POST DI SETTEMBRE – OTTOBRE 2006
LIBRI RICEVUTI



MARIELLA MISCHI – ESTUARIO DEL TEMPO – Book Editore, 1^ed. sett.2006 – pg.104 – Prefazione di Giancarlo PontiggiaDEPONI IN ME
Voce di Paul Celan
Deponi in me
la tua fede
sorella
della mia Parola –
deponi in me
il tuo sguardo
schiusa – insanabile
cicala –
il canto freddo
dell’estate
il canto ardente
dell’inverno.
Deponi in me
– come un nido –
la volteggiante
piuma
perché io possa
attraversarti
l’inconfutabile – occlusa
bocca.
§§
PURISSIMA PARTECIPANTE
Circondati
da infeconda follia,
ultracompatta
– in sciami –
la mente
alitante
svolazzante
sopra intonaci
strollati
strangolata da
lingue assassine –
polena ascensionale
p s i c o t o n i c a
/ cielo purissimo /
Purissima precipitante.
MARIELLA MISCHI, nata a Verona nel 1953, vive a Peschiera del Garda. Laureata in Psicologia Clinica presso l’Università di Padova, ha svolto attività di psicoterapeutica, Nel 1997 pubblica la prima raccolta poetica Meridiana d’Amore (Zanetto editore – Brescia); nel 1998 pubblica per Campanotto “Avalon – la spina e la rosa –“ con prefazione di Alda Merini. Nel 200, esce, di nuovo con l’editore udinese, “Karate-Dō – Via della mano Vuota”.
§§
IL MARE BEVE
Il mare,
il mare beve
le mie radici
dalla terra-amnios
alla Cintura di Orione -,
beve il mare
sussurri e tempeste
il primo vagìto
l’ultimo respiro
-il mare beve-
dentro squarci
di labbra la mia
genesi – arco
germogliato nel Nulla
dal vedente Iddio -.
“Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando erompeva uscendo dal seno
materno …”
Il mare beve
alle porte rantolanti,
beve il seno
la morte esalante,
beve il mare
la grinzosa pelle
le mani spalancate
da rivoli di sole.
Beve il mare
la dimensione del tuo
vόlto,
la giada viva dei tuoi
occhi
il mare beve.
Beve, beve …il mare.
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LIBRI RICEVUTI



Tomaso Franco – “TANE E BELVEDERE” – MOBYDICK – Aprile 2006 – pagine 75
Da una fotografia

miei pensieri avvolti in un telo
da bagno rosa a bande bianche sfilacciato
tra rocce quasi rocce
dura argilla scavata a nicchie
da marosi di procella,
felicità (se sapessi
cos’è l’anima, che la misura),
quante volte atterrata scarrocciava,
insabbiava la bacca rosa
e come il catrame indurito
del mare … era lei.
**
Ancora amore
Sto partendo. E’ passata per Torre
ha aggirato le pietre
col broncio perché non c’ero
che sono l’amico rosato
tenero e fedele.
Mio amore. L’han portata a Chisa
dove tutto sembra finire, anche l’acqua
“Qui finisce tutto” le han detto ridenti
ma a lei non piaceva
perché partivo, che sono l’amico
che la conduceva.
Sono partito. Mio amore.
Rimane sulle nostre rive,
aggira i cespugli, la tamerice,
ai primi temporali mi pensa
fortemente, è infelice
perché più non ci sono
che sono il suo primo amore.
Se talvolta per cose mie
sono a Macao o a Timbouctou
immagino Torre e Chisa dove lei
è stata senza di me che sono
il suo ultimo amore arcano.
Mio amore.
Ho visto passare per quei luoghi
molti solitari ormai infelici
perché ciò che li attraversa
non hanno. Io profondamente
ho te che passi e ti tengo
nel cunicolo dove tutto dunque
finisce.
