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UNA NUOVA ENTRATA ALLA CASA ARCOLAIO: E’ MARILENA RENDA CON IL SUO ULTIMO LIBRO INTITOLATO: “FATE MORGANE”. L’OPERA E’ ACCOLTA NELLA COLLANA PHI, DIRETTA DA DIEGO CONTICELLO E GIANLUCA D’ANDREA.

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Accogliamo quest’oggi Marilena Renda, l’autrice di valida solidità che viene a depositare nella collana phi la sua “Fate morgane“, una serie di testi di grande ferinità, abbondanti nel respiro e nel verso. Un’opera, insomma, arcaica come i sassi e dura come la vita che si rivolta nelle budella dei panorami del nostro sud. Un libro di grande icasticità – un progetto sospeso tra enormi paesaggi e crescite problematiche. Gianluca D’Andrea ha stilato la nota editoriale, puntuale e acuta, che qui sotto riproponiamo per una completa decodificazione del libro.

Buona lettura!

Gianfranco.

Nota editoriale di Gianluca D’Andrea:

Illusione e reale: nell’intercapedine tra visione e aderenza a un mondo in fuga perenne, in un «terreno per fate morgane e inganni perfetti», si muove la più recente poesia di Marilena Renda. Fate morgane, appunto, i miraggi dei luoghi e dei ricordi, di una Sicilia contemporaneamente fruttifera e morente, con la conseguente necessità di trasfigurare le relazioni in mythos, in una lontananza che attenui il dolore di un’origine per sempre perduta. L’impressione suscitata dalla lettura dei testi, nonostante la nominazione precisa di persone e luoghi, è quella espressa da Vincenzo Consolo in Le pietre di Pantalica: «Mi par di ritrovarmi in tempi remotissimi, e che l’uomo non esista più o, meglio, che non sia mai esistito», effetto paradosso che bene si attaglia al “disorientamento” suscitato, e così ritorniamo al titolo, all’illusione, alle «nuvole / che curvandosi all’impossibile / poggiano su terre che non si vedono». Eppure da questi miraggi, per mezzo della loro forza immaginifica, soprattutto nella seconda sezione, emergono vite concrete: la nascente (la figlia) e la rinnovata (la madre). E se «le foglie hanno cambiato forma» e «il mondo fa le prove di un altro mondo», allora si capisce come gli ultimissimi testi preannuncino un ulteriore spostamento in direzione di una pietas civile sempre presente nella poetica dell’autrice.

Gianluca D’Andrea

***

Alcuni testi tratti da “Fate morgane“:

III.

Se consideriamo che tra isole lontane

troviamo a volte molte somiglianze,

mentre isole vicine sono spesso assai diverse,

si spiegano allora molte cose dell’infanzia:

non capivo mia madre, mio padre, mai,

amavo il profumo di mia nonna nel letto

e desideravo i loro abbracci a dismisura,

ma quando si è trattato di far cantare il mondo

ho assoldato soldati di ventura, stupidi e spregiudicati,

che di notte mi insegnavano mostruose filastrocche.

***

VIII.

A Siracusa Freud vede delle piccole statue

di madri e fanciulle, alcune con neonati,

colte nell’atto di sorridere, o camminare.

Qui ho visto il femminile, scrive a Jung,

ma non entra nei dettagli e non condivide

la scoperta nemmeno con Ferenczi,

che in viaggio si rivela esigente e molesto.

Tiene per sé la visione, scovata o no per caso,

vale un intero viaggio, ma non trova le parole,

forse l’ha desiderata troppo a lungo,

e forse è inutile addobbare la verità di dettagli.

Scrive alla moglie, impossibile l’anno prossimo,

troppo costoso venirci in tre, in cinque, in undici,

dovrei mettermi a fabbricare fibbie e fiammiferi,

tengo la Sicilia per me, nessuno me ne voglia.

***

Dalla sezione “Le madri

I.

Non avevo mai visto una casa,

quindi la trovai spaventosa.

Venivamo da una tana,

conoscevo solo tane.

Mia madre non aveva più lo sguardo del terremoto,

la gonna sgualcita e lo sguardo verso il basso

di quelli che provano a fare ordine nel terrore.

Le madri sono buone, buone come la terra

e la terra è buona anche quando non lo è affatto.

Il loro regno è potente e silenzioso

e nel sangue hanno la quiete della morte.

***

VI.

Le illustrazioni della mandragora la rappresentano

alta cinque centimetri, in forma di uomo

o di bambino che dorme dentro la terra.

