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ESCE OGGI IL SECONDO LIBRO DI GLORIANA VENTURINI, “BOTTONI DI MADREPERLA”.

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Ed ecco Gloriana Venturini alla sua seconda prova narrativa!

“Bottoni di madreperla” consiste in una serie di racconti, inanellati tra loro” nella suggestiva zona geografica di Trieste e del Carso. Enza Valpiani, nella sua nota editoriale che proponiamo qui di seguito, ci spiega la necessità di questo bel progetto letterario. Quella di Gloriana è una scrittura plastica, veloce e impeccabile, che si fa amare sin dalla prima pagina.

 

“Narrare ed ascoltare può portare lontano nel tempo… ad una bambina che giocava con una scatola di vecchi bottoni, per costruire con la mente storie cangianti come madreperla…” (pag.12). Dal dialogo tra due sconosciute affiorano vicende passate della vita di paese, profondamente scolpite nelle rocce del Carso: attraverso il filtro della memoria si anima un affresco di rara umanità. Il filo conduttore della narrazione, sempre sospesa al limitare tra storia e leggenda, è il “confine” a volte materiale, tra popoli diversi, tra la terra il mare e le vette dei monti, a volte affascinante e misterioso come l’intreccio tra la vita e la morte.

Enza Valpiani

 

 

Ecco l’inizio:

UNA FINESTRA SUL CONFINE

Quando mi sporgo da questa finestra so che poco più in là c’è il confine. È come un filo che separa due realtà intangibili e che muta posizione a seconda di come si sono evolute le vicende. È vero quello che recitavano le Scritture dell’Antico Testamento: “…c’è un tempo per ogni cosa e per ogni cosa un tempo…”, questo genera nel mondo mutamenti continui. Da quando ho aperto questi scuri per la prima volta, abbracciando con lo sguardo le colline qui intorno, sono accaduti tanti eventi che hanno profondamente modificato la mia vita regalandomi uno sguardo completamente diverso e inatteso.
È vero anche per me: c’è stato un tempo per ricordare le storie del passato, per rivivere giorni agitati in cui ho attraversato troppi confini, per scegliere di varcare il limite tra la terra e il mare immergendomi nell’acqua e abbandonando i pensieri. C’è stato un tempo per capire come le storie degli altri si possano intrecciare con le proprie fino a diventare tutt’uno. C’è stato e c’è ancora un tempo per ridere di nulla, per soffrire di molto, per lasciarsi e poi ritornare a vivere imparando a stare bene con se stessi e con ciò che prima appariva poca cosa e poi si scopre essere essenziale.
Era iniziato tutto parlando con una sconosciuta di vecchie vicende del paese, che si somigliano tutte indipendentemente da dove accadono, in modo speciale quando si mescolano alle fantasie rasentando la diceria e il pettegolezzo. Le avevo detto che invece le storie si devono ascoltare lasciandosi incantare dalla loro anima e dalla vitalità delle parole; allora narrare e ascoltare può portare davvero lontano nel tempo e nello spazio, e condurre fino ad una bambina che giocava con una scatola di vecchi bottoni per costruire con la mente storie cangianti come madreperla, a volte per travestire una amara realtà. Parlare delle vite degli altri è stato come passare nuovamente tra le dita quei bottoni preziosi dai riflessi di conchiglia, lasciando volare nel vento le parole simili ai soffioni dei denti di leone, che nel linguaggio dei fiori descrivono la forza, la speranza e la fiducia. Infine mi sono accorta che proprio io ero cresciuta immersa in quelle lontane vicende per diventarne poi l’interprete principale.
Così è accaduto tra me e la sconosciuta, è bastato socchiudere gli occhi e lasciarsi andare senza dividere la verità dal sogno, per correre su una strada di confine tra un mondo e un altro. Insieme abbiamo oltrepassato davvero quella curva immateriale che divide il mito dalla realtà, il vero dal falso, la vita dalla morte, e siamo riuscite a guardare oltre.
 

