Home

PAOLO SAGGESE RECENSISCE “L’ORIGINE” DI DOMENICO CIPRIANO – IL MATTINO, 27 GENNAIO 2018.

Lascia un commento

In nome della poesia.

Articolo edito ieri sul “Mattino” dedicato al poeta Domenico Cipriano. Discuteremo oggi della sua poesia durante l’Opend day del Liceo classico di Nusco, che inizia alle ore 16.00. Vi aspetto.
Domenico Cipriano e la poesia come antidoto alla postmodernità.

INTERVENTO DI PAOLO SAGGESE

Nell’epoca del postmoderno, che ha rifiutato qualsiasi visione salvifica e teleologica della storia umana e che ci ha consegnato, per dirla con Lyotard e Giddens, un mondo privo di speranza e fondato sull’incertezza, la poesia sembra essere uno dei pochi farmaci, che ci propone un mondo moderno possibile, che vada oltre la crisi identitaria e di civiltà del presente. Questo è il primo messaggio che si può cogliere dall’ultima plaquette di uno degli autori più importanti del panorama letterario non solo irpino, il poeta Domenico Cipriano, edita per i tipi de “L’arcolaio” di Forlimpopoli con il titolo “L’origine”. Lo stesso Gianluca D’Andrea, nella quarta di copertina, non a caso scrive: “Il tutto sembra muoversi in direzione di un superamento del lirismo novecentesco, del disastro che si rinnova solo considerando l’‘origine smarrita’ che ‘ci appartiene / tra steppe e ghiacci siderali, gusci di conchiglie consumate / e l’innegabile perizia di resistere’”. Dopo “Il continente perso” del 2000, “L’enigma della macchina per cucire” del 2008, “Novembre” del 2010 (tradotto in inglese nel 2015), il CD di jazz-poetry “JPband – Le note richiamano versi” del 2004, Cipriano, che accompagna le poesie con una guida all’ascolto raffinata con musiche di Jan Garbarek, Mark Orton, Charlie Haden, ritorna a temi esistenziali della prima maniera, arricchiti da un’eleganza ulteriormente raffinata, che dimostra la piena maturità di una lirica equilibrata e convincente. Di tutto ciò il poeta parlerà domani, ospite del Liceo classico di Nusco in occasione dell’Open day, a partire dalle ore 17.30, dialogando con gli studenti e le professoresse Antonella Prudente e Daniela Della Marca. Questa plaquette racconta un ritorno appunto all’origine, che riguarda sia l’Universo, sia la Terra, sia l’Umanità, sia il poeta stesso. È un percorso affascinante, che parte ungarettianamente dalle “terre” (in Ungaretti sono i fiumi) per passare alla ricerca delle origini del Cosmo (“Ci vediamo dal di fuori”, ispirata al telescopio spaziale Hubble), per arrivare all’origine dell’umanità (“Lei, Lucy, avrebbe avuto oggi 41 (quarantuno) anni”), con riferimento all’australopiteco omonimo, che è l’emblema del percorso dell’umanità. Cipriano passa poi all’Irpinia, al Paleolitico “scoperto” nella virgiliana Valle d’Ansanto, testimone di una storia di migliaia di anni, recuperata attraverso un “oggetto semplice (silice scalfito), / vorace se curvato sulle pelli di animali: // un sasso di cui non avremmo premure né interesse / se creature che ci hanno germinato / non avessero lasciato una traccia”. Passando dall’universale al particolare, dal macro al micro, la seconda sezione, “Reminiscenze del sole”, è tutta incentrata sul paese, sulla “indecifrabile cantabilità immaginata di un paese”, dove “ci sono amici sfioriti ovunque / tra le dune sottostanti”, dove “la memoria è un cuscino ardente”, in “questo grumo sedimentato del cosmo”, dove figure di amici, di parenti, di persone anonime raccontano tutti un’origine comune, per arrivare sino al momento della nascita, dell’epifania del poeta: “Si accetta la vita ricevendo il latte / e il gesto si rinnova coi pellegrini di ogni tempo / oggi con altri volti […] Tutte le forme e i colori / hanno valore. Il bianco che scorre dal seno nudo / mostra che non c’è vergogna e clamore nell’eternità”. Il ritorno al paese, il ritorno all’origine significa per il poeta dare senso ad una vita che non ha senso, significa rifiutare la postmodernità liquida, la celebrazione del denaro, della ricchezza, della frivolezza e della confusione contemporanea, significa recuperare delle certezze, riscoprire e ritrovare altra vita. Se fossimo in grado di vedere così i paesi, la nostra Irpinia, potremmo addirittura stupirci nel riflettere sul senso che si può dare alla vita, essere felici di vivere qui, di aver deciso con ostinazione di non abbandonare le colline cretose e brulle, il verde intenso dell’estate, l’autunno spoglio e uggioso, il lento fluire della nostra anima. È che il Sud ha bisogno di amore, ancor più dell’amore di chi lo vorrebbe diverso, ha bisogno di quell’amore senza amore di cui parla Salvatore Quasimodo, e che Domenico Cipriano sa provare e ci invita a provare, a vivere dei paesi il silenzio, il “respiro / affannoso d’inverno”, “le case / stese al sole, i vicoli / adombrati, le panchine / vuote, le pietre erose, / le stelle cadenti / in estate”. Questa è la nostra origine, e qui possiamo essere noi stessi, persino uomini.

