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ROSSELLA RENZI RECENSISCE “TORNARE A PENSARE” DI MAURIZIO BACCHILEGA.

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ROSSELLA RENZI RECENSISCE “TORNARE A PENSARE” DI MAURIZIO BACCHILEGA.

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Tornare a pensare è la nutrita raccolta di poesie che Maurizio Bacchilega dà alle stampe nel 2018, per la casa Editrice L’Arcolaio.

Maurizio Bacchilega, Tornare a pensare (L’Arcolaio 2018)

È un’opera composita, con i suoi circa centotrenta testi che affrontano le diverse prospettive sulla vita, sul pensiero e sulla scrittura. E diversi, tra i componimenti proposti, sono vere e proprie dichiarazioni di poetica: riflessioni sul senso, sullo sguardo, sul significato della poesia che accompagna il quotidiano dell’autore. Molte volte, infatti, Bacchilega si abbandona al racconto della sua passione per la poesia, per la lettura, per la notte che concede il silenzio e la giusta calma, da dedicare ai versi («Sono così felice quando leggo, quando scrivo»).

La trasparenza, accanto a quella semplicità diretta e puntualmente argomentata, è la cifra di questo autore imolese, che aveva già accettato la sfida coi versi nel 2010, con la raccolta Paesaggi del mondo e dell’anima (L’Arcolaio): Bacchilega lo scrive chiaramente, vuole essere autentico, limpido, compreso dal lettore. E al lettore pensa spesso, a volte interrogandolo, a volte affidandogli le sue confidenze, le digressioni sulle piaghe del nostro tempo, o l’impegno di una riflessione filosofica. Il pensiero è infatti al centro di questa raccolta, come necessità, esigenza, possibilità di salvezza:

«Il tuo tempo è la vera risorsa finita

è il tesoro non conosciuto

l’oro di tutti, il vento fermo

il pensiero che può restare.»

Il libro è diviso in tre parti che, con i rispettivi titoli, annunciano le tematiche su cui si sviluppa il pensiero dell’autore: La poesia dell’emergenza, Della gioia, Elogio della notte. La prima e più corposa sezione caratterizza maggiormente la natura di questo lavoro: un’opera in primo luogo di denuncia, che esprime la necessità di raccontare l’emergenza (una parola entrata nel nostro quotidiano in questi mesi di pandemia), ma sempre con estrema grazia ed eleganza. Perché è questo il modo di concepire la poesia, per Maurizio Bacchilega: una forma d’arte che è attenta al mondo, ma che dalla sua trivialità e bassezza tenta di proteggersi, per restare pura.

La sua profonda sensibilità umana e civile lo porta a mettere su pagina le ferite della contemporaneità, per fare suonare i campanelli di allarme, per risvegliare e scuotere le coscienze; e le persone dal loro torpore, dall’immobilita, dalla mancanza di attenzione e di pensiero critico. In questi testi ritornano concetti come il vuoto, la solitudine, le piaghe sociali, lo sfruttamento, il profitto, la schiavitù, che si concentrano in quell’ammonimento riportato in esergo in una poesia, con i preziosi versi di Luigi Di Ruscio, Bisogna sapere assolutamente in che mondo viviamo:

«Le schiavitù aumentano ovunque

sempre più indisturbate:

non vengono nemmeno percepite

non vengono nemmeno nominate.»

Bacchilega, da sempre lettore attento e attivo nel confronto con gli autori di oggi e di ieri, tesse un dialogo con i maestri della letteratura, ne riprende i temi e li attualizza; cura questa trama poetica, che si fa a tratti più discorsiva e a tratti più lirica, con grande attenzione. In alcune pagine, proprio al modo di Caproni, compone frammenti pungenti e affilati sulla situazione del nostro tempo «Questo è il tempo / del difficile parlarsi».

Dunque occorre tenere alta la guardia, cercare di recepire ogni movimento, messaggio, segnale che possa disturbare il nostro “essere umani”. Così Maurizio Bacchilega affida alla parola, in particolare quella poetica, il compito di risvegliare quel senso di responsabilità, per curare il bene che ci è stato concesso, il fiorire della vita. Perché c’è una gioia da preservare, ed ecco che nella seconda e terza sezione del libro – Della gioia, Elogio della notte – i testi si fanno più distesi, luminosi, accoglienti. Parlano dell’amore e della bellezza che la vita ci dona, riproponendo più volte la parola miracolo, poiché proprio su questo è bene soffermarsi, ringraziare, e poi di nuovo Tornare a pensare.

Le parole saranno

forse anche svuotate

ma capita talvolta

(ed è come per miracolo)

che portino con sé una “pelle d’oca”

un brivido che riempie di vita

la notte e ti aiuterà

ad abitare il giorno.