GIAN RUGGERO MANZONI CI PARLA DI DUE LIBRI ARCOLAIO: “IL CICLO DELL’ACQUA-LA PARTE DEL RISTAGNO” DI MICHELE MICCIA E “SE NON NEL SILENZIO” DI BARBARA HERZOG

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SE NON NEL SILENZIO di Barbara Herzog, Edizioni L’arcolaio.
Articolo scritto da GIAN RUGGERO MANZONI su FACEBOOK

Barbara Herzog si è trasferita dalla Svizzera in Italia a vent’anni e si è laureata in Lingue e Letterature Straniere con una tesi in Letteratura Africana. Lavora presso lo Sportello Protezioni Internazionali dove dà sostegno ai rifugiati politici che giungono da noi. Collabora a progetti contro le Mutilazioni Genitali Femminili in Italia e in Africa. Ha pubblicato la raccolta “Sopravvento” con Raffaelli Editore. Col presente libro va ad esplicitare gli anni dedicati al lavoro che svolge quotidianamente. A questo punto lascio la parola all’amica Francesca Serragnoli che ha curato la prefazione dell’insieme: “C’è una chiarezza nel mondo, senza confini, chiamata sofferenza. Vicina o lontana che sia, ne siamo impastati nel corpo e nello spirito dalle origini del mondo. Franco Loi, in una sua poesia, cito a memoria, scriveva: ‘ogni volta che mangio, qualcuno muore’. Immagino si riferisse alle notizie del telegiornale. Ecco, questo libro non sono le news di prima pagina raccontate con gli occhi della poesia. Non è un libro furbo che ha trovato un argomento ‘commerciale’ (l’esagerazione non politicamente corretta è per capirsi). Certo, il primo commento, buttato lì, è quello che il dolore che il libro tocca (con mano) è quello che percorre un fiume sotterraneo, parallelo: i migranti, i futuri rifugiati, i derelitti. Noi lo vediamo alla televisione e, come gli operatori, ci mettiamo i guanti di gomma. Ma non è questo, ripetiamo, il commentino che può torturare la mente e la pancia. Lo scontro principale è su ‘cos’è umano’ e la chiave di lettura, credo, sia ‘non si assomigliano / se non nel silenzio’. […] Barbara ha avuto la forza di non isolare il dolore come ultimo pungiglione (sotto teca) che definisce quello che è una persona. Il pungiglione sono i volti, con i loro orizzonti vasti come quelli dei grandi paesaggi collinari che ci circondano. Non si tratta di contenere la sfilata di profughi che entrano nelle nostre città, di contare, di classificare, qui c’è una grande similitudine che sorregge tutte le nostre poesie: la migrazione in questo mondo, senza confini, dolorosa, turbata, il grande viaggio della vita spinto dal desiderio di stare meglio, cioè della felicità […]”.

Gian Ruggero Manzoni

 


 

IL CICLO DELL’ACQUA – PARTE DEL RISTAGNO di Michele Miccia, Edizioni L’arcolaio.
Recensione di GIAN RUGGERO MANZONI

Michele Miccia, nato nel 1959, vive e lavora a Parma. Ha cominciato a scrivere da adolescente e a venticinque anni ha deciso di smettere, cestinando quanto sin lì prodotto. Nel 2006 ha ripreso a fare poesia. Dal 2006 al 2011 è stato inserito in varie antologie poetiche. Nel 2011 ha iniziato a pubblicare le sue raccolte, tutte con le Edizioni de L’arcolaio. Così dice l’amico Gian Carlo Baroni di quest’ultima raccolta di Michele: Giunge alla quinta tappa l‘importante progetto poetico di Miccia intitolato complessivamente “Il ciclo dell’acqua” che si articola in diversi momenti e fasi tuttora in fieri. L’ultima recente raccolta, “Parte del ristagno”, procede in continuità con le precedenti (“Parte di sotto”, “Parte di dentro”, “Parte di mezzo” e “Parte di fuori” – alcune delle stesse ho avuto modo, anch’io, di segnalarle qui – nota di GRM), ma allo stesso tempo evidenzia una autonomia che la distingue, una personalità che la differenzia. Il complesso e ampio progetto dell’autore si dimostra dinamico e in evoluzione, capace di generare nuovi capitoli collegati fra loro, ma dotati di una parziale autosufficienza. I cinque libri sono accomunati dal tema del corpo, ma possiedono ciascuno una parola chiave che li contraddistingue. Nella prefazione a “Il ciclo dell’acqua – Parte del ristagno” Giovanna Piazza nota che nelle novanta liriche che compongono il libro l’immagine dominante è quella della porta. La porta è una metafora intramontabile e potente, ricca di significati anche opposti, di sfumature e di suggestioni. Ha a che fare con il rapporto duale fra dentro e fuori, inclusione ed esclusione; la porta si apre e si chiude, accoglie e respinge, divide e collega, è limite invalicabile e varco spalancato, è soglia che separa e che unisce. La porta è un oggetto formato di parti (cardini, serratura, ingranaggi); attorno alla porta cresce una casa con le sue stanze e camere, i suoi arredi, con la famiglia che vi abita, le persone che la frequentano e i corpi che si incontrano e si toccano. Quelli di Miccia sono versi visionari che si esprimono con toni misurati e distaccati e che sanno trasformare incubi, labirinti, allucinazioni, angosce e paure, in originale e profonda poesia. Dalla raccolta: “Ogni giorno m’invento / un passato da celebrare con l’aggiunta / di nuovi particolari, un’infanzia / che non ho avuto, una giovinezza / adulterata, alberi sconosciuti / a cui soltanto ora do un nome, / elaboro una liturgia per / evocare i miei antenati perché / diffondano sul mio / conto voci credibili / che mi saldino a un prestigio di padre, / conta che questa storia giunga / a me millenaria, consolidata / per il buon nome dei miei ricordi”.