Il Mattino, 27 gennaio 2018

IL LIBRO ALLA RIBALTA: L’ANGELO MORTO, DI MARIO CAMPANINO

Lascia un commento

Tre poesie da questo bel libro. Un’opera originale e scritta con misura ammirevole.

I.

Ho visto un angelo sul marciapiede
in mezzo a tante irrilevanti cose
come apparso all’improvviso
ma non come una sorpresa
o una cosa serbata
né come un enigma
apparso lì semplicemente
come in un’epifania
non di cosa violata
ma di cosa che si svela

***

V.

Aveva un pezzo di cordone ombelicale
ancora attaccato al ventre
una striscia di pelle vuota
del tutto fuori tempo e fuori luogo
e non come un ricordo
o una dimenticanza
nemmeno come un vezzo
ma come un legame
proteso fino a terra
come per un rifornimento in volo

***
XII.

Anche le dita delle mani erano lisce
completamente senza grinze
ma non perfettamente dritte
solo un poco curvate verso il palmo
e ogni dito era senz’unghia
con una cicatrice trasversale
che aggrumava la falange
non di un’unghia strappata o consumata
ma di un’unghia negata alla mano
spiazzata da tanti tagli terminali
.

LIBRI IN PRIMO PIANO: “STATI DI POESIA CONTEMPORANEA” DI A. BERTONI, S. MASSARI E P.D. ORI

Lascia un commento

statidipoesia

LOGO ARCOLAIO

 

UN CORPOSO SCAMPOLO TRATTO DA QUESTO LIBRO, A MIO AVVISO FONDAMENTALE!

G.F.

