisce

me l’ha detto mia mamma

quando è morta per la sesta volta

anche il frigorifero muore spesso

di notte lo sento cantare

ogni notte

– i bambini sono i fiori della vita

e la terra dei ricordi

è fior che si consuma –

tutti amano i bambini

noi nuotiamo nell’aria

e abbiamo visto il bruco

prendere il colore delle foglie

da ciò abbiamo capito

che iddio non esiste

e ora crediamo

crediamo

in luce da luce per ogni lucissima

luce crediamo

alle meduse al ronzio

abbiamo sempre la febbre

preghiamo                   sangue                                   

dalle nostre teste di ferro

nessuno sa dirci                       nessuno

quale ipotesi di felicità

gli uomini hanno sognato

prima di morire

***

ombrerosse

  1978

I

il cuore dello stato

lo si poteva toccare

uccidere persino

come un neonato

io mi costruivo giocattoli

tornavo bambino

la lavanda nei cassetti cantava

io cantavo

non sei non sei

mai stato

come un parassita celestiale

entrava in me

il comunismo parrocchiale

II

siamo le ombre

                        delle ombre

le parrucche i Fregoli

la pura superficie d’ogni cosa

nulla di più dolce

                        al mondo

del sangue a girotondo

III

nessuno si accorge di niente

i fiori si muovono

nel congelatore

non riesco a darmi parola

IV

imparare a uccidere come si impara

a suonare un pianoforte

l’annientamento degli uomini

è un mondo

                        me-ra-vi-glio-so

una scienza empirica

una dottrina lirica

V

mi piacevano gli indovinelli

portavo il parrucchino

mangiavo gli uccelli

in ginocchio

                            sul comodino

VI

l’inquisizione non è il mio forte

fare fuoco                    sì

a poco a poco

VII

non lo sai che oggi non muori

non lo sai

che perdi la testa

se al morto nei fiori

non giochi mai

VIII

c’erano caramelle                    nell’aria

quando li abbiamo                  uccisi

IX

ha parlato di alberi 

si è diviso in due

che tradotto vuol dire

il sistema imperialista

continua ad avvelenare

con la cenere e il lattosio

il proletariato rivoluzionario

la voce esce dal suo corpo

ma non parla

dice le madri che allattano

la mosca cieca

le sue mani dalle unghie ben curate

però lo hanno tradito

segretamente riferisce

ai suoi complici

di spermatozoi flagellati

di pascolare il cranio

di non sapere infine a memoria

X

soavi percosse

di un invisibile Amore

ultima risoluzione:

le stelle rosse rosse

condannano                anche la pertosse

FRANCESCA MATTEONI RECENSISCE “FATE MORGANE” DI MARILENA RENDA SUL BLOG NAZIONE INDIANA

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Fate Morgane di MARILENA RENDA

by Francesca Matteoni • 14 Gennaio 2021 Su Nazione Indiana

Le visioni di Marilena Renda hanno un preciso contesto geografico di riferimento, eppure proprio per questo sfuggono, costantemente: la memoria non scrive più le mappe dei luoghi, che restano in attesa di svanire o divenire. Perfino l’amore è una fata morgana: fatale segno del destino, che permane in impressioni, più che nella reciproca comprensione. Nei corpi della madre, della figlia e dei bambini del mare (in senso reale, con riferimento ai migranti, e simbolico, come creature più forti e selvagge dei loro genitori), affiora una verità tutta fisica e sensoriale, in cui trovare riconciliazione. Forse la sospensione delle fate è l’enigma della parola che insieme contiene e tradisce il passato, anticipa e fallisce il futuro, ma continuamente si china per accogliere. Parafrasando i versi di una poesia: “fa le prove” per un mondo e il suo successore. (FM)

Alcuni testi di Marilena Renda

 È vero, della natura non ti puoi fidare,

ma non dovresti nemmeno disturbare i vulcani.

Potrebbero, se vogliono, emettere

quella bava di fuoco per cui sono famosi

oppure non fuoco, ma metano e fango,

un muro alto venti metri, o anche quaranta

che nelle belle giornate può sollevarsi

e seppellire una famiglia di tre persone.

Ci sono luoghi che non sono come appaiono,

come isole che compaiono all’improvviso

e spariscono dopo una settimana,

terreno per fate morgane e inganni perfetti.

***

Ti abbiamo spaventato, una sera, con gli anni Cinquanta,

i mercoledì sera che si sparava e i bambini che non uscivano,

con mio nonno che sparò al fidanzato della sorella

e gli zii americani che non disdegnano la compagnia

dei narcotrafficanti e dei feroci bestioni di Villabate.

Mio padre coltiva la leggenda dei mafiosi di una volta,

che aiutavano le ragazze a rompere i fidanzamenti

e i paralitici ad ottenere le sedie a rotelle.