Prima o poi nasce, dopo uno strano parto,

e si ritiene che, essendo figlia di madre potente,

possa ribaltare le leggi di natura, donare l’amore,

chiudere la bocca al male e far nascere altri bambini.

Qualcuno addirittura ha visto una mandragora e un bambino

abbracciati, intagliati nella stessa sostanza vegetale, seppelliti nella simbiosi e perduti agli sguardi

***

Dalla sezione “I bambini salvati dal mare

I.

Ti dico le parole che ti piacciono, forse le imparerai volentieri

sei triste, vorrei chiederti, arrabbiata col linguaggio

non ti piace più l’aereo, e nemmeno l’elefante

lo sai che i bambini non rinunciano facilmente

alla gioia, in Siria, appallottolano le foglie

per fare una palla, e anche se dormono per terra,

dove capita, protetti solo dal fiato degli alberi,

fermi come escrescenze, come totem toccati dal sacro,

non dimenticano le parole, le aspettano di nascosto,

aspettano che tornino, silenziose, dalle tane.

***

II.

Una nigeriana, a Palermo, in via Juvara

ha gettato in un sacco ciò che resta di un bambino.

La sua morte fino a ieri sarebbe stata solo un pericolo scampato,

uno di quelli di cui si nutre con divertimento

la nostra storia di adulti, con le cadute dalle scale

gli incidenti stradali e i danni ai denti.

Quante cose non vedono i santi che proteggono,

tutta la violenza al centro di questo amore.

TORNA IN CASA ARCOLAIO LA BRAVA POETESSA ANNA MARIA CURCI CON L’ULTIMO SUO LIBRO “OPERA INCERTA”, NELLA BELLA COLLANA “I CODICI DEL ‘900”.

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Accogliamo con piacere il ritorno di Anna Maria Curci in Casa Arcolaio. Era dal 2015 che l’autrice romana non rinnovava la sua visita; lo fa oggi con un libro maturo e ricco di coinvolgimenti culturali e di talento. Il progetto che qui proponiamo è accompagnato da una postfazione robusta di Francesca Del Moro (quasi un saggio) che, con perfetta equipollenza, sta in equilibrio con la solidità del volume.

Bentornata, Anna Maria: Gianfranco e i suoi collaboratori ti abbracciano con stima e affetto.

Pubblichiamo adesso un inizio dello scritto della Del Moro.

Seguiranno poi ancuni brani dell’autrice, per terminare il promo con la parte finale del saggio di Francesca.

***

Il viaggio dantesco di un cuore pensante (1^ parte della postfazione)

Se ogni opera letteraria è in qualche modo apparentabile a un viaggio, in quanto invita il lettore ad attraversare ed esplorare un percorso tracciato dalla scrittura, ciò vale in particolare per questo nuovo lavoro di Anna Maria Curci, in cui sono molteplici i riferimenti a un cammino, da svolgersi sotto il segno della pazienza e dell’ascolto. Il concetto di attraversamento viene evocato fin dal componimento di apertura da cui prende il nome la prima sezione, Barcaiola, che da un lato ci fa pensare all’inizio del viaggio dantesco (e Dante è un riferimento costante nel libro), dall’altro lascia affiorare il sorriso luminoso del barcaiolo Vasudeva che insegna a Siddharta a porgere orecchio al fiume. Così, fin dall’inizio Anna Maria si dispone e invita il lettore a prestare attenzione, a cogliere l’impercettibile, cadenzato bisbiglio del remo, basso continuo che scorre sotto la melodia dei versi.

“Su questo interroga il fiume, amico. Guarda come ne ride!” raccomanda Vasudeva a Siddharta e in queste pagine il sorriso è fedele compagno all’autrice e al lettore. Manifestazione esteriore di una serena consapevolezza, si muta solo a volte in riso aperto, sferza dell’ironia che, se qui risulta forse meno graffiante che in altri testi dell’autrice, nondimeno rimane prezioso strumento di indagine e smascheramento.

Torna in questi versi, come altrove (ad esempio in un ciclo di haiku inediti), il tema del guado come “condizione permanente”, un passaggio che prende corpo nell’incedere sghembo del granchio, spiazzante per chiunque prediliga le vie più dirette ma in sintonia con i cicli della natura e capace di superare gli ostacoli fino a raggiungere la meta. “Non ho fretta” si avverte nella chiusa di una delle poesie della prima sezione, invitando a rallentare il passo, a fare tesoro dell’attesa. A esperire ogni tappa con lo stupore con cui si scoprono le “piccole gioie in scatole modeste” del calendario dell’avvento.

***

Alcune poesie tratte da “Opera Incerta“.