***

A cosa serve la poesia?
– A cosa serve la poesia è un quesito senza risposta, come quello che eventualmente coinvolgesse l’utilità della ceramica o della pittura. Cosa vuol dire? Nulla che non serva al nostro corpo, in questi termini, è utile. Quindi è utile la medicina, è utile l’ingegneria perché ci fa stare al coperto ed è utile qualche elemento di cucina, per cuocere i cibi. Dopodiché noi u- mani siamo a posto, aggiungendo un po’ di tessuti per coprirci d’inverno. Tutto il resto è inutile, se ragioniamo in questi termini di pura utilità per la sopravvivenza. Prendendo sul serio questa domanda, che non è seria ma circola nel mondo e quindi è legittima, ogni poeta può dare una sua risposta, purché riconosca che è una risposta personale e che la poesia va oltre questa risposta, in molte più direzioni. Per esempio, è lecito rispondere: “Poesia è idea astratta” – a patto di riconoscere l’esistenza di molte belle poesie che prescindono da un’idea astratta. Quando ci si mette a scrivere una poesia, non è che si ha un’idea in testa e che poi si cerca di svolgerla in poesia. L’idea astratta nasce, se nasce, nel corso della poesia senza che chi scrive lo voglia o meno, perché può darsi che chi scrive non sia soltanto un poeta di sentimenti e di sensazioni, ma anche uno che si lascia emozionare dalle idee. E siccome la poesia è emozione, non possiamo stare a sindacare su che cosa ci emoziona come esseri umani. In genere si crede che l’idea astratta sia indipendente dalla forma o, meglio, che la formulazione di un’idea astratta sia indipendente dalla forma. È un’ipotesi che più volte può apparire appropriata. Kant, Donne e Popper, per fare solo qualche nome, possono in questa chiave soccorrere. Già non più Nietzsche, Heidegger, Wittgenstein, Kierkegaard, Derrida – ancora solo per fare qualche nome, sul versante opposto. In questi ultimi autori, sembra di poter dire, il pensiero, senza quella forma in cui è espresso, nemmeno esisterebbe.
In poesia si può compiere l’identico percorso al contrario. Se si considera l’idea astratta in Donne, Wallace Stevens, Eliot, la forma sarebbe un vuoto. È il caso di Paul Celan, in cui idea astratta, fortissimo richiamo all’emozione e al dato storico, insieme alla forma, a quella forma, alla forma che è la forma di Celan, sono un meccanismo linguistico e filosofico non smontabile. Nell’ultima modernità, canto e idea a- stratta si sono intersecate fortemente e le parole di Paul Valéry, secondo cui l’attenzione impiegata a seguire le idee è in concorrenza con quella che segue il canto, sembra destinata a non valere più. Pensiamo allo spinoso Pound ma anche al biografico Allen Ginsberg, tanto per dire. È l’intenzione-poesia che, in parte, a partire dall’ultimo Novecento e con la notevole accelerazione degli anni 2.0, ha avuto e sta avendo una mutazione. Ma come si possono veicolare idee astratte all’interno del meccanismo linguistico della poesia? Forse questa è una domanda di oggi che però ha un’origine antica, per esempio nelle poesie teologiche di John Donne. E il Cimitero marino di Valéry non è forse il tentativo di elaborare idee astratte attraverso l’uso delle immagini, al di là del simbolismo e dello stesso uso della metafora?
È qui che il bordo è stato insieme rispettato e superato. In seguito sarebbe stata questa una strada maestra per molti po- eti e molta poesia: e in proposito è lecito pensare soprattutto al poeta tedesco Durs Grünbein e al suo Cartesio sotto la neve ma non solo. Mi sembra si possa dire che idea astratta e pratica poetica nella contemporaneità tendono fortemente ad avvicinarsi, come, d’altra parte, è accaduto nell’arte figurativa, a partire da Merz, Penone, dall’arte povera e dall’arte concettuale, fino alla pratica delle installazioni. Il bordo, questo bordo, lo stare sul bordo, agisce ed è probabile che in modi diversi e forse al momento imprevedibili, continuerà a farlo. La poesia è una forma di elaborazione insieme del pensiero e dell’emozione.
– Dobbiamo chiederci, piuttosto, che senso ha la poesia in una società come quella di oggi, che ruolo assume e che grado di vitalità ha. Alla poesia tocca questo compito, che nessun’altra arte ha preso sulle proprie spalle, di cui nessun’altra arte si è fatta carico in modo altrettanto forte e vitale, che è quello di congiungere un pensiero astratto, quindi una dimensione di conoscenza, anche di tipo gnoseologico, filosofico, con una dimensione, invece, emotiva, immaginativa, di emozione acustica trasmessa a un lettore capace di innescare il meccanismo vero, profondo, della poesia: equiparabile per natura e proprietà formali a una partitura musicale. Occorre un esecutore bravo per realizzare, per dare voce, per imprimere i suoni giusti, le intonazioni giuste e i tempi giusti a una partitura musicale, quindi alla poesia occorre in primo luogo un lettore autentico, coinvolto, non digiuno di conoscenze formali e capace di creare dentro di sé quella – ormai rarissima – condizione di silenzio interiore, che sola consente un ascolto davvero partecipato e dialogico dell’Altro.
La poesia mi pare che stia realmente, tuttora, facendosi carico di questo a livelli molto diversi di esperienza: e non più nella forma che tutti noi della nostra generazione di sessantenni o cinquantenni, abbiamo riconosciuto nel corso della nostra storia, cioè la forma del libro. Oggi la forma del libro è in subordine rispetto ad altre modalità di produzione, di trasmissione e di ricezione dei testi poetici, però la poesia, nelle sue diverse manifestazioni (generazionali, storiche, stilistiche, percettive) sembra ancora molto viva e, addirittura,  molto più viva che in passato. Dunque non si dovrebbe essere né apocalittici né catastrofici, da questo punto di vista. Soprattutto se si pensa all’attualità viva della lingua poetica (quando e se funziona) a confronto dell’inerzia, della caducità, del pallore cadaverico dei linguaggi della filosofia tradizionale (la logica introduce codici e problemi altri ed è sen- z’altro – sulle tracce di Wittgenstein – la parte più viva della filosofia contemporanea), della sociologia o della politica.
