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ECCO IL PRIMO DEI TRE LIBRI CHE CHIUDONO IL 2021. ANDREA ITALIANO ESORDISCE IN ARCOLAIO CON “LA COCA” – COLLANA PHI DIRETTA DA GIANLUCA D’ANDREA E DIEGO CONTICELLO.

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Andrea Italiano è l’ultimo acquisto dell’Arcolaio! Esordisce nella collana phi, diretta da Gianluca D’andrea e Diego Conticello. La sua è una scrittura graffiante e polemica nei confronti di una società che non tiene conto dell’uomo. Lavoro inteso come carcere; usi e costumi ridotti a brandelli. La lingua tagliente del poeta ci indica il concetto del sopruso ordito dalla parte violenta dell’essere umano. Non mancano testi scritti anche in polemica con la sua terra amata: la Sicilia, l’isola presa come punto di riferimento, allargata al resto del mondo presente. Trascriveremo, qui sotto, l’interessante nota editoriale scritta da Diego Conticello: leggetela, prima di passare ai brani icastici del nostro Andrea: ne ricaverete un quadro vivido dei nostri tempi, così scoraggianti e privi di riflessione.

(gf)

***

Le poesie di Andrea Italiano “narrano” scene quotidiane, ma col pregio di non risparmiare alcun particolare crudo, venale, finanche scurrile ma vivo, agonico benché agonizzante nella continua lotta per la sopravvivenza a certe latitudini […] un perpetrarsi di destini al negativo in una Sicilia irredimibile che è, come sempre è stato, emblema di tutte le terre, di tutte le esistenze che vi gravitano “isolate” senza quasi lasciare traccia.

Siamo dunque di fronte ad una articolata genealogia dei “vinti” di ritorno, che sembra imbalsamare tutte le figure evocate – ivi compreso lo scrivente – all’interno di lallazioni e analfabetismi vitali nel segno inequivocabile di un irredento destino, di una immobile fragilità però sempre alla continua ricerca, ed è questo il vero pregio, di un guizzo oltre la superficie ingabbiante/asfissiante delle torbide e regressive acque dell’isola-mondo.

Diego Conticello

Alcuni testi:

Per giorni lunghi lunghissimi un gatto

è rimasto sulla strada non raccolto da nessuno

e le macchine a passarci sopra

ne hanno sparpagliato la carne

alla fine è rimasto pellame trasparente

sfrigolante come alluminio sotto il peso delle gomme.

Gatti ne muoiono sulle strade e non solo,

cani lucertole conigli persino uccelli

e uomini più di animali,

ogni giorno uno spreco di vita incredibile.

Se uno avesse occhiali per vedere le anime che salgono

davanti avrebbe colonne di fumo

davanti dietro di lato una gabbia di anime,

come si fa a non impazzire?

***

Felice mi parlava di spaccio

diceva che diversamente dai suoi tempi

oggi gira molta più coca che erba,

così lui spiega i bambini sballati di tredici anni

le ragazzine senza mutande a quattordici.

Non so se dice il vero magari Felice ha sognato

ma passando dallo scientifico tra casa-lavoro

mi sono fermato a guardarle queste formiche sciamanti,

le femmine sono più scaltre dei maschi

e ci credo che già se lo prendono appena escono di casa.

Li ho osservati bene questi figli disperati

sono diventati quello che volevamo

e la coca di Felice esiste,

siamo noi che gliela vendiamo.

***

A chi mi domanda che lavoro faccio

dico il domatore nei circhi

ma in un tempo e in un paese

dove le persone sono le bestie più feroci.

Ci sono giorni che non riesco

e mi salgono con i piedi in faccia

o mi ficcano le unghie nella carne.

Non era questo il mestiere che volevo

eppure era proprio questo

che per occhi microscopi mi ha dato

che entrano dentro i giorni negli abissi delle vite

dove c’è quello che c’è

un dio affamato c’è

un animale che muore di fame c’è.

Era proprio questo che volevo,

vedere l’origine di tutto e di tutti

capire tutto capire tutti.

***

Parlava solo di viaggi visti alla Rai

a chi ci domanda di lui diciamo che è andato in pensione

invece è fuggito proprio

ha preferito morire di fame

che impazzire in questo luogo.

Se dobbiamo pronunciare il suo nome

lo facciamo sottovoce

per paura di evocare il buco nero,

quel vortice che prima o poi ci inghiottirà tutti

Italia del sud sud del sud

visi pallidi assediati dagli indiani,

sanbastiani con le braccia legate/ dietro la schiena

che valgono/ zero.

***

Andrea Italiano è nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1980. Si è laureato al DAMS di Palermo. Ha pubblicato le raccolte poetiche Guerra alla tonnara (Ladolfi Editore, 2011) e Solo l’uomo (Ladolfi Editore, 2016). Per la saggistica d’arte ha pubblicato: Caravaggio in Sicilia. L’ultima rivoluzione (2013), Novara d’Arte (2014), L’arte con i miei occhi (2015), La Basilica di San Sebastiano in Barcellona (2016), Filippo Jannelli 1621-1696 (2017), Straordinari (2018), Sulle tracce di Caravaggio. Alonzo Rodriguez “principe dei pittori messinesi” (2020) tutti per la casa editrice Giambra Editori e Salvatore De Pasquale da Messina. Prima ricognizione critica delle opere (Alessandro Mancuso Editore, 2021).

