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ALESSANDRO FOGLI PARLA DELLO SPETTACOLO “E’ BAL”, TRATTO DAL NUOVO LIBRO DI NEVIO SPADONI

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QUOTIDIANO “IL CORRIERE DI ROMAGNA”
PAGINA “CULTURA & SPETTACOLI”

TEATRO RAVENNA
LE ALBE “ballano” ancora i passi di NEVIO SPADONI
E’ BAL in scena fino al 28 al Vulkano.
Protagonista un grande
ROBERTO MAGNANI.

Articolo di ALESSANDRO FOGLI

 

Da stasera al 28 febbraio nello spazio di Vulkano a San Bartolo debutta per il cartellone di “Scena contemporanea”, “E’ bal”, nuovo spettacolo del Teatro delle Albe di e con Roberto Magnani e Simone Marzocchi, su un testo in romagnolo di Nevio Spadoni.
“E bal” racconta la storia di Ezia, donna emarginata di un paese della campagna romagnola, vittima delle dicerie della gente, continuamente in cammino alla ricerca di un uomo da sposare. Questo “suo andare in cerca” assomiglia a un ballo, un continuo sgambettare che smuove tutto il corpo della giovane donna. Ezia è vittima dell’abbandono, ricorda solo una vecchia giostra, teatro a quanto pare del primo incontro con quel cavaliere che l’ha lasciata sola a ballare questa folle danza, che assomiglia a un sogno, che è la vita.
“Sono passati sei anni da quando decidemmo di realizzare una “lettura selvatica” tratta da ‘Odiséa’ di Tonino Guerra, che mi vedeva per la prima volta solo sulla scena”, spiega Roberto Magnani. “Quell’esercizio sulla lingua romagnola mi ha portato in giro per l’Italia, aiutandomi a costruire un percorso di ricerca sul dialetto che si inseriva pienamente nella linea che il Teatro delle Albe, molti anni prima, aveva portato a livelli altissimi”.

Anche a Nevio Spadoni abbiamo chiesto qualche riflessione su questo suo nuovo testo.  Cos’è “E’ bal” ?

L’ho considerato un divertissment, come tutti i miei lavori è buffo e amaro al contempo, si ride e si riflette. È una metafora della vita: Ezia, frustrata, è bersaglio di altrettanti frustrati, che sfogato il loro becero divertimento su di lei. Ci sono varie sfaccettature, con personaggi tra comico e tragico, per i quali il dialetto ha immagini perfette, che non sempre rendono al massimo anche in italiano. E un’altra peculiarità del testo è che è scritto tutto in quinari, è un ballabile. Il personaggio della protagonista mi è venuto fuori di suo piede, perché credo che in tutto quello che scriviamo ci sia qualcosa di personale, che bene o male alla fine viene fuori, anche inconsapevolmente”.
Come hanno lavorato sul testo Magnani e il musicista Marzocchi?
“Hanno allestito il tutto in modo davvero geniale. Il testo è ambientato in una mentalità paesana del passato, ci stava bene l’aspetto della tradizione, della superstizione, della cultura popolare – elementi spesso presenti nei miei lavori – e dunque ho chiesto a Magnani di focalizzarsi particolarmente sul dialogo tra Ezia e la civetta, che appunto fa parte delle superstizioni popolari”..

Ancora un suo testo viene portato in scena dalle Albe. Ma “E’ bal” è nato con l’idea di vederlo rappresentato?

“In effetti con le Albe ci sono ormai vent’anni di collaborazione, a partire da “Lus”. Per “E’ bal” ci ho pensato in un secondo momento. Ne feci io una lettura a un gruppo di amici un paio di anni fa, come primo esperimento, e lì mi son reso conto che un attore come Magnani lo avrebbe potuto interpretare benissimo; allora ho mandato il testo a Marco Martinelli a cui è piaciuto molto, così come Roberto. Da lì è partito tutto”.
(segue)

GIANLUCA D’ANDREA RIFLETTE SUL PRIMO LIBRO DI DAMIANO SINFONICO, “STORIE”

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Dal blog CARTEGGI LETTERARI

Storie (nota di Gianluca D’Andrea)

 

Nel momento in cui parlo, mi sembra di essere proiettato davanti a me, lasciando me stesso dietro. […] Il corpo non è tanto localizzato quanto distribuito nello spazio.

Steven Connor, La voce come medium – Storia culturale del ventriloquio (Sossella, 2007)

Il libro di esordio di Damiano Sinfonico (Genova, 1987), come ben espresso in prefazione da Massimo Gezzi, è contraddistinto da un’inquietudine di fondo. Nonostante nella stessa prefazione si lasci intendere l’inesplicabilità della sensazio-ne sottesa ai testi di Storie, è comunque possibile tentare di individuarne i segnali.
Lasciando un po’ in disparte le scelte formali e strutturali della raccolta (per le quali si rimanda ancora alla prefazione – si veda soprattutto la riflessione sul verso-frase, la cui imposizione per tutto l’arco dell’operazione induce a un senso di asfissia o monotonia “ansiosa”; oppure la sistemazione “simmetrica” dei testi che si può giustificare nello sforzo di offrire un nuovo ordine all’opera/mondo), mi concentrerei su alcuni concetti che sembrano voler emergere dalla trama.
In primo luogo il mezzo, la raccolta è costellata da vicende di passaggio. Si apre con una telefonata: telefono, medium di una voce ctonia che parla della morte proprio quando il soggetto è impegnato a “riportare in vita” per mezzo della memoria Costanza d’Altavilla. Il ponte – almeno due testi sono incentrati su questa figura -, medium del cammino e, infatti, sembra banale sottolineare che “cammino” e “corrente” sono due dei termini chiave per provare a comprendere il “passaggio” o mutamento epocale cui siamo tutti sottoposti: «Il trasloco sta finendo», «Aspettare insieme il domani», «Questa casa si apre agli anni futuri./ Arriveranno uno a uno./ Li conteremo insieme, luminosi e meno./ In te c’è un altro secolo di vita», pensierini-verso, oso dire, che troviamo nell’ultimo testo della raccolta, post-it, promemoria che ci “ricordano” il continuum della nostra esisten-za.
L’inquietudine “mortuaria”, assai personale – e la “fluidità” della storia s’incro-ciano – ancora il mezzo – nel tentativo di un orientamento, una nuova inquadra-tura o, meglio, la speranza affranta di poter incidere sulla “non scomparsa dalle mappe”. Già, una mappatura che tiene conto, però, della distanza relaziona-le, «siamo lontani come due bordi di un cucchiaio», ma che non vuole arrendersi ad essa, nonostante a volte l’inserzione sotterranea del medium faccia propendere, come fosse una tentazione, a interrompere la relazione col mondo: «A volte ho la tentazione di staccare la corrente». L’operazione resta sospesa tra la “dissoluzione” anche fisica, dei corpi, e lo spunto, già evidente nel primo testo, di una vivificazione, attraverso il segno, dello stesso mondo, intravisto sull’orlo della sua scomparsa.

                                                                                                                                      Gianluca D’Andrea

DAVIDE RONDONI, SULLA RIVISTA “CLANDESTINO”, RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI BARBARA HERZOG, “SE NON NEL SILENZIO”

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