Riconosciuto questo presupposto, occorre però imparare o reimparare a leggerla, la poesia, e occorre soprattutto conquistare il senso di un gusto e la qualità di un orecchio perché la vera poesia richiede un autentico orecchio, nel senso proprio musicale, per essere interpretata, percepita e trasformata nella sua dimensione migliore. E si deve anche am- mettere che, come in una miniera d’oro o di diamanti, le po- esie destinate davvero a durare che un’epoca produce, sono davvero rarissime, dal momento che hanno bisogno di una quantità enorme di tentativi vani di scavo e di tonnellate di detriti, per poter essere estratte e brillare. Ciò non toglie che i milioni di poeti medi o mediocri destinati a produrre tali tentativi e tali detriti assolvano una funzione di scavo, di ricerca, di attenzione al linguaggio e alle percezioni (quando siano onesti con se stessi e con la società letteraria di cui fan- no parte) assolutamente necessaria e decisiva.
Noi continuiamo a leggere molte poesie, anche di ventenni o di venticinquenni largamente ignoranti della storia della poesia che però hanno questo scatto di ricerca e di scavo, insieme con questa capacità di trasmettere una sorta di brillio, di scintillio della coscienza attraverso la parola: una coscienza che vuole raggiungere un’altra coscienza. E ci sembra che oggi sarebbe il tempo di costruire una sorta di coscienza collettiva, invece che una coscienza individuale. Inoltre ci sembra che sia molto utile creare gruppi di ascolto. Il primo consiglio che diamo ai giovani poeti è quello di riconoscere altri poeti coetanei, magari dello stesso luogo, per costruire una sorta di nucleo interpretativo, percettivo, ricettivo, emotivo, che dia luogo anche – perché no? – a un gruppo di amici e, se non di amici che bevono aperitivi insieme al bar, di sodali che, mossi da questo interesse e da questa sfida che la poesia lancia a ognuno di noi, ne fanno un procedimento, da un lato, di conoscenza e, dall’altro, di godimento: magari, qualche volta, come accade in tutte le amicizie autentiche, anche litigando o scontrandosi.
L’altro elemento su cui vogliamo insistere è la constatazione che la poesia richiede la fatica, il lavoro, a volte il dolore, altre volte le lacrime, della conoscenza, accoppiandole e congiungendole al senso di un piacere, di un godimento, che è un godimento proprio dei sensi, del corpo e non solo della mente, profondissimo. Non conosciamo altri strumenti uma- ni che riescano a creare queste associazioni, questi intrecci e questi vincoli con altrettanta forza e quindi crediamo che la poesia sia molto viva e stia proprio, in qualche modo, componendo le tracce di una sua necessità e anche, ci sembra, di un suo futuro altrettanto vivo.
– Vi ricordate che alcuni anni fa – non tanti – ci fu l’e- splosione di un dibattito che assomiglia a questo nostro sul- l’utilità o inutilità della poesia, e fu un dibattito che contrapponeva la ricerca scientifica astratta con la ricerca scientifica applicata. C’era un’onda di pensiero che diceva: “Cosa ce ne facciamo della ricerca scientifica astratta? Magari sono solo formule che non sappiamo dove applicare né se mai verranno applicate”. Si risolse col buonsenso, quando diversi scien- ziati fecero presente che senza la ricerca scientifica astratta, non applicata, non ci sarebbe la ricerca applicata, perché le astrazioni sono formule da cui i ricercatori applicati prendono le mosse. La poesia è in questa stessa situazione. Senza la poesia, vista come ricerca di pensiero e di emozione non quantificabile e non mercantile, viene meno la base di un discorso letterario e di pensiero. Se, improvvisamente, tutti noi che scriviamo poesie smettessimo di scriverle in tutto il mondo, si produrrebbe un buco enorme. È possibile che nella lunghissima durata non uscirebbero più film, romanzi, sceneggiati. Di questo dobbiamo tenere conto. La poesia è un’attività emotiva, letteraria e di pensiero, assolutamente basilare. E pensiamo alla poesia più che come a un prodotto o più che come a un genere letterario come a uno stato dell’essere, a un modo di stare al mondo: e anche a un approccio col mondo, a un comportamento nei confronti del mondo e nei confronti, naturalmente, di se stessi. La poesia per noi corrisponde alla pratica di una relazione ininterrotta con l’esistente che, per alcuni altri, si esprime magari nell’ar- rampicarsi sulle montagne o nel nuotare sotto il mare, al solo fine di cercare la risposta a quel richiamo trascendente che in ogni essere umano c’è, esiste. C’è appunto chi esprime questo bisogno di trascendenza in una religione codificata, c’è chi lo esprime nel fare bene il proprio mestiere, mentre capita ad alcuni esseri umani che questa ricerca prenda la strada del linguaggio, dell’uso accurato e potenziato della parola: la strada della poesia, per l’appunto.
– Ogni parola che viene fuori, quando viene, quando arriva, quando ogni tanto si produce quel particolare cortocircuito, comincia a generare grappoli di altre parole e a cercarne ancora delle altre: chi vive un’esperienza simile non sa cos’è che sta pensando, ma sa – con Leopardi – che “io nel pensier mi fingo”, immagino, invento qualcosa che prima semplicemente non esisteva. E sa solo che nasce nel suo sé più profondo un bisogno disperato di trovare la parola che viene dopo e che, alla fine, quando questa cosa forse, per qualche motivo, si è finalmente composta, generando un corpo, sa che mentre succede e che mentre si delinea il modo come è successa, sa di colpo da dove viene, sa di che cosa sta parlando. Ma questo pensiero non ha ancora una forma: e il lavoro del poeta è quello di costruire questa forma con le parole.
– Il pensiero senza quella forma, senza quella scrittura in cui è espresso, non ci sarebbe. Heidegger, se non usasse quella scrittura, non avrebbe il pensiero e Derrida non è affatto trasformabile in prosa. Il pensiero vive dentro quella forma. È per questo che si può affermare: non è obbligatorio, non è un percorso obbligato, ma è un intreccio che si crea fra forma e pensiero, pensiero e forma, pensiero e poesia. Storicamente è un percorso che è nato. Ma è bene, in proposito, togliere un equivoco. Non è che quando l’ha in testa e cerca di metterlo sulla pagina, di tradurlo in discorso, l’autore/autrice conosce già – a priori – tutte le tappe e i panorami di questo percorso. Accade esattamente il contrario, di cui ci si accorge una volta che si è finita, archiviata e riletta la poesia. Ci si rende conto – piuttosto – che la poesia appena composta, che spesso in genere sembra un po’ fredda, poco trascinante, è nata da un’emozione del pensiero. Può essere anche molto fisica, naturalmente. Può incarnarsi in personaggi come un romanzo, dunque in situazioni che sono estranee al vissuto di chi scrive. Perché – viene da chiedersi – si scrivono in poesia situazioni mai vissute dal soggetto scrivente, personaggi che non conosco come se scrivessi un romanzo? Perché il pensiero poetico e poetante cerca figure, attori, per poter essere trasformato in discorso.

