

Gianluca è tornato a farci visita! E’ tornato a soggiornare nella nostra casa editrice in veste di osservatore letterario con il suo “Postille (tempi, luoghi e modi del contatto)”. All’interno di questo suo progetto egli sembra compararsi a un antico farmacista che ami preparare i propri rimedi farmacologici a base di dosi accorte di principi attivi. Quasi un miracolo omeopatico che serva a nomenclare e definire, in modo analitico e chiaro, le caratteristiche del “preparato”. Una lettura interessante con numerose sorprese.
Un libro da consultare ogniqualvolta se ne senta il bisogno.
Buona lettura!
La prefazione di Fabio Pusterla:
Sulle Postille di Gianluca D’Andrea
La parola-titolo di D’Andrea, in apparenza umile e dimessa, è ingannevole come le petrarchesche nugellae, e nasconde prima di tutto un bisticcio di significati. A quello vero e proprio di annotazione scritta dopo, cioè di riflessione critica che fa seguito alla lettura e alla meditazione (e che vanta già nei suoi annali un bel numero di precedenti giganteschi, da Manzoni a Croce), si associa infatti, in un bisticcio divertito dichiarato dall’autore, il contemporaneo concetto di post, cioè di te-sto postato su di un sito o blog, che suggerisce l’origine di queste pagine e la loro iniziale funzione. Nate per un sito, le postille conservano di quella loro iniziale ideazione la velocità e la stringatezza, che consentivano all’autore la rapidità di esecuzione e ai fruitori l’immediata assimilazione: della postilla in sé, ovviamente, ma anche del testo a cui la postilla i- neriva. Sicché le Postille sono contemporaneamente una proposta di lettura, occasionale per quanto concerne la strutturazione antologica che non segue criteri particolari, ma non meno interessante vista la qualità notevole dei testi scelti, e un tentativo di intervento critico, che di quei testi fornisce un abbozzo di lettura e che soprattutto dice qualcosa di importante a proposito del lettore responsabile, cioè di Gianluca D’Andrea, che non è lettore qualunque né tantomeno neutrale, essendo egli stesso implicato in un processo di scrittura poetica il cui maggiore risultato è al momento la raccolta Transito all’ombra (2016).
Strutturate attorno ai tre concetti di tempo, luogo e modo, le Postille offrono al lettore quarantadue autori, ciascuno rappresentato con una, o più raramente due poesie (e nel caso degli stranieri, con la doppia partita di testo originale e testo traduzione); e di ciascuna poesia D’Andrea cerca di suggerire una chiave di lettura che non è esattamente di matrice stilistica o filologica, ma che rientra in un suo non esplicitamente dichiarato ma ben presente in filigrana orientamento filosofico-poetico, che non è questo il momento di esplicitare fino in fondo, ma da cui si potrà almeno estrarre, come un minerale in bella evidenza, la coscienza di porsi dopo il Novecento, e di guardare pertanto alla grande tradizione che le Postille evocano in un modo assai particolare. In un modo, si potrebbe dire, postumo: termine che suggerisce subito un ulteriore sovrasenso del titolo.
Già in questa incentivazione semantica di un singolo termine è possibile riconoscere qualche caratteristica del poeta D’Andrea, del suo uso complesso del linguaggio, della sua propensione verso una certa dose di sperimentalità e del suo costante tentativo di ricondurre la scrittura poetica a una teorizzazione non sempre facile, non sempre trasparente, ma non per questo inutile o priva di necessità. Da questo punto di vista, la misura breve della postilla tiene a bada il rischio dell’eccesso, riduce al minimo l’oscurità del discorso, e limitandosi ad accennare un pista del pensiero critico lascia al lettore la responsabilità di continuare da sé l’esplorazione. D’altra parte, la condizione postuma a cui si accennava spinge l’autore di queste Postille a cimentarsi senza troppi timori con i mostri sacri della tradizione: il punto estremo è forse rappresentato dall’Infinito di Leopardi (cui seguiranno poesie di Montale, della Rosselli, di Caproni e Zanzotto) e dai testi di Baudelaire e Rimbaud per aprirsi verso l’Europa (ma in sostanza tutti gli autori europei fanno parte dei classici della modernità).