15 Luglio 2020                                                                                                         

                                                                                                         Rossella Renzi

MARIO MARCHISIO RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI GABRIELE GABBIA: “L’ARRESTO”.

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MARIO MARCHISIO RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI GABRIELE GABBIA: “L’ARRESTO”.

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MARIO MARCHISIO RECENSISCE “L’ARRESTO” DI GABRIELE GABBIA

SUL BLOG ARCOLAIO “LA COSTRUZIONE DEL VERSO

«L’arresto» (L’arcolaio, 2020), ovvero un canto scabro, martellante, sviluppato sotto l’insegna amebea della purezza lessicale e dell’asprezza stilistica. Qui tutto il peso dell’angoscia di fronte al nulla del mondo istituisce un nuovo punto d’osservazione: il ‘proprio’ nulla («dacché è dove non sei / che stai»), in cui si ferma il tempo e s’inceppa il divenire, mentre gli oggetti e i soggetti tornano all’ancestrale ruolo di ‘simulacri’. L’elisione dell’io è fuor di dubbio una guerra persa in partenza, poiché al profilarsi di ogni ulteriore simulacro si rende necessario un ulteriore ribaltamento di prospettiva. Ciò tuttavia non potrà impedire che si dispieghi, come in queste liriche di Gabriele Gabbia, un coraggioso, alto esercizio del ‘dire’.

L’estrema tensione e l’urgenza da cui promanano i suoi versi li cesellano in forme anche ispide, concitate, che sarei tentato di paragonare a certi esiti della lirica michelangiolesca, piú che al «barocco raggelato» di cui parla Pontiggia nella sua prefazione, comunque persuasiva. Penso in particolare a testi come «Una volta sola», che non a caso conclude la silloge. La stessa sentenziosità rastremata di alcuni snodi rientra a mio modo d’intendere proprio in questo orizzonte “agonistico”: «È tardi: è l’ora / della cenere […]»; «L’amore: quel boia / che ciascuno reca in sé»; «La parola che scardina / e rimuove redime».

Facendo tesoro di immagini degne del torbido e allucinato Trakl, indossiamo dunque anche noi, come Gabriele Gabbia, «[…] l’immensa corona di spine / ogni giorno piú a fondo infissa / nel cranio d’avorio e aria / che t’è toccato in vita». Il miglior viatico per lèggere proficuamente le sue poesie.

MARIO MARCHISIO

SIMONE BIUNDO, SULLA RIVISTA “LA BALENA BIANCA” RECENSISCE “CINQUE CARTOLINE DAL FRONTE E ALTRA CORRISPONDENZA” DI YARI BERNASCONI.

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SIMONE BIUNDO, SULLA RIVISTA “LA BALENA BIANCA” RECENSISCE “CINQUE CARTOLINE DAL FRONTE E ALTRA CORRISPONDENZA” DI YARI BERNASCONI.

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SIMONE BIUNDO, SU LA BALENA BIANCA, RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI YARI BERNASCONI: “CINQUE CARTOLINE DAL FRONTE E ALTRA CORRISPONDENZA”.

Cinque cartoline dal fronte e altra corrispondenza è l’ultimo libro di Yari Bernasconi (dopo Nuovi giorni di polvere, Casagrande, 2015) uscito nell’ottobre del 2019 per la casa editrice L’Arcolaio nella collana Phi, diretta da Gianluca D’Andrea e Diego Conticello. La plaquette, divisa in tre brevi sezioni (venti componimenti in tutto), sin dal titolo dichiara esplicitamente il nucleo lirico dei testi: il fronte, inteso come confine geografico e relazionale offuscato da cupi conflitti politici e interiori, e la scrittura, il mezzo per rianimare la realtà e intrattenere un dialogo, seppur perdente o conflittuale, con l’alterità.

Le poesie della prima sezione, composte tutte da nove versi piani e misurati, straordinariamente classici e musicali, riportano la vita grigia e confusa degli uomini e delle cose della frontiera. Sono cartoline in minore, brevi istantanee che ritraggono i luoghi dell’infanzia di Bernasconi: Ponte Tresa, un minuscolo paese lacustre sul confine tra Svizzera e Italia, e i suoi dintorni, come le strade per Luino e le acque del lago di Lugano. Nell’oppressione di un paesaggio dall’aria tetra e buia dove anche i boschi sono «fitti e poco spettacolari» (p. 17) e dove le strade anche se «non crollano» sono animate solo dagli smottamenti che «danno scosse leggere alle curve e ai profili delle rocce» (p. 18), Bernasconi ci mostra un’umanità ridotta ai minimi termini. Nel persistente traffico dei pendolari, si intravedono solo superstiti che non credono più a nulla, mentre «il solco dell’odio, delle finte incomprensioni» è sempre più profondo» (p. 17). La pervasiva presenza degli avverbi di negazione vanifica le azioni delle anonime figure che popolano gli spazi e definiscono il senso dell’impossibilità che accompagna il movimento lento e senza scopo dell’umanità, una «folla disordinata, di sguardi» dove non è possibile riconoscere nemmeno un «tratto distintivo» (p. 16).