FRANCESCA NERI RECENSISCE “CROCEVIA DEL FUTURO” DI CARLO CIPPARRONE. VOLUME CURATO DA SAVERIO BAFARO.

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Francesca Neri recensisce “Crocevia del futuro” di Carlo Cipparrone

ne La costruzione del verso.

Volume curato da Saverio Bafaro..

Grazie alla curatela attenta e sorretta da amicale sollecitudine di Saverio Bafaro ci viene offerta l’opportunità di accostarci ai testi di Carlo Cipparone, che  ci forniscono l’immagine di un poeta per nulla incline al vezzo dell’autocompiacimento  narcisistico che spesso è dato ritrovare  in raccolte di versi; un poeta che ha troppo rispetto della parola per degradarla o snaturarla e che non esita a definire “un peso” quelle ali che Baudelaire aveva assegnato al poeta-albatros capace di sollevarsi alle nuvole eppure ostacolato da esse sulla tolda della nave dove è oggetto delle derisioni dei marinai.  All’immagine del poeta consapevole di una propria superiorità intrinseca si sostituisce quella di chi ha preferito “andare a piedi”, immergendosi nella vita così com’è, subendo anche offese e delusioni rimaste tutte ben presenti all’interno di quel “cranio” o “scatola nera” che tutto ha registrato. Edotto della “misera cosa” che noi uomini siamo, Cipparone ci consegna una poesia spesso contrassegnata dalle antitesi, che proprio dalla contrapposizione desume maggior risalto e che sottintende una costante ricerca di autenticità in un mondo in cui “si cerca l’utile, il frutto”. Venuti dal nulla, noi uomini che non abbiamo chiesto di nascere siamo “chiamati a vivere” e perciò costretti “per difenderci/ a inventare strategie”.  Una di esse consiste “nel fingersi allegri”, un aspetto di quella gnome coagulatasi intorno all’esperienza esistenziale che percorre tutta la raccolta. Una esperienza esistenziale che deve fare i conti con l’attacco alla Natura: per devastare un bosco basta accendere il fuoco con un cerino, non è necessario altro. La ferita all’ambiente induce il poeta a chinarsi con quella sorta di devota pietas che si ha davanti ad esseri defunti sopra gli “scheletri di tronchi inceneriti”. Le armi di cui l’umanità si serve per uccidere sono notoriamente armi a doppio taglio: così il trabocchetto predisposto per catturare la selvaggina rischia di diventare una trappola per chi ne è stato artefice. A volte gli strumenti di cattura metaforizzano situazioni esistenziali: l’esca nasconde l’amo, l’”apparenza appetibile” cela l’inganno. Un tema che sollecita parecchio l’attenzione del poeta è quello della quotidianità con il ripetersi inclemente dei suoi riti e con l’intrinseca obbligatorietà di “strappare l’io dall’io”, quasi un dovere di alienazione preventiva per poter “andare inermi dentro la giornata”. Forse per Cipparone si riesce ad essere se stessi soltanto quando ci si impegna in un’attività che si ama e che soddisfa, come un hobby, mentre alla postazione di lavoro “l’anima è schiava”. All’ occhio del poeta anche i pendolari sulla metropolitana offrono le “facce tese e serie” di “altre vittime d’ansie labirintiche”.      

  La sua aspirazione sembra essere quella ad una ininterrotta navigazione che gli consenta di “vivere in contumacia”, comportandosi dunque come un imputato renitente a presenziare al dibattimento che pure lo coinvolge. C’è, è vero, la necessità di non lasciare tracce, dunque occorre “cancellare i propri versi, / stracciare carte e testamenti/ prima che lo facciano gli altri”, senza nessuna preoccupazione, evidentemente, di lasciare traccia – e fama – di sé.

Degli ultimi tre testi, il primo affronta il tema impegnativo della malattia e del suo significato (punizione o penitenza? Ingiustizia o disgrazia? Tragedia senza speranza? O addirittura “un segno privilegiato di redenzione divina?”. Il secondo si proietta oltre la morte fisica, quando forse potremo dire se esiste una realtà ultraterrena o se invece essa è stata solo una “nostra terrena fantasia” o se “la vita fu solo buio”.

Cipparone appare dotato di ironia e autoironia, dono a mio avviso particolarmente importante: nella composizione che chiude il volume esorta a non assillarsi nel cercare i refusi per correggerli, esortazione che possiede una scoperta e profonda valenza metaforico-esistenziale: se si sono commessi errori (che siano di digitazione o di vita), hanno una loro ragion d’essere nell’imperfezione dell’essere umano. Il che costituisce un ulteriore esempio di rifiuto di ogni albagìa umana e poetica a favore di un discorso compositivo di alto livello tematico e formale.

                                                                                                                             Francesca C. Neri