Gian Ruggero Manzoni

ANDREA BALLARDINI RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI ROBERTO DALL’OLIO – “SE TU FOSSI UNA CITTA'”

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Se tu fossi una città. Ultimo libro pubblicato da Roberto Dall’Olio.
Recensione scritta da Andrea Ballardini per il blog “La costruzione del verso”
Edizioni L’arcolaio.

 

 

Se tu fossi una città, a prima vista potrebbe sembrare una geografia sentimentale di luoghi vissuti o desiderati. Ma Eros, che guida la fantasia del Poeta, inganna e si diverte ad ingannare, poiché, le decine di città dove ci conduce fanno parte di un unico mondo, un unico continente, che è Donna.
Donna amata la cui presenza o semplice evocazione suscita sentimenti a cui si raccordano ricordi veri o immaginari, ma poco importa, tanto, è tutto vita. Se fossi il Poeta vorrei che il Lettore prendesse in mano il libro e lo sfogliasse con la stessa delicatezza come quando si sta vicini ad una persona che attrae, che se ne toccassero le pagine con la voluttà di una mano che sente sotto le sue dita il corpo amato “liberarsi dalla forma” per “scivolare nella materia” (Bomarzo).
Vorrei, se fossi il Poeta, che il Lettore, leggesse le poesie senza alcune ordine, così come si può accarezzare o sfiorare quel corpo da un punto a l’altro, seguendo un portolano del Desiderio, dando effettivamente ad ogni sosta il nome di una luogo esistente, che sia città come Napoli (“…non so perché/ma mi calano/ le mani/ sul tuo ventre/come al Vomero…”) o un’isola come Zacinto (”…col mare dipinto/sul sogno veneziano) forse conosciuti dal poeta, o immaginari come Acronia (dove il tempo “sparisce appena ci tocchiamo”) o sognati di conoscere come Yerevan (…sei tutta la storia…/il melograno degli Armeni/…vieni al mio fuoco/che tu ceni).
Seguire il Poeta nel suo peregrinare significa seguirlo nella sua richiesta, quasi frenetica, di amore continuamente rinnovato in virtù della forza evocatrice dei nomi di città, dei temi o immagini oniriche che riescono a liberare da un sedimento sconfinato di memorie culturali e di storia. Così il nome di Praga evoca non solo l’ombra prorompente del martire Palach, scura come una delle statue nere del Ponte Carlo, ma richiama anche la luce di cui la vedeva rivestita il poeta Seifert e che ora “…era tornata…/…a vestire/te). Così Brest, il porto bretone sul quale piove la pioggia triste è ovviamente anche quello di Jacques Prévert e della celeberrima poesia Barbara da cui Yves Montand trasse la canzone. Ma se parliamo di forza evocatrice allora perché no, Barbara può essere il nome della chansonnière francese di amori malinconici la cui canzone più famosa ha il nome di un altro porto piovoso, quello di Nantes.
Se tu fossi una città è specchio anche dello sguardo amoroso, genuino che Roberto Dall’Olio posa sul mondo e la vita. Sul tenero colore avorio della raffinata edizione dell’Arcolaio ne raccoglie in versi trasparenti e gentili i purissimi riverberi sentimentali. Tra sogno e verità, le cento e più città visitate diventano quindi doni, offerta molteplice di sé attraverso la molteplicità delle cose e della natura incontrate, il variare dei sentimenti e degli affetti suscitati, il riconoscimento dell’infinitezza delle forme nelle quali il Poeta riconosce un riflesso di Amore.
Cento e più città che diventano approdo e partenza, meta e tappa di un pellegrinaggio di passioni e sentimenti, nel corso del quale si è spesso illuminati da “…un inguaribile bellezza/ quando la luce/ e la storia/ fanno l’amore.”
In definitiva, un invito, ancora, per imbarcarsi verso Citera.

Andrea L. Ballardini