UN NUOVO AUTORE ENTRA IN ARCOLAIO, E’ IL ROMANO VITTORIANO MASCIULLO, NATURALIZZATO BOLOGNESE, BENE INTRODOTTO NELL’AMBIENTE POETICO DELLA CITTA’ EMILIANA. IL SUO LIBRO S’INTITOLA “DICEMBRE DALL’ALTO“. NE FA UN’ATTENTISSIMA E ANALITICA ANALISI CRITICA CECILIA BELLO MINCIACCHI DELLA QUALE RIPRODUCIAMO QUI SOTTO DUE PICCOLE PORZIONI.
Se ogni libro è fatto di altri libri, e se – giusto l’assunto sanguinetiano – non possiamo far altro che citare, tanto nella scrittura quanto nella vita, Dicembre dall’alto di Vittoriano Masciullo sembra per eccellenza un testo di testi altrui, un’opera in cui gran parte delle parole che l’autore pronuncia erano d’altri. Erano perché il processo compositivo è, alla sua origine, chimico: l’appropriazione (debita, indebita, comunque non taciuta, confessa) è di fatto assimilazione. Ossia nutrimento intellettuale, emotivo e psichico, energia verbale. A volte è proiezione di figure, presenza ossessiva di cellule ricorrenti. Parlare di citazione, in questo caso, non spiega abbastanza, e non abbastanza spiega il montaggio che pure è efficacissima tecnica non solo delle avanguardie storiche ma di tutte le arti novecentesche (con qualche ottimo esito odierno). A caratterizzare Dicembre dall’alto sono la sua forte tensione costruttiva e l’elaborazione metabolica dei singoli prelievi che hanno valore esemplare e si offrono, in potenza, anche come materiali o dati d’analisi, di selezione e comprensione. Vi si percepiscono coloriture, accenti o sintagmi noti, familiari, ma al tempo stesso se ne avverte la conversione chimica, e la separazione e la dissipazione dei costituenti, l’acquisizione muta, intima, quella che all’esterno non ha più bisogno di risuonare, tanto è stata assorbita, e quella che produce eco continua, di difesa e d’inquietudine. Della parola altrui, nel tessuto nuovo, si avverte l’autonomia manomessa, e l’inclinazione alla fuga, la smussatura, la piega inattesa. Le molte possibili modificazioni dei prelievi che trasformano l’impressione di familiarità in una sfocatura, talvolta in una frustrazione.
(…)
Dicembre dall’alto è una ricognizione di eventi e di letture (che sono, poi, eventi alla stessa stregua, né più né meno, e potentissimi). È un angolo visuale, un modo di guardare lo spazio qui applicato all’ultimo mese dell’anno, quasi fosse un bilancio, e per sineddoche applicato qui al tempo e a ciò che in esso «succede»; è una presa di distanza verticale necessaria al riconoscimento di alcune circostanze rivelatrici, capitali, dolenti, e all’evaporazione di altre. La gerarchia, la struttura stessa di una possibile gerarchia, è però messa in questione, come avviene negli sviluppi del pensiero: ad essere sintomatici sono non solo i fatti che diremmo salienti, i nodi facilmente riconoscibili come tragici, ma sono spesso gli scivolamenti, gli inciampi, le numerose ellissi, qualche intromissione banale o assurda del quotidiano. Il tutto, ed è cifra del libro, in mescolanza, o meglio in amalgama, nella fusione minuta tra flusso di parole (letterarie e non), «parole tradotte da quali altri», e occorrenze del vivere comune. L’occhio e il pensiero si muovono tra i gesti, ma soprattutto tra le parole pensate e pronunciate: i ricorrenti «dice», «risponde», «chiede», gli imperativi «non girarti», «fidati», «chiama», «ridi», gli esortativi «dica», «ringrazi», «si fidi», «stia attento»…
(…)
Se dovessimo anche in ultimo ricorrere alle classiche armi della retorica – via sempre lecita e rivelatrice – arriveremmo a mettere in luce, credo, l’interrogativo (o è affermazione?) più ricorrente in queste poesie, «altrimenti a che serve», il più assillante e più prossimo al pathos, preceduto, come spesso è, da imperativi in geminatio: «salva salva o a che serve», «perdona perdona o a che serve», «proteggi proteggi / o a che serve», «stordisci stordisci / altrimenti a che è servito farsi vetro», «e ridi / ridi altrimenti a che serve / a che è servito venire qui»…
Se c’è la storia – personale e non solo –, se, in Dicembre dall’alto, ci sono assimilatissime voci molto varie e tra loro compenetrate, frante, invischiate e riutilizzate per una nuova costruzione, se c’è l’apertura, la dissipazione ultima nel bianco della pagina, c’è anche, ed è forse la presenza più importante, più ampiamente produttiva di senso e di interrogazione, l’indagine congiunta su esistenza e scrittura, su azione e parola. Su quanto e a che cosa entrambe, esattamente, possano servire. Sul fatto che siano tra loro allacciate, invece, e coincidenti, qui non ci sono dubbi.
(continua)
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Alcuni testi:
e sia tanto eppure
succede senza
avvisi alla gioia e
a qualunque cosa sia succede
alla tempesta e al bicchiere d’acqua
negli altri in quello che rimane
se rimane a tratti incerti succede
su pianerottoli anni dopo anni
così tanti anni che sembra
e succede agli sfinimenti
dove nessuno torna succede
al racconto alla ripetizione
del racconto e alla sua ripetizione
al sale rovesciato
succede che è andata e ne
rimane un diario di guerra
e a ciò che è dopo
il confine si portano fiori
se vuoi succede
se non vuoi succede pure
la parola non succede al pensiero
e al pensiero non succede
il pensiero suo e viceversa
e comunque
succede
***
il tavolo all’improvviso
minuscoli uccelli neri volarono
colti dal pericolo e medea
disse aspetta di essere vecchio
prima di piangere davvero
aspetta che a forza di metterti davanti
a quella luce poca
e l’ordine del mondo ti convertirai
non hai mai amato
nessuno se non è l’an è il
quantum oppure il quomodo
o come si arriva a confessarlo
rincasando senza la figlia la madre
la sposa il più bello disponibile
dietro il vetro della porta sul glicine
padre che guarda verso
curvo senza divisa
io curvo senza
e la serie ospedaliera in mano
però almeno stordisci stordisci
altrimenti a che è servito farsi vetro
minacciare la gente di tunisi
vincere la guerra perdere
la ritirata
***
vulnerabile intossica
inseguimenti lingue morte
ci sono che non credono
al dissolversi che il tempo
sia un finito incendiano
assenze con ritorni minacciati
è sempre
tempo per e invece
che la cura sia la cura degli altri
non cadere da caduti
sparire al bello sul confine
sulla polvere sull’abbraccio
agli adulti non al brutto
solo indecenze che la cura
sia la cura di chi merita il vuoto
che da sempre sta nel
il sole è vulnerabile piace a tanti ma pensa
muore ogni giorno e tu invece salva salva
credi al dissolversi