 

MERCOLEDI, 17 P.V., AL CIRCOLO “LA SCRANNA” DI FORLI, IL GIORNALISTA PIETRO CARUSO PRESENTERA’ L’ULTIMO LIBRO DI CESARINA LUCCA.

Lascia un commento

 

Mercoledì prossimo, 17 gennaio, alle ore 18,30,

presso IL CIRCOLO DELLA SCRANNA

C.so Garibaldi, 81 – Forlì

 verrà presentato il libro

STRACCIAMERICA

di CESARINA LUCCA

(Casa editrice L’arcolaio, 2017)

Dialogherà con l’Autrice il giornalista PIETRO CARUSO

Ingresso libero

DOMENICA, 14 GENNAIO, AL PENTATONIC DI ROMA, ALLE ORE 17,30, ANNA MARIA CURCI PRESENTA “LE ORE DEL TERRORE” DI SIMONE CONSORTI

Lascia un commento

FOTO DI SIMONE CONSORTI, “ITALY”

 

INCONTRO CON L’AUTORE: SIMONE CONSORTI

 

DOMENICA, 14 GENNAIO P.V., AL VILLAGGIO CULTURA – PENTATONIC

VIA OSCAR SINIGAGLIA, 18 – 00143 ROMA

ALLE ORE 17,30

VERRA’ PRESENTATO L’ULTIMO LIBRO DI SIMONE CONSORTI

LE ORE DEL TERRORE

Casa editrice L’arcolaio, Forlimpopoli, 2017

Introdurrà la prof.ssa ANNA MARIA CURCI

Sarà presente L’AUTORE

 

INGRESSO LIBERO

“CINEMA VENTURINI” VERRA’ PRESENTATO, DOMANI 9 GENNAIO, A FUSIGNANO (RA)

Lascia un commento

cinemaventurini

 

 

Nell’ambito della rassegna

PAGINE DI CASA NOSTRA

A Fusignano, (Ra), al GRANAIO, in Piazza Corelli,

alle ore 21

Verrà presentato il libro di GLORIANA VENTURINI

CINEMA VENTURINI

(Casa editrice L’arcolaio, Forlimpopoli, 2017)