Mio nonno contrabbandava grano ed era protetto da Giuliano

e da strani Robin Hood che gli permettevano di trafficare.

Non volevo spaventarti, e non ti ho neanche consolato,

il giorno dopo, in aeroporto, quando sentivi ancora

il fischio delle pallottole alle spalle,

quando mi sono liberata della tua innocenza,

e superato Montelepre, le pietre, le montagne dei briganti

ho gettato dal finestrino la protezione e quel che resta.

***

Non avevo mai visto una casa, quindi la trovai spaventosa.

Venivamo da una tana, conoscevo solo tane.

Mia madre non aveva più lo sguardo del terremoto,

la gonna sgualcita e lo sguardo verso il basso

di quelli che provano a fare ordine nel terrore.

Le madri sono buone, buone come la terra

e la terra è buona anche quando non lo è affatto.

Il loro regno è potente e silenzioso

e nel sangue hanno la quiete della morte.

***

Partorirò un mostro perfetto,

già senza pregi,

che mi guardi

con l’odio della creatura

che prometto di ricambiare,

per espiare il detestabile dono

della vita.

Nessuno amerà tenerlo,

tutti frettolosi nel toglierselo dalle braccia.

Per questo ho ronzato attorno al sogno

finché non sei arrivata tu,

che adesso corri nel recinto

insieme a una bimba malata

che cade sulle mattonelle.

La madre la rimette in piedi,

e tu le piombi addosso

col tuo verso alluvionale,

mentre io ricordo la promessa

a cui non ho prestato orecchio

e che certamente si vendicherà.

***

per Bonaviri

Raccontami di nuovo la storia del bambino

che al tramonto strapparono alla madre

per innestare il suo corpo nel carrubo,

perché dalla circolazione di linfe e succhi

gli uomini ricavassero nuovo nutrimento.

È il padre che deve cibarsi dei frutti di questa infiorescenza,

mangiare carne giovane mescolata a foglie,

in modo da tornare dalla morte al figlio che lo cerca.

Raccontami di nuovo di come il figlio si illuse

di riportare il padre sulla terra e ribaltare le leggi di natura,

di come la madre si trovò perduta, in mezzo alla terra,

perduta, e poi che trovò il figlio-pianta sul punto della morte,

gli si abbracciò dimenticandosi tutta l’altra vita.

***

A Chernobyl, dopo l’evacuazione, i veicoli

sono rimasti a lungo sulla strada. La ruggine non ha fretta,

i bambini venivano su come capitava, in tempo di guerra

nessuno può pretendere attenzione.

Da dove arrivava la nube, tutto è stato sigillato.

A che serve coltivare le arti del passato,

i gesti classici, quando la terra muore?

Non c’è accordo, invece, su cosa fare delle rovine,

nessuno pensa a liberare le vecchie case dai mobili,

dai materassi, i libri e le bottiglie.

Il cinghiale e la lince corrono molti rischi,

ma possono sempre tornare dalla preda,

la foresta fa un silenzio che dice la verità,

gli animali ricordano l’uomo, ma in modo confuso

le categorie si sono mescolate nella zona d’esclusione

le foglie hanno cambiato forma

il mondo fa le prove di un altro mondo.

***

Una nigeriana, a Palermo, in via Juvara

ha gettato in un sacco ciò che resta di un bambino.

La sua morte fino a ieri sarebbe stata solo un pericolo scampato,

uno di quelli di cui si nutre con divertimento

la nostra storia di adulti, con le cadute dalle scale

gli incidenti stradali e i danni ai denti.

Quante cose non vedono i santi che proteggono,

tutta la violenza al centro di questo amore.

Francesca Matteoni

Sono nata a Pistoia nel 1975. Curo laboratori di tarocchi intuitivi e poesia con persone di ogni età e racconto fiabe in varie occasioni da sempre. Insegno storia della magia e della medicina, religioni comparate e altri corsi presso alcune università americane a Firenze. Fra i miei libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Acquabuia (Aragno 2014). Ho pubblicato un romanzo, Tutti gli altri (Tunué, 2014). Ho curato libri collettivi ispirati al fiabesco e scrivo saggi su riviste cartacee e online, fra cui Nuovi Argomenti e L’Indiscreto. Della mia vita accademica, principalmente all’estero, si trovano articoli e questi libri: Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014) e, con il professor Owen Davies, Executing Magic in the Modern Era: Criminal Bodies and the Gallows in Popular Medicine (Palgrave, 2017). Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto in Sardegna. I miei ultimi libri sono il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019), il testo di poesia Libro di Hor con immagini di Ginevra Ballati (Vydia, 2019), e un mio saggio nel libro La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico di Vita. A lunedì alterni mi si può ascoltare su Fangoradio, con la trasmissione Sàivu. Abito in periferia, vicino a un corso d’acqua, con un gatto. Il mio ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/ View all posts by francesca matteoni →