Un nuovo autore entra nel catalogo Arcolaio.                     

 

 

 

E’ Arabella Santucci, marchigiana di Macerata, con il suo “Prima dell’alba“, una sorta d poesia dello spirito colta nel farsi della propria germinazione (quindi all’alba della coscienza). Un verso sommesso, eppure limpido, nella sugestiva esposizione e nella correttezza linguistica.
Introduce la raccolta il nostro Giorgio Barberi Squarotti.

Diamo conto, in questa sede, di alcuni testi e del punto di vista del grande critico letterario.

Buona lettura.

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In un’ondata di calma

arriva il Tuo ricordo.

Non saprei dirti, ora,

se la muraglia grigia

s’è frantumata in un bianco

cielo quieto,

ma tutto è ora come

un’acqua limpida,

un’anima ingenua che

raminga mi consola,

mentre il Tuo volto

è un’immagine bambina,

esiguo specchio che il male

del mondo estenua.

***

Ti sei fatto debole con

i deboli,

per guadagnare i deboli;

Ti sei fatto tutto a tutti,

per salvare ad ogni

costo qualcuno.

Ed ora torno tacita

al Tuo approdo,

e non sono che un suono

di volubili ore,

il sussurro che va tra le foglie,

lo stridio che sgretola l’aria

e ancora divide il mio cuore.

***

Poiché Tu attraversi valichi

dove nessuno è passato,

e raggiungi luoghi dove

non ci sono sentieri,

sono diventata ora

un’eterna vendemmia

scintillante di sole.

***

Il tempo è senza fine

nelle Tue mani

e ancora sembra,

al sole dolente del tramonto,

che una pazza ghirlanda di voci

e risa

intrecci intorno a Te

il suo vivere.

Noi non abbiamo tempo da perdere,

e non avendo tempo

dobbiamo affannarci

per non perdere le nostre occasioni.

Siamo troppo poveri per arrivare in ritardo.

Alla fine del giorno m’affretto

per paura che la Tua porta sia chiusa;

e invece c’è ancora tempo.

***

Adesso comincia la sera.

Senza rompersi ondeggia

da un colle all’altro.

Lungo il fiume se ne va

il mio amore.

Ha l’anima più vecchia

della luna.

 

 

———————————————————prefazione di Giorgio Barberi Squarotti——————————————————————

Prefazione

La raccolta di versi di Arabella è fondamentalmente divisa in due parti, di diversa concezione e impostazione, ma di ispirazione e di tensione analoghe, che sono l’amore divino e l’amore umano; e ha una conclusione familiare, con la rievocazione della madre, come per il ripiegarsi del discorso poetico su se stesso, nella malinconia sommessa del rimpianto e del ricordo. Devo dire subito che la prima parte dell’opera mi appare di straordinaria originalità come scrittura e di sapientissima lucidità d’immagini, di invocazioni, di forza innografica. La sento come una sequenza di salmi moderni, risolti in un essenziale colloquio con Dio, ilare, appassionato, festoso, nella luce piena dell’incontro quotidiano, della conversazione, della vittoria sull’ansia, sul dolore, sul rischio della solitudine.  Come dice il primo componimento, “ho conciliato i ricordi / con le speranze”, quando “ho udito il Tuo passo leggero / e il breve sorriso”. L’annunciazione dell’Eterno vince il tempo, nel senso che illumina e acquieta il passato e annuncia il futuro sicuro e chiaro.  Spesso, come nella poesia mistica (Dante, san Juan de la Cruz, Ildegarde di Bingen, Silesius, Rebora, la Dickenson), c’è un che di carnale nella rappresentazione dell’incontro con il Dio sempre presente, autenticamente vero ed attuale, come in quelli biblici di Maria che parla con l’angelo o di Gesù con la donna di Samaria.  Il colloquio con Dio è sempre l’evento attuale, al di là della storia, nella presenza che dura sempre. Per questo Dio è presente quando il poeta vaga di paese in paese, il Suo volto è incancellato nel mutare dei giorni e delle stagioni e delle ansie dell’anima, la stessa parola poetica non è che l’e-  co sicura del Suo parlare con l’anima confortata.

La poesia di Arabella unisce l’invocazione con la raffigurazione delle vicende concrete dell’esistenza, quelle del cuore e quelle dei luoghi, del trascorrere di primavere e di nubi, di bufere e di cieli sereni, di alberi e di luna, e spesso le presenze della natura sfumano in colori felici, come allegorie mutevoli delle apparizioni divine. Sono le forme mondane che meglio si adattano all’ambientazione dell’incontro con Dio o dell’inno o dell’invocazione, nella pienezza di gioia.  La poesia mistica di Arabella è luce e festa; e questo è l’aspetto fondamentale di essa, che la distingue da ogni altra poesia sacra dei nostri tempi. Il discorso è sempre semplice per perfezione di messaggio, perché non deve essere appesantito da nessun eccesso di metafore, ma deve tendere a coincidere con la lezione evangelica di dire la parola, in ogni caso e momento, nella sua chiarità.

La seconda parte della raccolta è un dialogo ed un racconto amoroso. Siamo sempre nello stesso ambito, quello dell’amore, nelle due esperienze possibili, quello divino e quello umano. Il colloquio con l’uomo amato qui, in terra, ha lo stesso fervore e la stessa luminosità, di quello con il Dio che è sempre presente. L’eco del Cantico dei cantici si avverte, come quella dei Salmi nella prima parte della raccolta. La poesia dell’amore comporta naturalmente la memoria, il rimpianto, la lontananza, la perdita, insieme con la gioia e con il sogno, l’emozione e la fiducia dei sensi e dell’anima perfettamente congiunti nella sicurezza dell’esperienza suprema dell’esistenza. Gli addii amorosi coincidono, nella poesia di Arabella, con la tradizionale sentenza che essi sono ogni vol-ta come morire. Per la grande virtù della tensione poetica di Arabella l’idea della morte, quando la vicenda amorosa si è o sembra si sia conclusa, non conduce alla disperazione o all’eccesso del dolore, perché, a estremo conforto, c’è l’immagine persistente della speranza che nella sezione amorosa dell’opera ridonda dalla prima parte, quella con la tante volte parola “Tu”, che è il segno fermo della vittoria sul tempo e sulle pene. Nella sezione amorosa incontriamo, per questo, gli stessi emblemi di luce e di paesaggi, di stagioni e di immaginazione che sono presenti in tutti i colloqui con Dio.  E’ la grande felicità come lezione della poesia di Arabella che appena un poco si incrina nel testo dedicato alla madre. Ma la pena della perdita non è drammatica perché la madre, quando soffre, nasconde con un sorriso la fatica della giornata. Ecco: tutta la poesia di Arabella è luminosa, anche per-ché, quando vi si avverte l’eco del dolore, la parola lo nasconde e intorno c’è l’alternanza delle forme felici del mondo e c’è l’armonia dei versi che aspirano all’imitazione delle sfere celesti.

 

Giorgio Barberi Squarotti