**
Tomaso Franco è nato a Bologna nel 1933 e vive a Vicenza. Ha esordito nei primi anni Sessanta su riviste specializzate, dirette da Piero Chiara e Giorgio Bàrberi Squarotti. Come poeta ha pubblicato: “La capra magica” (1978); Uno scatto dell’evoluzione (Edizione del Leone, 1984), prefazione di Luciano Erba; “Parole d’archivio (CENS, 1986, pref. di Guido Oldani – Premio Clemente Rebora) ; “Il libro dei torti” ( Liberty House, 1988) ; “Casa di frontiera” (1990) ; Volavi per me (Ed.Pananti, 2001) ; “In un luogo della mente” (Signum, 2001) ; “Nome lontano” (Fiori di Torchio, 2004); “Esitante per amore” (Ed. La rosa e lo scorpione, 2004). E’ inserito nell’antologia “Il viaggiatore indispensabile” (Crocetti, 2002)
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FRESCHI DI STAMPA



La mia attenzione quest’oggi si è soffermata su una vecchia raccolta di prose-poesia di Gian Ruggero Manzoni, “Il dolore“, ripubblicata di recente dalle Edizione del Bradipo, dopo che era apparsa, negli Anni ’90, per le cure delle edizioni Scheiwiller. La raccolta di cui parlo fu dedicata alla memoria del padre Giovanni, allora appena scomparso. Credo di non fare torto alle altre opere dell’amico Ruggero, se dico che in questa particolare fatica si lascia andare ad una naturalezza difficilmente riscontrabile altrove. Qui l’Autore si allenta e riesce a vedere, vivide e rosse di sangue, tutte le piaghe che la perdita di un padre sa infierire sulla resistenza vitale dell’Uomo.
Conobbi suo padre solo telefonicamente, in occasione di una mia lontana convalescenza, dovuta a una pericardite. Il “cuore” era quindi l’argomento clou delle nostre estemporanee conversazioni, essendo il signor Giovanni un cardiopatico. Manzoni senior ebbe chiara fama di valente studioso di storia locale –forse la maggiore personalità, in tale ambito, che la Romagna abbia avuto in tempi recenti – ed innumerevoli sono le pubblicazioni che rimangono, di questo eccezionale talento.
“Il dolore” , quindi, rievoca le atmosfere dell’amore filiale per un padre così particolare e propone anche un Ruggero alle prese con un suo crudo momento contingente. Da un tale lavorìo emergono, memorabili, alcuni frammenti, tra i quali spicca il seguente passo: “ … Il dolore ha comunque un profumo. Un punto massimo di esalazione, che determina l’orientamento e la presa di possesso di quel territorio o dei mondi della rievocazione. …”; affermazione, questa, che ragguaglia e raccorda i molteplici tipi di dolore di tutti i possibili lutti (una sorta di tentativi di riconciliazione del Poeta con l’Assoluta Infermità del Male, che da sempre assilla l’Uomo). Dentro una siffatta onda sinusoidale, che alterna attimi di vita condivisibile al pensiero che si formula e si riformula, io preferisco soffermarmi sui momenti di quieta sofferenza, laddove il nostro amico poeta mostra lo sfilacciamento delle proprie fibre umane. Pennellate icastiche e sempre commoventi e profonde, come quella che ora riporto, rendono preziosa l’opera: “ Da giorni temo il sonno, e l’apatica e negligente disattenzione”. Altri quadri memorabili si rendono fitti e frequenti e non c’è che l’imbarazzo della scelta, nel riproporli. Eccone due, esemplari per nitidezza: “Con l’aria piena di odori riuscivi a scrivere. Nei cambi di stagione e mentre la governante stendeva la cera o piegava le tovaglie di organza e di cotone” ; “Com’era nel tuo stile, andando all’ospedale, hai lasciato la scrivania in bell’ordine. Gli occhiali sul dizionario romagnolo, la lente vicino al delicato vaso del Giappone. La stilografica chiusa, e rivolta verso nord, sui protocolli e sulle fatture del meccanico e del muratore”.
Non servono altre parole!
Caro amico!
Vecchio guerriero, siamo ancora qua; siamo di nuovo noi, a rivoltare l’incredibile, disincantata esistenza! Siamo sempre quei ragazzi che, nelle notti faentine un po’ ottocentesche, si litigava e ci si esaltava sul margine della enorme speranza che, da sempre, per tutte le generazioni, risulta essere la proiezione inquietante della Gioventù.
GIAN RUGGERO MANZONI – “IL DOLORE”, tratto da “OPERE SCELTE per la recitazione e riviste dall’Autore. 1977-2003”. Volume I° – Edizioni del Bradipo – Lugo- 2006
**
I
Fingere per giorni e giorni la tua salute, fino a crederci e a dimenticare
che eri per morire.
Le piaghe del decubito. La tua barba, grigia e rada. Le unghie
ormai nere. I muscoli del petto e del collo, duri e contratti, gonfi,
nel mangiare aria e nel soffiare che sempre ci amavi. Che
ti eravamo vicini. Che non volevi altro. Che per noi continuavi. E
pregavi in latino, con le parole che l’ebbrezza ti allungava. E anco-
ra respiravi, respiravi, respiravi.