Introdurrà PAOLO GAGLIARDI

Sarà presente l’Autrice

Ingresso libero

GRAZIA CALANNA RECENSISCE “POSTILLE (TEMPI, LUOGHI E MODI DEL CONTATTO)” DI GIANLUCA D’ANDREA

Lascia un commento

 

UNA RECENSIONE DI GRAZIA CALANNA PUBBLICATA

SUL GIORNALE “LA SICILIA”,

RIDENTI E FUGGITIVI

 

«Credo in coscienza che la migliore critica sia quella che riesce dilettevole e poetica; non una critica fredda e algebrica, che, col pretesto di tutto spiegare, non sente né odio né amore, e si spoglia deliberatamente da ogni traccia di temperamento; ma, riflessa dall’occhio di un artista, quella che ci farà vedere un quadro attraverso lo specchio di uno spirito intelligente e sensibile, se è vero che un bel quadro è la natura riflessa». Oltreché attualissimo, troviamo calzante il pensiero di Baudelaire per invitarvi alla lettura di “Postille (tempi, luoghi e modi del contatto)”, eccellente libro a cura del poeta e critico letterario messinese Gianluca D’Andrea, edito da L’arcolaio, diretta da Gianfranco Fabbri e Fabio Michieli, «Strutturate attorno ai tre concetti di tempo, luogo e modo, le “postille”  – chiarisce Fabio Pusterla nella prefazione –, offrono al lettore quarantadue autori, ciascuno rappresentato con una, o più raramente due poesie (e nel caso degli stranieri, con la doppia partita di testo originale e testo traduzione); e di ciascuna poesia D’Andrea cerca di suggerire una chiave di lettura che non è esattamente di matrice stilistica, o filologica, ma che rientra in un suo non esplicitamente dichiarato ma ben presente in filigrana orientamento filosofico – poetico, […] da cui si potrà almeno estrarre, come un minerale in bella evidenza, la coscienza di porsi dopo il Novecento, e di guardare pertanto alla grande tradizione che le “Postille” evocano in un modo assai particolare. In un modo, si potrebbe dire, postumo: termine che suggerisce subito un ulteriore sovrasenso del titolo». De Angelis, Magrelli, Galluccio, Alziati, Buffoni, Heaney, Stevens, Villa, Zanzotto, Mandel’ stam, Orengo, Cacciatore, Simic, Auden, Cattafi, Pusterla, Lian, Robertson, Anedda, Bacchini, Giudici, Ponge,Toma,Rimbaud,Delfini,Baudelaire, Sachs, Heyn, Montale, Leopardi, Borges, Dickinson e Jouve. Queste le voci poetiche selezionate da D’Andrea che con finezza fisiologica e immaginifica ci conduce alla (ri)scoperta di versi scelti senza nessuna linea temporale (gli autori considerati appartengono a generazioni diverse), nessun ordine cronologico, ma solo spazio allargato del mutamento.

«Il cammino – dichiara D’Andrea –, fa la storia, la mia, la nostra, e per questo il compito è quello di accostarsi al solito movimento e coglierne le accensioni, mantenere, nell’accoglienza della trasformazione, una relazione con l’avvenuto e col ricordo che forma ogni avvenire».

Illustrati da D’Andrea (che, di foglio in foglio, ispirato, moltiplica le proprie facoltà espressive), piace concludere con pochi simbolici versi di Andrea Zanzotto, per il quale (lo ricordiamo concordando) la poesia è sempre (più) di attualità poiché ritrae il massimo dell’anelito dell’uomo verso il mondo superiore: «Lievi voci, api inselvatichite – /  tutto / sogna altri viaggi / tutto ritorna in minimi fitti tagli».

GRAZIA CALANNA

 

 

VALERIA SEROFILLI E SALVATORE RITROVATO RECENSISCONO “L’ORIGINE” DI DOMENICO CIPRIANO

Lascia un commento

 

Nota di lettura al volume L’Origine ( Arcolaio, Forlimpopoli 2017)

di Domenico Cipriano

Pubblicato nel blog “Alla volta di Leucade

“L’origine”, la nuova raccolta matura e solida dello scrittore irpino Domenico Cipriano, edita da Arcolaio di Forlimpopoli, inaugura la Collana  Φ diretta da Gianluca D’Andrea e Diego Conticello.

Ben lungi dall’essere un consuntivo letterario ed esistenziale (anche considerando la giovane età dell’autore), “L’Origine” ė tuttavia un momento di riflessione, una sorta di pausa lungo il cammino in cui l’occhio, pur essendo rivolto in avanti, in realtà guarda all’indietro, o meglio ad un bivio ideale in cui passato e presente si incontrano e si confrontano.

