

Accogliamo quest’oggi nel nostro catalogo lo scrittore-poeta Daniele Gorret, autore di numerose pubblicazioni (vedi bio-biblio, in fondo all’articolo). La raccolta che ci presenta si intitola “Raccolta degli elogi“, le cui motivazioni sono ottimamente esplicate dall’autore spesso, nella “Premessa prosaica. Lode all’elogio”. L’autore è nato ad Aosta, si è laureato all’università di Torino. E’ autore di diverse raccolte di versi e di alcuni romanzi. E’ anche saggista: notevoli sono i due lavori dedicati a Vittorio Alfieri.
Ma leggiamo con attenzione e con piacere la sua personale introduzione.
Promessa prosaica. Lode dell’elogio.
Pensare l’elogio d’un qualcosa (un altro da sé, uno di fronte) vuol dire volerlo carezzare e, volendolo fare, farsene carezza.
Per questo, fare l’elogio è sconfinare: dal dentro di sé, un poco fuori; dai soliti giudizi calcolati, andare più in là, un po’ più arditi, e – anche – dentro se stessi, un poco innamorati.
A Gilead c’è il balsamo famoso? Il Libro assicura che c’è ancora ed è ambìto da noi, i disperati. Prenderne un poco e poi portarlo a casa, e stando in casa spargerlo o donarlo: azione più fraterna non si dà. Elogiando, diamo il balsamo e lo siamo: elogiante ed elogiato fanno uno, e profumo si spande, ovunque siamo.
E manna nel deserto cade ancora? Alcuni, avventurosi, hanno viaggiato, e, a sentirli, giurano di sì.
Manna e balsamo famoso: due forti alimenti per l’elogio! Possiamo partire alla ricerca: per maremorti e per deserti, sostenuti da ciò che da sempre sostiene il viaggiatore: il bisogno di credere più in là.
Pure, formulare un elogio vuole dire: stare in colloquio col silente, udire ciò che il messo a tacere o lo scordato avrebbero, dentro di sé, da far sapere…E insieme vuol dire dare la parola, fargli – da lontano – comprendere “Ti ammiro”. Avere per l’elogiato – se presente – infinito bisogno d’affezione, e – se invece per tempo o per spazi ci è lontano – forti fiammate d’antica nostalgia. Vuol dire rovesciare maggioranze, detti sicuri, larghe convinzioni; non temer di stare con i pochi, gli umili sulla terra, i sempresoli. Anche vuol dire: amare il rifiutato, il pensato immondizia, colui che per i più non vale niente.
Per questo, a chi voglia farsi elogiatore si chiede coraggio e libertà totale. Prima di farlo, prima d’iniziare, consigliamo a chiunque d’essere informato: come nelle confezioni dei medicamenti, leggere le precauzioni è necessario: “Sconsigliato ai convinti che i più numerosi hanno ragione, che legge d’uomo è legge di creato, che progresso sia vero universale… A tutti costoro i nostri elogi potrebbero causare irritazioni, perdita di controllo, svenimenti. Che pertanto si tengano lontani dalla raccolta che qui noi proponiamo”.
L’elogio di qualcosa prevede che si diventi un po’ la cosa. Quindi, c’è anche la carezza a se stesso in quel qualcosa. Come alla fine dell’opera Bohème, io sono un po’ Mimì che canta del suo amore e del suo amore in quel suo letto muore, io spettatore avverto un male acuto al petto, per Rodolfo sento immenso inappagato amore, spalanco gli occhi stesa sul mio letto, li richiudo per sempre, ammutolisco e muoio…
ALCUNI TESTI
La fatica del fiore
Osservo penso esalto la fatica
fatta dal seme di fiore per spuntare.
Seme è nel vaso; io gli sono in piedi
qui sul terrazzo in cieca primavera.
Pur avendone forte desiderio
(desiderio di viscere e cervello),
so che non posso dargli aiuto alcuno:
umano non può costringere la vita
a farsi vita, fuori dalla terra.
Quello che posso è porgergli dell’acqua
e gliela porgo: dal mio bicchiere al vaso.
Prego soprattutto si trasmetta
a lui, se sarà fiore, questa mia
riconoscenza per la sua fatica:
ecco, l’ammiro, di lui sono saziato.
Pieno di riconoscenza per lo sforzo.
Busta in cui era conservato riproduce
immagine che sarà quella del fiore:
fior di tagete rosso, fioritura
da maggio a ottobre, sempre che la terra
sia della buona, fresca e sufficiente.
Prima pianissimo poi forte poi più forte
arriva un vento che pare contraddire
l’aprile caldo in cui seme ed io siamo:
augurio al seme, carezza greve all’uomo.