Uno, due, tre, quattro, cinque. Da capo, babbo. Allarga i polmoni.
Fallo. Impegnati, per la nostra razza.
Fallo! … e con dignità mi accompagnavi alla soglia. Mi guidavi,
respiro dopo respiro, a capire la morte. A morire con te, la parte
migliore della vita. La parte migliore, che i morti ricordano.
**
VIII
Giocavamo a ramino e a scacchi. Mi offrivi sigarette inglesi e
cacao delle indie occidentali. La domenica pomeriggio mi accom-
pagnavi al cinema o a ballare e, mentre guidavi, contavamo le
ragazze che mi avevano baciato.
Ti paragonavo a quel castagno, a cui i boscaioli chiedono il per-
messo, nella stagione del taglio. A quell’albero della selva di
Camaldoli dove, nel grembo, i patriarchi vengono adagiati. Un
sarcofago di legno centenario. Una cuccia. Una presenza che arde
nella camicia e nel solaio.
Una gentilezza – una carezza – prima di donare … o di ricevere il
male.
**
XVI
Com’era nel tuo stile, andando all’ospedale, hai lasciato la scriva-
nia in bell’ordine. Gli occhiali sul dizionario romagnolo. La lente
vicino al delicato vaso del Giappone. La stilografica chiusa e
rivolta verso nord, sui protocolli e sulle fatture del meccanico e
del muratore. L’orologio carico, e le buste con gli articoli per i
giornali e per la televisione.
Nei cassetti, inevitabili feticci. I timbri dell’azienda e dell’archivio
– le sbiadite fotografie di mamma e io – inviti a mostre e a letture
– cinque bossoli da mitragliatore- una scaramazza – una cartolina
d’auguri del 1958, siglata Maria Rosa, Giovanna e Fedora – poi
due scontrini indivisibili … Fondamenta Nuove, Burano, Torcello
e ritorno. Il fischietto d’osso per le allodole. Lo zampetto di coni-
glio portafortuna. Il somarello di terra cotta e cicche fumate e
rifumate a nostra insaputa. Piccoli gemelli d’oro e il fazzoletto con
Garibaldi e il tricolore –un nastro verde e dodici soldatini di car-
tone, adagiati nella scatola della prima Comunione.
Il sorriso e le gambe della Pampanini, in mezzo alla patente B,
sgualcita e ormai scaduta.
Le nostre lacrime, e il mio sospendere la frenetica e blasfema inve-
istigazione.
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LIBRI RICEVUTI



Eugenio Gino VitaliTESTATA D’ANGOLO
Edizioni dell’Orso
Dalla sezione I PARCHI DELLE OMBRE
Provate a sfilare dal suo grembo,
a chiedergli la fede nuziale,
provate a conoscere il vero innesto dell’uomo
nell’uomo, da est ad ovest,
a portare in alto il cielo con le ali della terra,
a cercare l’albero che innalza le sue dighe
per il dopo vento,
ad essere soli, sperduti nel respiro di un fiore:
provate a liberarvi nell’uomo.
**
Le fabbriche delle città,
il groviglio del canto.
Alle porte del mare l’acqua schiumosa
si dona alle lucenti nuvole.
Targata la terra,
targato il sole,
si battezza il nuovo cordone ombelicale del pianeta.
Il latte bianco e, quello ancora più bianco,
nella mammella nera.
il robot che prega.
sempre in due dentro a uno
per tenere l’alibi sospeso.
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Dal retrocopertina: Eugenio Vitali, nato a Ravenna nel 1934, è autore di numerose opere poetiche fra le quali: “A interminabili piogge /Rebellato 1965), con presentazione di M.Agostino Bolognesi, Premio Internazionale di Poesia “Riviera dei Marmi”; “Il vento della tartaruga” (Cappelli 1973), con presentazione di Giorgio Bàrberi Squarotti; “Ravenna la durata di un trapasso” (Edizioni del Girasole 1981), con introduzione di Claudio Marabini, illustrazioni di Carlo Zauli, selezionato al premio “Viareggio”, 1982; “Concerto atomico” (Cappelli Editore 1984), premio speciale Dino Campana ; Concertomico (Campanotto, 1985), poesia visiva, con presentazione di Roberto Roversi; “Tesi d’amore” (Edizioni Ellemme 1987), con presentazione di Maria Luisa Spaziani; “Nel codice delle notti” (Genesi Editrice 1987), con presentazione di Sandro Gros Pietro; “Ghenes” (Edizioni dell’Orso 1992); “Galileo” (Edizioni del Girasole 1995), con nota di Roberto Roversi, vincitore del premio “Nelle terre dei Pallavicino”. Vitali è l’autore del “Libro di affissione”, apparso sui muri di diverse città italiane dal Veneto alla Sicilia. Tale esperimento è stato ripreso in Italia e all’estero da altri poeti.
