LIMINA MUNDI
Il cerchio e la botte: ANTONIO PIBIRI
Un’altra intervista nell’ambito della rubrica dedicata alle interviste di autori, poeti e scrittori potenzialmente noti, modestamente noti, mediamente noti, molto noti; le interviste vengono pubblicate qui su LIMINA MUNDI in linea di massima il lunedì (non è un’indicazione rigida, ma orientativa).
Il titolo dell’intervista che proponiamo oggi indica che lo scambio di domande e risposte è rapido e conciso. Nelle risposte non è permesso dilungarsi oltre tre righe. Colpo su colpo, come i bottai che ne assestavano ai fasci di legna della botte e ai cerchi che li stringevano. Attività dalla quale deriva il noto detto: “Un colpo al cerchio e uno alla botte”. Qui da intendersi non tanto nel senso di mantenere l’equilibrio in una situazione scomoda, ma, piuttosto in quello del convergere, tra botta e risposta, al risultato comune di raccontare con le parole dei poeti il mondo della poesia.
Questa è un’intervista “tipo” che sarà sottoposta anche ad altri autori oltre a quello intervistato oggi che è ANTONIO PIBIRI.
- Che cos’è per te la poesia e che cos’ è in grado di esprimere?
Non è sicuramente un “genere letterario”, sarebbe come svilirla, limitarla ad uno statuto; preferisco ripensare la poesia in termini di “qualità”, splendore creativo, brillio che un’opera può più o meno possedere.
- Quando e in che modo ti sei avvicinato alla poesia?
Mi sono avvicinato alla scrittura creativa molto ingenuamente, attraverso l’elaborazione del materiale onirico, in analisi, un “Diario onirico”, alla Meret Oppenheim, anche se con meno costanza dell’artista tedesca, che a quanto pare ha continuato a redigerlo fino agli ultimi giorni della sua vita.
- Chi sono stati i tuoi maestri o meglio i tuoi punti di riferimento?
Amo molto i movimenti e i poeti surrealisti (Francia, Romania, Spagna ecc.) per la loro carica eversiva. Ho avuto diversi punti di riferimento, troppi, perché credo che la scrittura debba essere in continua evoluzione, superarsi senza posa.
- Ricordi il tuo primo verso?
Assolutamente no, ma sarà stato qualcosa di molto manieristico, o peggio ancora un goffo scimmiottamento.
- A chi si rivolge la tua poesia?
Si rivolge a me e a tutti quelli che credono in una trasformazione radicale della specie umana, oramai giunta a un drammatico bivio. Ma la poesia, come scrittura, è solo un raggio del movimento di una ruota, che è l’essere umano nella sua totalità demoniaca e angelica.
- E’ stata dichiarata la morte della poesia e la sua marginalità nell’età della tecnica. In libreria i libri dei poeti contemporanei sono poco presenti e spesso relegati in un angolo, solo i classici godono ancora di un certo prestigio. Di contro c’è un fiorire di readings, di concorsi letterari e di premi. Tu cosa pensi di tutto questo?
Penso che la poesia debba essere impopolare, anti-mediatica, clandestina, tutto il rumore, amplificato negli ultimi decenni dal Web, è invece un modo per normalizzarla, renderla “fruibile” come qualsiasi altro oggetto di consumo. A mio avviso ha più a che fare con il silenzio delle tundre e dei deserti, che con la Società dello Spettacolo.
- C’è chi tenta un coinvolgimento nei fatti sociali del suo tempo, chi invece ritrova la verità della poesia e della vita nella sua Arcadia più o meno felice. Tu dove trovi ispirazione? E come nascono le tue poesie?
Probabilmente nasce da un piccolo spazio mentale, dove l’Ego e le strutture sociali non imperversano, o sono meno presenti…e da svariati tipi di esperienza percettiva, sensoriale, intellettuale ecc, che richiedono una “registrazione”. Ma non tutto, sappiamo, è degno di nota.
- Secondo te i giovani di oggi amano ancora la poesia?
I giovani hanno seri problemi nel guidare la propria Attenzione su un qualsiasi punto focale. I mezzi di distrazione di massa, la cultura dell’alienazione, la scuola, continuano a fare danni incalcolabili sulle potenzialità poetiche(creative) delle nuove generazioni.
- Che importanza è attribuita oggi alla poesia dal nostro sistema d’istruzione?
Un’importanza “scolastica”, dunque ipocrita direi.
- Ci sono degli orientamenti prevalenti nella poesia italiana ed europea?
Spero di no, anche se qualche cialtrone e club letterari cercano di indirizzarla, creare scuole e affiliati. Il movimento creativo non si lascia imbrigliare da nessuno, è una “terra senza sentieri”, mutuando un adagio di Krishnamurti.
- La poesia è in grado di influenzare il linguaggio?
Spero sia in grado anche in minima parte di influenzare il moto del sangue.
- Può avere un ruolo politico?
La politica al momento è un connubio fra Potere e business, spero di no…
- é cambiato il “mestiere” del poeta nel tempo?
Forse richiede un grado di consapevolezza, responsabilità, e onestà con se stessi maggiore, ma la parola “poeta” è una lapide sociale, conviene usarla il meno possibile a pare mio.
- Alfonso Berardinelli ha sostenuto che oggi chi scrive versi non dovrebbe considerare valido nessun testo se non regge il confronto con un articolo di giornale o con una canzone. Intendeva probabilmente dire che i poeti contemporanei non sono capaci di comunicare con il lettore. Tu cosa ne pensi?
Bisognerebbe chiedersi seriamente cosa è “comunicazione”; i giornali sono più utili per lucidare i vetri, la canzone è musica, un altro discorso. Credo che Berardinelli si riferisca a un approccio superficiale con “la parola”, non sufficientemente critico e consapevole.
- Attualmente in che stato di salute versa la cultura italiana ed in particolare la poesia?
Il panorama è variegato. La cultura e la poesia italiana e non solo, risentono di un modello mentale oramai vecchio e disfunzionale.
- Il nome di un autore poco noto che meriterebbe di essere rivalutato.
Il parigino Thierry Metz, Gherasim Luca … tra gli italiani sicuramente Bigongiari.
- C’è ancora bisogno della poesia oggi e perché?
C’è bisogno di un profondo rinnovamento culturale, spirituale…la poesia è, o potrebbe essere una “zona franca” dove operare e “farsi operare”, ma non sotto anestesia.
Note biografiche
Nato a Sassari nel 1968, Antonio Pibiri risiede ad Alghero. Dopo la Maturità sviluppa attenzione verso la scrittura creativa e la Musicologia, formandosi da autodidatta. Presenta i suoi inediti con l’attrice teatrale Fiammetta Mura, comparendo in diverse riviste specializzate( Crocetti Poesia, Il foglio Clandestino); nel 2004 stampa presso l’editore Magnum di Sassari la prima silloge: “Di quinta in quinta”, e nel 2010 con Lampi di stampa (Milano) “Il mondo che rimane”, con la quale vince il Premio Speciale della Critica (Premio Internazionale della città di Sassari, Ottobre in Poesia), e la Menzione d’Onore all’edizione 2011 del Premio Lorenzo Montano. Nel 2014, sempre con lo stesso editore di Milano, pubblica “Le matite di Henze”, a cui l’attore e musicista Matteo Gazzolo dedica una sua Lettura speciale, con musiche di Marcello Peghin al decacordo e live electronics. Le matite di Henze vincono il secondo posto al Premio Internazionale della Poesia (Sassari) edizione 2015. L’ultimo lavoro è del maggio 2016: Chiaro di terra, con l’editore L’arcolaio di Forlì.