Massimiliano Cappello consiglia Avventure e disavventure di una casa gialla 

di Francesco Deotto

(19 luglio 2023)

recensione apparsa sul blog LA BALENA BIANCA

Proteggetevi dal caldo nella casa gialla di cui Francesco Deotto ha refertato le Avventure e disavventure con il suo linguaggio gelido e compilativo, architettonico e ipotetico. Ma attenzione, perché entrando c’è da chiedersi, sul filo di una ninna-nanna eerie, se c’è ancora un pavimento, un letto, un tetto. E a cosa occorsero, e perché. E poi di quale storia di dolore e costrizione viene adesso minacciata l’esistenza, il senso, il luogo. E da chi.

A partire da qui, Deotto ha intessuto un vero e proprio terzo spazio, rifacendosi alle Recordações da Casa Amarela di João César Monteiro (1989). Ha praticato nei confronti di questa pellicola un gioco ecfrastico fatto di fake e di disobbedienza, che è tuttavia anche fedeltà e autenticità alla sua esperienza. Documentare, lo sappiamo, è una violenza. Deotto però lavora sul rovescio di questa pratica, suggerendo che l’oblio alle volte è più cruento. Soprattutto se operato dalle stesse forze che si imposero con la violenza, e adesso ridipingono le stanze (o le sopprimono). Avventure e disavventure di una casa gialla è infatti dedicato a quello che (si legge in termine di libro) fu «il primo, e per diversi decenni l’unico, ospedale psichiatrico del Portogallo», nel pieno centro di Lisbona: l’Hospital de Rilhafoles, inaugurato nel 1848 e ribattezzato Hospital Miguel Bombarda nel 1911.

Bisognerà dire di più e di meglio, del lavoro finora svolto da questo poeta, che della variazione sul tema aveva già fatto l’oggetto nel suo esordio, ossia la “curatela” di Nella prefazione di una battaglia (ItalicPequod 2018), a partire dal Conte di Kevenhüller di Giorgio Caproni. Ma per ora vorrei invece limitarmi a un dato che dal metrico volge in estetico e poi in etico. Il libro è costruito per inventari, descrizioni parietali, blocchi e ipotesi di distruzione. Smonta brano a brano il verso e l’idea stessa di un componimento, si muove nell’ambito del reportage più o meno militante, trattiene lo sdegno nella descrizione colloquiale, caricata di ironia o sarcasmo soprattutto grazie a un certo fraseggiare a vuoto. E tuttavia, è costruito quasi interamente a partire da dissimulatissimi versi tradizionali (settenari e endecasillabi, soprattutto, resi inconoscibili dalle sinafie).

J’attends le chant et le chantage des choses, scriveva Andrea Zanzotto parafrasando Paul Éluard. Deotto sembra averlo interpretato bene. In attesa che il «(continua)» a fine libro assuma un’altra forma, dunque, recuperate questo libro – e già che ci siete fate un salto sul suo profilo instagram, dove Deotto conduce, parallelamente, una ricerca fotografica e visuale à ne pas râter.

MASSIMILIANO CAPPELLO