Home

Paola Rossi Balella riflette su “Fiat lux!”, di Nevio Spadoni, sulle pagine ravennati di Risveglio

Lascia un commento

Paola Rossi Balella riflette su “Fiat lux!”, di Nevio Spadoni, sulle pagine ravennati di Risveglio.

Paola Rossi Balella riflette su “Fiat lux!”, di Nevio Spadoni, sulle pagine ravennati di Risveglio

Lascia un commento

L’ULTIMO LIBRO DI NEVIO SPADONI, “FIAT LUX!

Di PAOLA ROSSI BALELLA

 Da Risveglio del 5 novembre 2011

 Nevio Spadoni non smette mai di stupirci, perché non smette mai di ricercare, di lavorare sui testi, sulla lingua – dialetto e italiano sullo stesso piano – , sui fatti e sulle opere, sulla vita e sui pensieri. Se è vero che il “nucleo” fondante della poetica di Nevio Spadoni sono le sue liriche, non possiamo mettere in secondo piano le altre sue opere: il teatro, in primis, che vanta testi di riconosciuta e acclamata bellezza  e intensità; le traduzioni dei lirici greci, lavori ormai datati ma che non si possono dimenticare, una volta conosciuti; e ora questa folgorante trascrizione (la si può definire così?) del Genesi, “Fiat lux!” appena uscita per le edizioni L’arcolaio di Forlì con una illuminante prefazione del noto dantista Alberto Casalboni. A lui “rubo” l’incipit del suo commento, là dove spende parole forti: intuizione, colpo di genio. Intanto, confrontarsi con un testo biblico (e che testo: niente meno che il Genesi) è di per sé attività tanto rischiosa quanto esaltante, dalla quale si rischia o di venire sommersi o di essere salvati.  E Spadoni non solo evita la perdizione, ma arriva alla salvezza chiamando a raccolta toni che ci costringono a usare parole come pluristilismo e plurilinguismo, che, si sa, nella nostra tradizione letteraria colta e insigne hanno precedenti non frequenti ma di grande peso. Si va dagli echi della tragedia classica all’icasticità di certe espressioni che si assottigliano fino alla sentenza proverbiale; dalla nascosta citazione biblica alla battuta tagliente sul filo dell’aforisma o della satira; dalla solennità che ben si addice alla divinità, alla messa a nudo della sua umanità e fin quasi quotidianità.

Insomma, un testo, che, se all’ascoltatore (“Fiat lux!” nasce come pezzo unico da recitare) o comunque al lettore richiede una attenzione ben sveglia, che non si lasci fuorviare dall’apparente leggerezza di certi passaggi, all’autore ha richiesto di mettere mano alla terra e al cielo: con “terra” intendendo la terra di Romagna e con “cielo” quell’aldilà presente nella vita dell’uomo nelle sue rappresentazioni vivide della creazione, che ambedue li mescola, prima della confusione babelica e della definitiva scissione di terreno divino.

Quando ho avuto modo di ascoltare la recitazione di “Fiat lux!” (Nevio Spadoni con Andrea Bartoletti, in una calda e suggestiva serata a San Pietro in Vincoli) ho subito avuto in mente una parola: parodia. Amo questo genere, così poco praticato perché tanto difficile. Per esercitare la difficile arte della parodia occorre avere una conoscenza tanto approfondita, intima e interiorizzata del testo o dei testi di partenza che raramente è dato trovare in natura e per apprezzare una parodia occorre al fruitore essere in possesso di moltissimi elementi di decodifica, in mancanza dei quali va perso il godimento del testo nella sua natura (i riferimenti intertestuali, li direbbe Umberto Eco). Ma davvero “Fiat lux!” è un testo parodico nel senso alto del termine. Solo chi abbia tanto praticato il testo biblico della Genesi da sentire nascere dentro di sé la voce di un Dio che può esprimersi solennemente o umanamente sia in dialetto che in lingua poteva tentare una tale impresa: impresa, dico, e non tentativo, perché la riuscita è cosa certa.

PAOLA ROSSI BALELLA

Luigi Paraboschi recensisce “le parole agre” di Narda Fattori

Lascia un commento

                                                                                                                                                                  

 

 

NARDA FATTORILE PAROLE AGRE

ARTICOLO CRITICO DI LUIGI PARABOSCHI

 Continua Narda Fattori, già affermata scrittrice romagnola, il suo percorso poetico con una nuova raccolta dal titolo emblematico – Le parole agre, edito da L’arcolaio ―, titolo che ben riassume il contenuto delle settantatré poesie proposte. La prefazione del libro è di Ivano Mugnaini, che ben coglie gli aspetti più profondi della poetica dell’autrice.

