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ENTRA A FAR PARTE DEL CATALOGO L’ARCOLAIO LA RACCOLTA DI POESIE “QUEST’ORA DELL’ESTATE” DELL’AUTRICE CARLA SARACINO. COLLANA “I CODICI DEL ‘900”.

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Accogliamo con soddisfazione Carla Saracino in Casa Arcolaio!

La raccolta che qui proponiamo è quanto mai adatta alla collana in cui appare, I codici del ‘900.

Quest’ora dell’estate è un insieme di brani suggestivi, scritti con icastica penna e densi dei profumi e dei sensi della terra salentina. E’ come se dalle pagine uscisse una malìa -quella del clima, delle estati dense di luce, delle case che rappresentano le origini e i colori di tempi remoti-.

Queste poesie da subito ci hanno colpito per la loro dolce, appassionata sintonia con la stagione mediterranea; ricordano i treni notturni che sulla costa da Taranto a Reggio Calabria serpeggiano lontani sulla bella riviera jonica, facendoci desiderare di essere innamorati.

Vi auguriamo una bella lettura!

G. F. e la Redazione.

Alcuni testi:

Dalla sezione “La casa”

Il tempo declina e la spiaggia nasce sulla pagina.

Vedo le dune approssimarsi al dito che sfoglia.

La pianta del ginepro

accasciata alla riva pungola il suono.

Non si tratta di una casa o dell’estate che affolla i pensieri.

Si tratta di una pena e del suo impossibile.

Del vedere prima di patire.

Si tratta dell’irredimibile.

***

Nell’estate dei contrasti la casa ignora

il fuoco che si annida sui muri.

L’incendio devasta il paesaggio

rovina il disegno di chi osserva.

Ogni mobile tace. Scricchiola negli anni perduti

il fondo di un bicchiere apparecchiato per caso.

La calce occupa il terrazzo. La mente soprassiede.

Gli utensili della cucina sono fiori di un campo giallo.

La mente si apre al dovere. Entrano lettere, scavalca la figura appanna il suono ogni coraggio di penetrazione.

Scava la fortuna come l’osso nei secoli del dolore.

***

Abbiamo perduto gli anni

la pianura dei pavimenti freddi in primavera

le nudità dell’estate sulla linea del desiderio

caduto in povertà.

Abbiamo perduto quel gusto di essere nati

sotto le torbe della stanza,

finiti come petali di un fiore

che insorgeva e risorgeva dal grido alla vita.

Abbiamo ottenuto altro, nel frattempo?

Questa sostanza d’aria che veglia nella stanza

come un intruso, il dubbio offerto alla parete bianca di calce e di invenzioni.

***

Dalla sezione “L’estate”

Ma l’erba era secca, il paesaggio brullo. Qualcuno la chiamava

scolpita nel chiaroscuro di un’anima carnale.

Lei rispondeva, poi di soppiatto ritornava nelle stanze ventose accartocciate dal verdastro e dal nero dell’inchiostro della sua

[pianta

la pianta del corpo eretto, suo ultimo esecutore.

***

Quest’ora dell’estate chiami vigilia,

benché si ripeta allo stesso modo, da anni.

Benché in ogni favola o storia da raccontare

ritorni la morte, che non vive di sole macerie.

C’è del rossore cupo a offesa del sangue

sulla cima di un desiderio terreno. Io lo vedo e per amore dell’estate sono inerme.

EMANUELA TOLOMEO RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI FLAVIO FERRARO: “IL SILENZIO DEGLI ORACOLI”. ARTICOLO APPARSO PRECEDENTEMENTE SUL BLOG MOREL-VOCI DALL’ISOLA.

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Pubblicato il 30 marzo 22 su MOREL-Voci dall’isola.

IL SILENZIO DEGLI ORACOLI di Flavio Ferraro.

di Emanuela Tolomeo

La scrittura ‘architettonica’ nell’opera “Il silenzio degli oracoli” del poeta Flavio Ferraro determina

gli spazi in cui avviene la ricerca del sé e dell’Assoluto che si discosta, nella forma, dai canoni della

poesia classicistica e ne risignifica i contenuti.

La ‘parola estrema’ è azione

“farne confine,

parola estrema.

Uno spazio di chiarore,

che io voglio varcare:

uno stagliarsi,

uno stare contro il cielo.”

Innalza le altezze stilistiche, delimita gli spigoli dell’anima, i fogli, bianchi come una corsa , afflato, e le

cadute volute e vertiginose nello spazio vuoto

“Attraversare non è nulla.

Solo nel vuoto il vuoto si colma”

Gli elementi naturali come strutture di equilibrio, l’ albero è leva che solleva la terra e ne capovolge

l’ordine

“l’albero, che nessuna fonte

nutrì; nato da sé, fonte

lui stesso: l’albero neve.

Dai rami nudi, rivolti

verso il cielo; e le radici,

fin dentro la terra.

Per sollevarla.”

E il buio è luce e non c’è abisso nella discesa, si cade verso l’alto, cadere è essere accolti

“più nera ancora

la mano che raccoglie.”

Lo svolgersi della storia alternanza di vuoti e pieni, segni che sono parole, versi. E la ricerca continua in

“Sarà il bastone a insegnarmi il deserto”, luogo in cui l’anima trova se stessa, le proprie radici

archetipiche, spiritualiste fino all’eliminazione delle strutture di pensiero.

Sperimentale e astratta continua il passaggio attraverso la materia

“Sponda del lago, quanto

per me indubitabile

entro una macchia

di faggi che si oscura

se la guardi, senza sintassi

come fiori di novembre.”

Fino all’eliminazione della sintassi come negazione della fede nelle strutture, “le parole in cui non

credo” scrive il poeta.

Decadenza ed esaltazione, climax costante di immagini e suoni fluidi, autunnali e luminosi insieme.

Parole-segni, nere come il buio mettono in luce il silenzio che è esso stesso luce e lo riempiono di

significato nel percorso che ognuno di noi fa, nel continuo chiedere a se stessi, in un mondo in cui la

risposta è tutto, solo il silenzio dà le risposte all’esistenza umana.

Parole-elementi architettonici, angoli e pilastri che sorreggono il significato simbolico dell’opera, ‘

costellazioni’ ‘luce’, ‘non qui, lontano’, ‘siate chiare mie parole’, ‘sì, lo voglio’, continue esortazioni del

poeta alla sua interiorità, fil rouge, raccordi in cui il poeta parla a se stesso, culmine sentimentale e

l’amore è la scrittura poetica, un insieme che comprende il rapporto biunivoco tra bianco e nero e che

si interseca con i marroni autunnali , nutrimento visivo e in cui le cadute danno il significato

dell’esistenza e ne trovano un luogo simbolico.

Opera ricca, simbolica nella ricerca dell’Assoluto: il silenzio degli oracoli che non rispondono nel

mondo contemporaneo, il Kali Yuga, così definito dal poeta, riferendosi all’epoca più oscura in cui lo

splendore viene soffocato dai conflitti .

Un’opera letteraria pura, ricca, completa.

Emanuela Tolomeo