La scrittura di Cipriano è precisa e chiara. Non ama le metafore astratte e impalpabili, preferisce i dati, perfino i numeri, le date, gli anni. Un modo per confrontare passato e presente, i vivi e i morti, l’origine e la fine. Anche le citazioni e le epigrafi sono orientate a questo scopo: si parla del mistero della vita, della lotta di chi sopravvive, della pace riservata solamente a chi è morto.

Cipriano conduce il lettore a seguirlo in questa sua escursione attraverso il tempo e attraverso il modo di sentire.

Recita la lirica posta ad esergo della raccolta, a cui il corsivo conferisce particolare rilievo quale fosse una sorta di voce interiore:

 

Io sono 

tutte le terre che ho visitato 

anche se da una sola 

ho preso vita. 

 Lì 

è rimasta ferma una ferita 

per ogni passo 

trascinato stanco 

per ogni sguardo 

che non mi riconosce. 

E sono tanti i segni sul mio corpo 

che ha tracciato la poesia 

di chi 

non ha più un luogo 

e chiede asilo.

 

Anche il ritmo dell’ascolto è suggerito, anzi indicato, con riferimenti a brani musicali puntualmente annotati ad ogni capitolo.

Si parte da considerazioni ab ovo, sulla origine del mondo, e si arriva a temi attuali, cari all’autore e alle tematiche che gli sono proprie.

La sofferenza dell’uomo schiacciato dalla sorte, dal destino, quello che umilia gli ultimi, i più fragili.

Non è indicata una soluzione né uno sbocco, una via di uscita. Si parla della tenacia, della vita quotidiana, quella di eroi senza nome, sconosciuti, quelli che combattono per la dignità e per la sopravvivenza.

Un libro intenso, che costuitisce un ulteriore passo dell’autore sulla strada coerente dei temi a lui cari di impegno e di riflessione sulla società e sull’individualità dell’uomo.

 

Valeria Serofilli

————————————————————————————————–

 

 

Domenico Cipriano, L’origine, L’arcolaio, Forlimpopoli, 2017

di Salvatore Ritrovato

PUBBLICATO SUL BLOG IL PUNTO – ALMANACCO DI POESIA

 

Quello che mi ha da sempre colpito della poesia di Domenico Cipriano è la sua versatilità, una dote non comune fra i poeti di oggi. Versatilità soprattutto formale, che non discende da una indecisione stilistica, bensì dal dubbio che la poesia non debba inseguire il verso, se mai il contrario. Rispetto a Novembre (Transeuropa, 2010) e a Il centro del mondo (Transeuropa, 2014), alcune delle più importanti raccolte di Cipriano, L’origine (L’arcolaio, Forlì, 2017) spicca per una più marcata estensione della sonorità timbrica del verso che non si appaga più di misure metrico-ritmiche fisse e regolari, ancorché chiuse, e predilige invece il taglio obliquo, sghembo, di una voce che si ferma e ricomincia proprio nel punto in cui l’immagine, quale si snoda nel verso, ad ogni ripartenza fino all’a-capo, libera ormai lo slancio lirico.

Ne deriva una “forma-testo”, per questa nuova raccolta, che non possiamo dire del tutto inedita nella poesia di Cipriano, dal momento che si apparenta, almeno nella costruzione del fraseggio, a quella della musica jazz, le cui forme compositive, di là dai differenti generi – sia qui lecito semplificare – si caratterizzano per una sviluppo della linea melodica fra sincopi ed extrasistoli, e per quella capacità propria di improvvisare di volta in volta (ed è qui il senso di libertà che esso procura) un’idea musicale. D’altronde, Domenico Cipriano, cultore di musica jazz, da molti anni è impegnato a esplorare la frontiera tra poesia e musica con varie formazioni di jazz-poetry, in particolare il progetto JPband, insieme al musicista Enzo Orefice e all’attore Enzo Marangelo, con i quali ha realizzato il CD JPband: le note richiamano versi (Abeat records, 2004). Non saprei dire quanto questa esperienza abbia influito sulla poesia di Cipriano, e non credo sia necessario in questa sede stabilirlo; senz’altro, i brani concepiti per JPband rispecchiano la costruzione di un “assolo” con note e sillabe legate tra loro, secondo un preciso sistema di rispondenze, in una nuova avvolgente forma-testo che si protende, come ora dimostra L’origine, ad accogliere il mondo nel suo «intimo inizio», ovvero con uno sguardo in grado di coglierne l’incanto “incipitario”, ancorché disposto a non sottovalutarne gli aspetti meno appariscenti, i dettagli più nascosti, e insomma a restituire la realtà (ricordi, episodi, incontri) nella sua articolata e non di rado sottovalutata complessità.