 Da tempo nota per la sua poesia esplicita, senza giri di parole, la Fattori va subito al cuore dei problemi, delle vicende che cadenzano il nostro vivere, va al cuore delle persone e di se stessa. Non finge, non edulcora, ma mette sul piatto la vita, con tutti i suoi sapori. Nel caso di questo libro, sapori agri, duri, polemici, talora con una vena di scetticismo che tuttavia non la distoglie dalla lotta, con spiragli di vie d’uscita, di nuova vita (“sono nei giorni ora disfonia ora canto”; “impasto il certo e il supposto / inciampo sull’erba e frano…”; “giro armata / con una rete a maglie strette”; “resterò…sartiame che si strappa ringhiando”; “non temo le tempeste / che rubano il fiato ma assecondate / regalano viatici come via maestra”).

Due le sezioni. La prima  – che dà il titolo al libro – inizia con un testo che è una perla. Si sofferma sulla parola, sul suo uso: “Io gioco con le parole e con le parole / canto e rido e faccio convito / ballo la loro musica sempre variata / a volte ben accordata su ampio fiato / o dura e aspra come colpi di maglio / che batte il tempo sulla roccia e la scaglia / per regalarla al mare che la fa duna”.

 Quindi reminiscenze addolorate di quando le cose non erano finite (“l’ulivo era per l’olio e l’olio per il pane / col salice si intrecciavano panieri” ; “I bambini…non hanno più case certe / fiabe appese al sonno / trastulli d’erba rane verdi / trottole collane di margherite”). Uno sguardo commosso sulla sua terra, su volti ben precisi che le sono stati compagni buoni del cammino (“sola mi sorregge questa pazienza dolce / questo amore minimo per la mia terra / la sua gente…gli amici e voi tutti che mi siete / giudici clementi”). La precarietà di ciò che l’attende (“oh l’ignoto che ci trapassa e non duole…sibila un vento di malasortequante volte dovrò morire?”), ma poi un colpo d’ala che fa spiccare il volo verso una promessa, con uno sguardo grato a quanto le è stato dato (“partirò / con la rondine che ha perso la rotta / il compagno il nido la grondaia / e non ha rimpianti né volge lo sguardo / sulla terra che fu dono sempre / immeritata meraviglia”).

Ad una posizione scettica di tanti passi (“torno a cercare…/ la maestra via / che porta verso un altrove / che non ho mai trovato” ; “me ne andrò dunque sola all’oscuro / ma … non mi stupirò / se nessun luogo è in attesa”; “ho fatto incursioni / nel mistero parafrasi dell’infinito / … ho colto schizzi di piccoli orrori” /e tutto è pietrisco nell’abbandono / quando non si aspetta una luce… // chiamiamoci allora col solo nome / che ci identifica e ci racconta. / Ora. Qui”), posizione in cui sembra che la meta non esista, fanno da contrappunto, almeno come desiderio e speranza, altri versi (“se la sorte fornisse un approdo / una pozza d’acqua ferma / uno specchio uno spicchio di cielo”; “se proprio vuoi stammi accanto / stammi in un silenzio quieto /… sarai mia cura e medicina / … infine salvezza mia”; “il buco morirà d’inedia / e del tempo si farà futuro”; “pacificata attendo il giusto riposo una nuova alba rosata e l’erba del prato / che brilla di rugiada cristallina”).

 Ho fatto incursioni / nel mistero parafrasi dell’infinito / … /dicono –il disegno è immenso – / ho colto schizzi di piccoli orrori / tornanti con i freni rotti. //… // Non mi inganna neppure il gallo / che al levar del sole tace / per non tornare a cantare / il tradimento.

 Un’anima che cerca e che non sa e non può abbandonarsi, anche se forse lo vorrebbe, a quella fede che per tanti è àncora, e l’amarezza per questa condizione è racchiusa bene nel finale della poesia a pag. 55

Perché se sopravvivere è una fortuna / allora il prima e il dopo la vita / appartengono al segreto / di una divinità terribile e troppo umana/.

 Ecco, a me l’ascolto delle parole di Narda ha suscitato i pensieri che ho esposto, e sono conscio che il mio è forse un giudizio poco letterario, ma, come scrivevo in apertura, ho cercato, leggendo, di conoscere meglio quella persona che mi è seduta accanto durante il viaggio che ci accomuna tutti.

Luigi Paraboschi