In nome della poesia.
Articolo edito ieri sul “Mattino” dedicato al poeta Domenico Cipriano. Discuteremo oggi della sua poesia durante l’Opend day del Liceo classico di Nusco, che inizia alle ore 16.00. Vi aspetto.
Domenico Cipriano e la poesia come antidoto alla postmodernità.
INTERVENTO DI PAOLO SAGGESE
Nell’epoca del postmoderno, che ha rifiutato qualsiasi visione salvifica e teleologica della storia umana e che ci ha consegnato, per dirla con Lyotard e Giddens, un mondo privo di speranza e fondato sull’incertezza, la poesia sembra essere uno dei pochi farmaci, che ci propone un mondo moderno possibile, che vada oltre la crisi identitaria e di civiltà del presente. Questo è il primo messaggio che si può cogliere dall’ultima plaquette di uno degli autori più importanti del panorama letterario non solo irpino, il poeta Domenico Cipriano, edita per i tipi de “L’arcolaio” di Forlimpopoli con il titolo “L’origine”. Lo stesso Gianluca D’Andrea, nella quarta di copertina, non a caso scrive: “Il tutto sembra muoversi in direzione di un superamento del lirismo novecentesco, del disastro che si rinnova solo considerando l’‘origine smarrita’ che ‘ci appartiene / tra steppe e ghiacci siderali, gusci di conchiglie consumate / e l’innegabile perizia di resistere’”. Dopo “Il continente perso” del 2000, “L’enigma della macchina per cucire” del 2008, “Novembre” del 2010 (tradotto in inglese nel 2015), il CD di jazz-poetry “JPband – Le note richiamano versi” del 2004, Cipriano, che accompagna le poesie con una guida all’ascolto raffinata con musiche di Jan Garbarek, Mark Orton, Charlie Haden, ritorna a temi esistenziali della prima maniera, arricchiti da un’eleganza ulteriormente raffinata, che dimostra la piena maturità di una lirica equilibrata e convincente. Di tutto ciò il poeta parlerà domani, ospite del Liceo classico di Nusco in occasione dell’Open day, a partire dalle ore 17.30, dialogando con gli studenti e le professoresse Antonella Prudente e Daniela Della Marca. Questa plaquette racconta un ritorno appunto all’origine, che riguarda sia l’Universo, sia la Terra, sia l’Umanità, sia il poeta stesso. È un percorso affascinante, che parte ungarettianamente dalle “terre” (in Ungaretti sono i fiumi) per passare alla ricerca delle origini del Cosmo (“Ci vediamo dal di fuori”, ispirata al telescopio spaziale Hubble), per arrivare all’origine dell’umanità (“Lei, Lucy, avrebbe avuto oggi 41 (quarantuno) anni”), con riferimento all’australopiteco omonimo, che è l’emblema del percorso dell’umanità. Cipriano passa poi all’Irpinia, al Paleolitico “scoperto” nella virgiliana Valle d’Ansanto, testimone di una storia di migliaia di anni, recuperata attraverso un “oggetto semplice (silice scalfito), / vorace se curvato sulle pelli di animali: // un sasso di cui non avremmo premure né interesse / se creature che ci hanno germinato / non avessero lasciato una traccia”. Passando dall’universale al particolare, dal macro al micro, la seconda sezione, “Reminiscenze del sole”, è tutta incentrata sul paese, sulla “indecifrabile cantabilità immaginata di un paese”, dove “ci sono amici sfioriti ovunque / tra le dune sottostanti”, dove “la memoria è un cuscino ardente”, in “questo grumo sedimentato del cosmo”, dove figure di amici, di parenti, di persone anonime raccontano tutti un’origine comune, per arrivare sino al momento della nascita, dell’epifania del poeta: “Si accetta la vita ricevendo il latte / e il gesto si rinnova coi pellegrini di ogni tempo / oggi con altri volti […] Tutte le forme e i colori / hanno valore. Il bianco che scorre dal seno nudo / mostra che non c’è vergogna e clamore nell’eternità”. Il ritorno al paese, il ritorno all’origine significa per il poeta dare senso ad una vita che non ha senso, significa rifiutare la postmodernità liquida, la celebrazione del denaro, della ricchezza, della frivolezza e della confusione contemporanea, significa recuperare delle certezze, riscoprire e ritrovare altra vita. Se fossimo in grado di vedere così i paesi, la nostra Irpinia, potremmo addirittura stupirci nel riflettere sul senso che si può dare alla vita, essere felici di vivere qui, di aver deciso con ostinazione di non abbandonare le colline cretose e brulle, il verde intenso dell’estate, l’autunno spoglio e uggioso, il lento fluire della nostra anima. È che il Sud ha bisogno di amore, ancor più dell’amore di chi lo vorrebbe diverso, ha bisogno di quell’amore senza amore di cui parla Salvatore Quasimodo, e che Domenico Cipriano sa provare e ci invita a provare, a vivere dei paesi il silenzio, il “respiro / affannoso d’inverno”, “le case / stese al sole, i vicoli / adombrati, le panchine / vuote, le pietre erose, / le stelle cadenti / in estate”. Questa è la nostra origine, e qui possiamo essere noi stessi, persino uomini.
Il Mattino, 27 gennaio 2018