«Dicono guerra e io guardo il lago

appena mosso. Lo specchio di cielo

fra Italia e Svizzera, nel tepore del sole

che arriva. Gli eroi sono altrove:

niente sanno di queste vite assembrate

negli abitacoli e nel traffico, in mezzo a polveri

sospese. Le giornate che si stringono

fra due diverse e sempre uguali indifferenze.

Non direbbero guerra, se potessero» (p. 15).

Nella seconda sezione, Altra corrispondenza, appena illuminata dal riverbero della luce sull’asfalto, emerge un dialogo con un tu (cinque interlocutori reali, come precisa la nota a fine libro e lo stesso Bernasconi nell’intervista a Guido Grilli con cui l’autore costruisce, invece, la concretezza di uno scambio. Non ci troviamo più a Ponte Tresa e la corrispondenza sostituisce la toponimia come fondamento dei testi: «Ecco, vorrei scriverti questo: tu conosci | il materiale. Sai quanto è porosa la vita» (p. 23); «Ma no, non eravamo più giovani: siamo | noi. Né tu né io. Soltanto noi. Il nostro noi | senza tempo» (p. 27).

L’importanza tematica e metapoetica della scrittura si rivela nella terza sezione, composta da frammenti prosastici di lettere non ancora scritte o in procinto di bruciare, come suggerisce in esergo la citazione post-apocalittica di Ray Bradbury. Qui due voci diverse, entrambe alla prima persona, e distinte graficamente dall’uso del tondo per la voce maschile e del corsivo per la voce femminile, genitori di uno stesso figlio e ora separati, sono arroccate su diverse inconciliabili posizioni, preferendo la solitudine alla pacificazione degli opposti. Si scambiano le accuse, sempre più serrate: «Smetti di aggrovigliare le parole, guardati intorno» (p. 36); «Non c’è tempo, è vero, ma non ce n’è per nessuno. Un giorno sarai ancora sola» (p. 37); «L’unico amore che conosci è quello per i fantasmi. Ma non nominare il figlio che hai respinto» (p. 38); «Non vi ho mai davvero respinti: le circostanze me l’hanno imposto» (p. 39).

Bernasconi in Cinque cartoline dal fronte e altra corrispondenza registra le parole di un dialogo interrotto e non riafferrabile, al punto che un padre alla parola preferisce il silenzio: «Non posso più comunicare con lui, a meno di imparare la vostra lingua. Non accadrà. Non sarò figlio di mio figlio» (p. 39). Nell’indifferenza e nelle improvvise apparizioni che apparentano l’uomo all’animale («sei tu la volpe | con il pelo più rosso» p. 25), nel fiume abbandonato alle anguille e nell’animazione delle cose che sottilmente comunicano, dagli «smottamenti» della terra ai fiori di plastica sulla strada che evocano i morti, si avvertono echi di Montale, Sereni, e Pusterla. Lo sguardo poetico che ordina le parti si rivela attento e calibrato e sancisce pacatamente l’abbandono e la rovina se, come nella seconda sezione, «le cose non vanno e non sono andate | come speravi» (p. 26). Nemmeno l’epifania rumorosa di un ragazzo che si getta nella «striscia d’acqua dolce» fra Caslano e Lavena (p. 19) scalfisce la certezza della «paura di un’altra nuova fine» (p. 19), quando, nel domani, vedremo solo la pioggia a nascondere il cielo, gli alberghi cupi e inabitati e le case svuotate, oppresse dai monti a strapiombo.

Il libro, significativamente, si chiude con la fine della scrittura e delle relazioni. La voce femminile esorta il suo interlocutore a posare la penna, dopo aver passato il limite e aver dilatato il suo buio. È l’ultima lettera della donna. Non ce ne saranno altre e come s’interrompe la corrispondenza tra i due personaggi così accade con quella dell’autore e del lettore. Non resta che riporre le lettere e il libro e meditare, in attesa di rileggere ancora.

Yari Bernasconi, Nuove cartoline dal fronte e altra corrispondenza, Forlimpopoli, L’arcolaio, 2019, pp. 47, € 6.