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Sono un imprenditore dello spirito,
ho sviluppato le mie energie
su piattaforme eterne, difficili da abbattere.
Nato nell’uomo e anche fuori dell’uomo
ho investito il mio cammino in specchi
che non riflettono ombre:
l’arcobaleno è il mio arcano.
Sono stato anche tutti gli uomini
come lo saranno altri ancora,
scortando sempre l’orologio perché non debellasse
il sorriso delle primavere.
Non ebbi il tempo di vivermi
che dentro di me già un altro vi sostava.
Al respiro acerbo del silenzio
opponevo la rada dei gabbiani,
a colui che non è ancora nato e che sarà,
dico: salvati, tutto è già accaduto
anche ciò che non è nato.
Le agognate altezze
sono i nostri ultimi deserti.
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I PROTAGONISTI DEL MIO FESTIVAL E I RISULTATI DEL PREMIO SPALLICCI








Hanno partecipato: MASSIMO ORGIAZZI-STEFANO GUGLIELMIN-MASSIMO SANNELLI-MATTEO FANTUZZI-ANTONELLA PIZZO-FABIANO ALBORGHETTI-MATTEO ZATTONI- FILIPPO AMADEI-SABRINA FOSCHINI-PAOLA TURRONI-GABRIELE PEPE-GIUSEPPE CORNACCHIA-NICOLA RIVA-LUCA ARIANO-FABRIZIO CENTOFANTI-DANNI ANTONELLO–SALVATORE CIRO DELLA CAPA–LUCA FRUDA’ – SEBASTIANO AGLIECO–VITTORIO PERGOLA–ROBERTO CECCARINI–CRISTINA BABINO–MARCO RICCI–GIOVANNI TUZET-MARTINO BALDI–ADRIANO PADUA–FRANCESCA SERRAGNOLI–DANIELA MONREALE-TIZIANA CERA ROSCO–GIACOMO CERRAI-DAVIDE NOTA-GABRIELE PEPE-DANIELE DE ANGELIS
Arrivederci alla prossima edizione. Hanno tenuto a battesimo i poeti partecipanti i seguenti autori: ANDREA PONSO-FILIPPO DAVOLI-STEFANO MASSARI-LUCIANO BENINI SFORZA-GABRIEL DEL SARTO-ALBERTO BERTONI-NICOLA VACCA. Ha collaborato con “LA COSTRUZIONE DEL VERSO” LUIGI METROPOLI
IL VOSTRO
GIANFRY vi aspetta come sempre, tutti i giorni, su questo BLOG
IERI, DOMENICA 17 SETTEMBRE 2006, SI E’ RIUNITA LA GIURIA DEL PREMIO SPALLICCI PER DEFINIRE LA ROSA DEI VINCITORI DI QUEST’ANNO.
PER LA SEZIONE “INEDITI” SI SONO AGGIUDICATI I PREMI I SEGUENTI AUTORI.
1^ POSTO – BRUNO PICCININI, DI VARANO MARCHESI (PR);
2^ POSTO – FRANCO CASADEI, DI CESENA (FC) ;
3^ POSTO – ALBERTO CASADEI, DI PISA
SONO INOLTRE GIUNTI IN FINALE, A PARI MERITO, I SEGUENTI AUTORI:
ANTONIO LERA, DI GIULIANOVA (TE) – FRANCESCO MAROTTA, DI PARABIAGO (MI) E VALENTINO RONCHI DI MILANO.
SI è AGGIUDICATO IL PRIMO POSTO DELLA “SEZIONE GIOVANI” VALENTINA INCARDONA DI CABELLA LIGURE (AL).
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VINCITORE DELLA SEZIONE “EDITI” E’
ROBERTO AMATO CON IL LIBRO “L’AGENZIA DI VIAGGI” – EDIZIONI DIABASIS REGGIO EMILIA
La Giuria “Inediti”. MARIO PAZZAGLIA, CLAUDIO MANCINI, ROSANNA RICCI, AUGUSTO DE MOLO E GIANFRANCO FABBRI (Segretario)
La Giuria “Editi”: MARIO PAZZAGLIA, CLAUDIO MANCINI, GIUSEPPE LEONELLI, MARINO BIONDI E PANTALEO PALMIERI
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