Dalla sezioneBarcaiola

Barcaiola

Siedi sull’altra riva e getti l’amo.

Io traghetto.

Nella scalmiera remo

bisbiglia con cadenza.

Lei, la tua mobile sostanza, smesse

le vesti torbide, mi accoglie.

Quando riprende il volo la speranza,

cocciutamente sai che non è fuga.

***

Giungo da un sogno altrui

(A mio padre e mia madre)

Inseguo ancora, sai,
vostri sguardi e pensieri
e Madame Butterfly
che cantaste, leggeri. Un fiore di ciliegio
è la risposta, forse.
Taciuto a lungo il fregio
all’enigma, alle corse.

***

Dalla sezione Opera incerta

Imperdonabile inattuale

            (leggendo Cristina Campo su Gottfried Benn)

Imperdonabile inattuale resti
neghi a chi archivio ti vuole dolente
e lorde liquida cambiali unte,
gabelle d’aria fritta, campionario

di impenitenti solite sconcezze:
nichilista, utopista, apripista,
autodafé alimenta per i gonzi
ghiotti solo d’altrui gozzoviglie.

***

Dalla sezione Mnemosyne

A Gramsci

Roma, cimitero acattolico

E qui mi fermo sempre
              penso ai tuoi scritti

              al tempo        ad altre soste.

Anni addietro lasciammo i nostri segni
              scansate foglie
              sospese le parole.

***

Dalla sezione “Di tanto azzurro

Traducendo Rose Ausländer

Una chiusa che sbarra
e i cordiali saluti 
lanciati come sfida
all’offerta di aiuto

Keine Delikatessen
si diceva in poesia.

E se il ghiaccio ci morde
tu Rose io straniera
ricerco la tua strada 
tendo l’orecchio al canto.

***

Di tanto azzurro

Non so se sono ancora la bambina
che facevi volare nel mattino
nitido e freddo al sole di dicembre.

La casa, poi il mio asilo e la tua scuola
dove da trafelata ti mutavi,
lingua-madre diventava il francese.

So che di tanto azzurro mi rimane
un fiocco, il cielo in testa e l’occhio desto,
pegno d’incanto, balzo, testimone.

***

Dalla postfazione di Francesca Del Moro (Conclusione)

(…)

Non si può prescindere dalla storia per aguzzare il proprio sguardo sul presente e in questo senso Anna Maria sembra far proprie le parole, evocate in una delle poesie del libro, che l’amatissima Cristina Campo scrive a proposito di Gottfried Benn, autore di scritti andati al rogo nel quadro delle persecuzioni nazifasciste: “Imperdonabile Benn, che afferma non dover essere il poeta lo storico del proprio tempo, anzi il precursore al punto da ritrovarsi di millenni alle spalle di quel tempo, l’antecessore al punto da poter profetare dei più lontani cicli avvenire”.

Anche Anna Maria è un’autrice imperdonabile, che rifiuta di essere complice o passiva testimone del suo tempo, che rifugge l’evasione (“cocciutamente sai che non è fuga”) ma fa della sua poesia memento storico per spingere oltre il suo sguardo sul presente, non per registrarlo semplicemente ma per poter agire su di esso avendo ben chiara la lezione del passato: si sofferma sugli orrori del nazifascismo e della seconda guerra mondiale, con le corse ai rifugi e la morte della piccola Anna Pardini nell’eccidio di Sant’Anna, gli ordini ripetuti in tedesco dai Sonderkommandos ebrei nei campi, per poi portarci ad appuntare lo sguardo sull’ora fissa dell’orologio della stazione di Bologna, sulla miracolosa intesa tra il Rivoltoso sconosciuto e l’uomo del carrarmato in piazza Tienanmen, e ancora fa di tre strade la topografia della tragedia storica di Berlino, richiama alla comune responsabilità per il dramma delle migrazioni. Dietro i fatti della Storia ufficiale, va alla ricerca di storie umane note e meno note, ne ricorda i nomi, facendo brillare la luce del coraggio, dell’amore che resiste all’orrore.

Ed è proprio in questa chiamata alla testimonianza, nella vocazione a parlare per conto di voci dimenticate o che rischiano di spegnersi che risiede il senso ultimo della scrittura, il valore e assieme la necessità di un percorso quale è quello su cui Anna Maria si interroga e ci interroga. Il percorso etico ed estetico compiuto da un “cuore pensante”, definizione che utilizza nella sua prima raccolta e che racchiude in sé la capacità della poesia di pungolare intelletto e sentimento per diventare, nelle sue parole, “pegno d’incanto, balzo, testimone”.