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TORNA IN CASA ARCOLAIO, DOPO DIECI ANNI, GABRIELE GABBIA CON IL SUO NUOVO LIBRO, INTITOLATO “L’ARRESTO”. LA PREFAZIONE E’ STATA SCRITTA DA GIANCARLO PONTIGGIA, MENTRE LA POSTFAZIONE E’ OPERA DI FLAVIO ERMINI.

luglio 20, 2020

CINERAMA Poesia e Prosa Lascia un commento [Edit]

Torna in Casa Arcolaio Gabriele Gabbia, l’autore bresciano che nel 2011 sbancò il tavolo da gioco con l’ottenimento di numerosissime recensioni. Non staremo qui a ricordarle, occorrerebbe tutto lo spazio a disposizione del presente post. Vinse anche alcuni premi significativi: insomma, entrò nel panorama della poesia italiana con il piede giusto. Con gli anni, Gabriele si è un poco appartato, ma non è rimasto inattivo. Con la precisione che lo contraddistingue ha lentamente preparato questo suo secondo progetto, richiamando tra l’altro anche alcuni brani del libro precedente.

E’ così nato “L’arresto”.

+++

Dalla prefazione di Giancarlo Pontiggia:

«Muraglie di somme / – resti»

Basterebbero le tre epigrafi convogliate in esergo a definire lo stato di perdita e di lutto – irredimibile – dal quale ha origine il libro: se la poesia si dà come un messaggio «nella bottiglia del nostro naufragio», se dentro l’atto dello scrivere è già segnato un destino, che è quello di un inevitabile «andare via», L’arresto – titolo anch’esso emblematico – non può che essere un canto, si badi, non della fine, ma «per la fine».

*****

Dalla postfazione di Flavio Ermini:

Guardare «dal nulla»

La legge della grande esistenza – propria degli antichi viventi – è tragica, arreca l’arresto, ma un arresto in cui finalmente si compie il senso della vita: lo spirito che fiorisce eterno nello sguardo muto dei morti, mentre nei vivi si consuma effimero e quasi senza lasciare traccia. Quello spirito che fa scrivere a Gabbia: «solo, soffierò / lo sguardo, / da ciascuno / di voi tutti / su ognuno / di me».

Due testi:

LA PERDITA DI TUTTO

a Domenico Gabbia

I.

La prima solitudine

nell’auto — vettura vuota

— corpo: vascello abbandonato.

Seduto, risucchiato

nel sedile senza fondo, a fianco

dell’assenza di tuo padre. Fuori

la perdita della luce delle mani degli anni…

La perdita di tutto. Anche

di questo, ricordo.

II.

La tua religione sprecata
ne l’invoco a la lingua
di tuo padre come sgorgo
divino plasmato, che implode
ferito; sangue
che chiede e non dona

— non sana: affonda.

***

L’ESSENTE IN CUI SEI

I.

Nello spazio condiviso

esser solo

             spazio essente

(condiviso) in sé:

nell’ascesa dell’ombra

l’atteso incontro

— quando sei te.

II.

Io percorro te stesso

nel silenzio che trascorro

nell’ausculto dell’andirivieni

dell’altro da me ch’è in te:

l’essente in cui sei

— ciò cui sto.

III.

Tu cerchi il tuo sguardo per crederti

– per figgerti –,

per trovarti e pure appendice

nel moto del vero

e finisci, solo

per lambirti,

dacché è dove non sei che stai.

IL 16 LUGLIO P.V. IL COMUNE DI FORLIMPOPOLI E LA BIBLIOTECA COMUNALE PRESENTERANNO IL SECONDO APPUNTAMENTO DELL’INIZIATIVA “PAGINE A KM. 0”, AUTORI E LIBRI DALLA ROMAGNA.

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via IL 16 LUGLIO P.V. IL COMUNE DI FORLIMPOPOLI E LA BIBLIOTECA COMUNALE PRESENTERANNO IL SECONDO APPUNTAMENTO DELL’INIZIATIVA “PAGINE A KM. 0”, AUTORI E LIBRI DALLA ROMAGNA.

IL 16 LUGLIO P.V. IL COMUNE DI FORLIMPOPOLI E LA BIBLIOTECA COMUNALE PRESENTERANNO IL SECONDO APPUNTAMENTO DELL’INIZIATIVA “PAGINE A KM. 0”, AUTORI E LIBRI DALLA ROMAGNA.

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FORLIMPOPOLI, 16 LUGLIO 20200RE 19BIBLIOTECA COMUNALE

 

 

 

L’arcolaio aspetta tutti gli appassionati di poesia del territorio forlivese all’evento forlimpopolese del prossimo 16 Luglio.

L’editore Gian Franco Fabbri parlerà brevemente della storia della casa editrice. Subito dopo darà la parola ai tre

autori del territorio emiliano-romagnolo che interverranno: Maurizio Bacchilega, Gian Ruggero Manzoni e Roberto Dall’Olio.

L’editore e tutta la redazione ringraziano il Municipio di Forlimpopoli e l’Assessorato alla cultura.

 

L’ingresso sarà libero.

Il luogo dell’appuntamento sarà la corte del palazzo della Biblioteca comunale.

L’orario scelto per la realizzazione dell’incontro è quello delle 19,00.