Lirica? Sì, una lirica da eseguire sulla traccia – come avverte l’autore nella Nota al testo – di brani jazz (citati in apertura alle tre sezioni) che danno il la ideale alla lettura, senza forzarne la lettera: una sorta preludio emotivo che la parola assorbirà nella sua ostinata calorosa fiducia, traducendolo in un segno orfico di salvezza («Di ogni gesto di delicatezza o gemito / scegliamo la grazia per ricondurci al mondo»).

 

 SALVATORE RITROVATO

 

 

 

*

Io sono

tutte le terre che ho visitato

anche se da una sola

ho preso vita.

è rimasta ferma una ferita

per ogni passo

trascinato stanco

per ogni sguardo

che non mi riconosce.

E sono tanti i segni sul mio corpo

che ha tracciato la poesia

di chi

non ha più un luogo

e chiede asilo.

 

*

Lei, Lucy, avrebbe avuto oggi 41 (quarantuno) anni

senza acciacchi – se la vita le fosse stata benigna –

e un lavoro giornaliero. Chissà

se avrebbe civettato col suo aspetto

impreziosendolo o trasformando le fattezze.

Frutto

di un secondo parto – dal ventre della terra –

perché comprendessimo

la nostra provenienza astrale, la trasformazione

e la memoria racchiusa nelle cose, se nascoste

dall’incedere degli anni.

La terra

restituisce a volte i suoi diamanti

per condurci in un luogo del sapere, avvolgendoci

nell’inquietudine

di provare a conservare i suoi frammenti, mentre cambia.

 

(25 novembre 2015)

 

*

Per legge fisica e per dinamica del tempo

dovrà accadere che questo sterminato fiorire di stelle

verrà a riflettersi nel vuoto oscuro

restando sottopelle. La singolarità delle parole dette

 

riaffiorerà – insieme ai silenzi laboriosi –

dalla polvere smossa dei deserti

con una presenza che affollerà la mente

più di ora che il respiro ci fa forza.

 

Un nome circonderà le soste

e i segni sulle pietre rimosse

saranno dilatati, restando ai margini dei volti.

 

Ci stringeremo in un più breve spazio

e violeremo la nostra segretezza

cercando l’eterno

in ogni fotogramma del ricordo

nell’indaco del cielo che si rinnova agli occhi.

 

*

Anche la luna rossa è andata via

scorrendo i vicoli, scovando

la faccia sonnambulocarsica dei portoni abbandonati.

Sospiri tra i fremiti ingrigiti dei rami rinsecchiti

e il vento. Lo starnuto di mezzanotte

è il rintocco atteso, poi

il resto è teso al gelo spastico

che rinfaccia il gomito e il viso elastico

drasticamente rivolto

all’ultimo goccio della bottiglia gialla.

 

Il rosso cherubino svilisce

tra ombre di vino e ghiaccio per la notte fioca

priva e inerme

sotto la superficie in sottovuoto

per l’anno cominciato.

 

Imbusto l’albero del Natale appena scorso

le cortecce dure del cartongesso già sbucciato

e l’aria freme

oltre il sottovuoto svuotato

e germi ammuffiti sul paese

rifugiati per l’ultimo del mese.

 

*

Si accetta la vita ricevendo il latte

e il gesto si rinnova coi pellegrini di ogni tempo

oggi con altri volti

ma con stessi tormenti e stenti di resurrezione.

Non si scordano le rose

a essere distanti giorni dalla propria lingua

se la gente accoglie ripara e nutre.

Tutte le forme e i colori

hanno valore. Il bianco che scorre dal seno nudo

mostra che non c’è vergogna e clamore nell’eternità.

 

Di ogni gesto di delicatezza o gemito

scegliamo la grazia per ricondurci al mondo.

*

Il calore ci riporta all’esistenza

e i corpi immobili chiedono calore

parole e gesti

anche se non daranno ritorno.

 

La timidezza di sentire il mondo

nel suo farsi giorno

mancherà in questa isola sospesa.

 

Il sole si restituisce alle galassie siderali

che si svelano

per la nostra comprensione già dissolta.

 

Le carezze sui muscoli indolenti sono le stesse di sempre

 

è lieve curarsi degli occhi chiusi

in questa distanza dalle cose.