Francesca Del Moro

PIERA MACULOTTI RECENSISCE L’ULTIMO LIBRO DI GABRIELE GABBIA: “L’ARRESTO”. ARTICOLO PUBBLICATO PRECEDENTEMENTE SU BRESCIAOGGI.

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L’arresto (L’arcolaio), la nuova silloge poetica di Gabriele Gabbia

Nota critica di Piera Maculotti pubblicata su BresciaOggi

Ombre e buio. Al centro un bagliore: un piccolo cerchio di luce. Sembra una lente. Il focus? Un reticolo di sbarre, duro e chiaro, nel cuore del riquadro. È l’eloquente immagine che illustra L’arresto, la nuova silloge poetica di Gabriele Gabbia (L’arcolaio, pp. 55, € 10, e il suggestivo contributo fotografico è di Alessandro Gabbia).

Eleganti strofe essenziali; sapienti versi dai suoni secchi e scabri, mossi da un senso “di perdita e di lutto”; dalla “consapevolezza di una scissione permanente tra il desiderio di infinità e il sentimento di esilio e di estraneità”, come sottolinea Giancarlo Pontiggia nella prefazione.

Chi nasce, muore. Chi vive, se ne va; va via per sempre. Il vivente – si sa – è mortale e L’arresto è certo. Sin dai versi d’apertura – “Defraudato nel corpo” (… e nella mente) – è esplicito il rimando alla “tragicità del vero”: il naufragio è l’ineludibile nostro “avvento”.

Un destino di finitezza, di “caducità esistenziale” sottolineato anche nella postfazione dal poeta e saggista Flavio Ermini (a lui il libro è dedicato)

Un pensiero poetante – quello di Gabriele Gabbia – teso “nell’ausculto dell’andirivieni” dell’umano calvario; un arduo cammino segnato dall’ora della cenere e dalla precarietà (“è dove non sei/ che stai”). Scarti e distacchi, paure e cesure sulle vie che il vento ha divise, tra tante presenze “elise”. Assenze. Vuoto. E sempre – all’orizzonte – “l’eternità aggressiva dei morti”, il duro sonno della fine còlto da uno speciale sguardo che sa fissarsi, saldo, su “la fissità inquieta/ d’un nulla”.

Da lì scaturisce “quel modo/ di star dentro alle cose” del mondo: aria, foglia, ombra… “l’immane/ movimento della vita” che il poeta abbraccia e attraversa con la coscienza che “la bellezza/ non si stringe non si possiede:/ si contempla si contiene si lascia”.

Poiché tutto “tace e scompare”, dice il messaggio nella bottiglia de L’arresto. Ma, poi, molto “riprincipia”; e la poesia di Gabriele Gabbia lo svela e rivela.

                                                           Piera Maculotti

L’AUTUNNO-INVERNO 2020-2021 VEDE UNA ECCEZIONALE FIORITURA DI AUTORI E DI LIBRI.

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L’AUTUNNO-INVERNO 2020-2021 VEDE UNA ECCEZIONALE FIORITURA DI AUTORI E DI LIBRI.

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Non vi sembra una bella fioritura?

Alla vigilia delle nuove restrizioni anti Covid, L’arcolaio esorcizza i pericoli del contagio con una bella fioritura di libri. Cominciamo con novembre: arriva per la seconda volta, la cara amica e ottima autrice Anna Maria Curci con il suo “Opera incerta“, farcito con una post-fazione poderosa scritta dalla brava Francesca Del Moro. Un’altra poeta (o poetessa, scegliete voi il termine giusto) che giunge in casa editrice è Marilena Renda con il suo “Fate morgane“, opera destinata alla bella collana phi, diretta da Gianluca D’Andrea e Diego Conticello. Ma non è finita: torna in dicembre anche Antonio Pibiri con “In cosa consiste il lavoro“, volume da molti lettori atteso. Sempre in dicembre, un altro autore di grossa caratura: si tratta di Vito M. Bonito con la sua opera più recente, intitolata “Di non sapere infine a memoria“, inserita nella risorta collana “Il laboratorio” diretta dal nuovo responsabile, Luciano Neri.

Casa Arcolaio si propone sempre la qualità, secondo i vari binari espressivi contenuti nell’antro della Poesia italiana contemporanea.

Poi, è chiaro, nulla diremo della primavera 2021, che, rincorrendo il periodo preso in considerazione in questo post, tenterà di raggiungere alte e ambiziose mete.

A tutti i nostri amici lettori, una buonissima lettura con le nostre edizioni!

Gianfranco.