Infine, il volumetto delle Postille schiude anche qualche interrogativo d’altro tipo. Intanto: cosa succede nel passaggio dalla funzione originaria legata a Internet a quella di testo stampato su carta? È possibile che il dialogo tra due diverse situazioni comunicative possa lentamente modificare qualche abitudine secolare e qualche genere codificato, dando vita a una nuova forma di ibridismo, produttore di chissà quale senso futuro? In secondo luogo: come motivare la scelta di trasformare in libro ciò che era nato come serie di post? Dovremo leggere in questa volontà il perdurare del prestigio del testo a stampa su quello on-line? Oppure si tratterà di variare il pubblico dei lettori, presupponendo così una partizione semiologica non priva di interesse? O ancora, saremo di fronte a un paradosso apparente: quello per cui la durata di un’opera a stampa, di un libro, che sappiamo bene essere molto limitata nel tempo (quanti libri d’oggi sopravvivranno fisicamente ai prossimi decenni, per non dire ai prossimi secoli?), continua su un altro livello di coscienza a sembrare maggiore e più solida della durata potenzialmente illimitata dell’on-line, opponendo la matericità del libro, oggetto deperibile in sé ma, appunto, oggetto, alla virtualità della rete, priva di materia e (forse) di tempo, ma meno reale, meno tangibile, e per il momento almeno antropologicamente ancora meno nostra?
Fabio Pusterla
Una postilla:
Seamus Heaney: una poesia da District e Circle
(Mondadori, 2009)
(29/07/2015)
On the Spot
A cold clutch, a whole nestful, all but hidden
In last year’s autumn leaf – mould, and I knew
By the mattness and the stillness of them, rotten,
Making death sweat of a morning dew
That didn’t so much shine the shells as damp them.
I was down on my hands and knees there in the wet
Grass under the hedge, adoring it,
Early riser busy reaching in
And used to finding warm eggs. But instead
This sudden polar stud
And stigma and dawn stone– circle chill
In my mortified right hand, proof positive
Of what conspired on the spot to addle
Matter in its planetary stand– off.
*
In quel momento
Un intero nido d’uova fredde, semi nascosto
nel concime di foglie dell’autunno scorso, compresi
dalla sua immobile opacità, marcito,
mutava in sudore di morte la rugiada del mattino
che non ne rischiarava i gusci ma li infradiciava.
Ero a carponi là nell’umida
erba sotto la siepe, in adorazione,
mattiniero, intento a tendere la mano
e avvezzo a trovare uova tiepide. E invece
questa improvvisa borchia polare
e marchio e freddo d’alba cerchiato di pietre
nella mia mortificata mano destra, prova evidente
di ciò che tramava in quel momento per guastare
la materia nel proprio impasse planetario.
(Traduzione di Luca Guerneri)
Postilla:
Tempo gelido dell’eterno, nell’ultimo tentativo di riscatto che il ‘900 poteva offrire: l’aspettativa, anche se qui il miglioramento, che il rito vitalistico sembrava presupporre, è disatteso. «This sudden polar stud», immagine pietrificante del disincanto, quel nido raggelato mortifica l’apprensione e lascia tra le mani la ripetizione, come un assillo, della caduta. «Stand-off» planetario, perché la terra (il mondo) è questo “stop” che annulla la speranza. La fine è sorpresa della fine, ma questo è ieri. L’oggi è neutralità soggiogata da un’altra impasse, quella del soggetto spettralmente assuefatto al proprio essere, mortalmente definito dal proprio tempo. «My mortified right hand» è pura retorica, metonimicamente tende a indicare la mortificazione della materia (e sua caduta gravitazionale: la caduta del nido è, infatti, la caduta di una dimora che si pensava ancora salvabile), il guasto immedicabile della speranza – e dello spirito – che si credeva abitasse la materia stessa, la quale diviene «mattness» e, infine, «stillness», ovvero «death sweat» del mondo, senza che «la rugiada del mattino» possa riacquistare quel senso di rinascita una volta pertinente. Una volta, cioè in altri tempi.