***
La veranda dello zio
Veranda veneranda con tenda un po’ strappata,
stando seduti in te si vede bene il borgo
ma dal borgo in su non possono vederci:
tenuti al riparo, difesi come siamo…
Passano i pomeriggi lentissimi in veranda:
pensieri, andando adagio, sembrano migliori
(più calmi, in ogni caso, più tondi, più beati):
pensieri in rassegna, pensieri rassegnati.
Pensieri – noi pensiamo – che ha avuto la veranda
nel tempo della storia che è stata la sua vita:
due secoli e mezzo? tre secoli compiuti?
Neppure chiedendo allo zio padrone di veranda
sapremmo di più attorno alla sua vita:
tutto è remoto attorno alla veranda!
A differenza nostra, però, lo zio sostiene
che stando in silenzio seduti su veranda
(non visti da nessuno se non da noi nipoti)
vengono voci (pianissime, sussurri)
e ad ascoltarle bene dicono qualcosa…
Lui dice che ier l’altro ha inteso chiaramente
“Rimetti a noi i debiti, perdona…”
ed ha risposto per non parer sgarbato
“Come anche noi, vedrai, li rimettiamo…”
Lo zio non chiede mai, ma noi alla veranda
vogliamo un bene difficile da dire.
***
La resina del ciliegio
È piantato in questa piazza un ciliegio
(ormai, invero, piazza-parcheggio
da che supermarket funziona):
qui, tra un’auto e l’altra si sente
il vento che arriva, la pioggia se è fresca…
Al ciliegio in verità non bada nessuno:
non le auto in arrivo o partenza
non comari con borse e carrelli
non bambini intenti agli acquisti
neppure, snervati sui camion, gli autisti.
Il ciliegio, se pure attorniato
ogni ora da moti e persone
da rumori da strilli da voci,
sta solitario. Molti anzi non sanno
a dire il vero nemmeno il suo nome;
per loro è una pianta, fastidio
tra un’automobile e l’altra:
alberello-fastidio: attenzione!
Se mai, più accosto al ciliegio,
vedrebbero che il tronco gli cola:
sentirebbero forse che vive
e questo suo sudore che dice “io vivo!”:
si forma in certi punti del fusto,
è colla che profuma in canali,
s’unisce in groppi che si fanno più duri…
È segreto di vita pur parendo tumore.
Contro l’affanno di tutta la gente,
ciliegio lento produce alchimia;
contro la corsa che è supermercato
(corsa ad indurre, corsa a guadagnare),
scorza con antica pazienza di ciliegio
manifesta all’aperto il lavorio;
contro devastazione che vuole novità,
resina, piano, parla in umiltà.
***
Il gatto e la bibbia
Mentre leggo esposto alla finestra
– son libri da leggere all’aperto –
la bibbia in volume poderoso,
il gatto Puff mi salta sulla sedia,
s’insedia tra la bibbia e le ginocchia.
L’accarezzo e distraggo al tempo stesso:
postura è comoda per lui, per me un po’ meno.
Da qualche settimana navighiamo
– a seconda dei giorni e delle ore –
da Sansone e Dalila a Tobia
e all’angelo che Tobia rifece sano.
Poi – se vento alla finestra è quello giusto –
siamo capaci di risalire a Adamo,
di passare ai due fratelli opposti,
di chiederci il perché del contadino
e la ragione contraria del pastore.
Una volta – è accaduto il mese scorso –
ci fermammo due ore nel deserto:
dopo l’esodo, il mar rosso e la salita
sul Sinai scendevamo trafelati…
Puff lascia spesso qualche pelo:
sulla pagina restano segnali:
son passato di qua, ho traversato
le guerre coi Filistei, la prigionia
in Babilonia, ho letto Salomone…
Se mai ritornerò su questo libro,
ritroverò i segni di lettura:
come un domestico o come un segretario
pensa a lasciare un’orma per la storia…
Mi chiedo talvolta se qualcosa
di ciò che leggo sempre ad alta voce
entri nel gatto, gli resti in qualche modo:
si faccia corpo, se penetri nei sogni,
e, se fosse così, con quale forza
quale séguito avrà nella sua vita…
Bellissimo, è certo, è già che ascolti e volti
il capo ora al libro, a volte verso il vento.
***
Daniele Gorret (Aosta, 1951) ha esordito come narratore nel 1984 con Sopra campagne e acque (Guanda) cui ha fatto seguito una quindicina di testi in prosa tra i quali Avventure di vita e avventure di morte di Silvano Ligéri (Manni,1998), Eventi in un giorno di Emilio Tissot (Mobydick,2000) e la trilogia dedicata al personaggio di Anselmo Secòs: Malattie infantili (Pendragon,2010), Errori giovanili e Disinganni senili (Pequod, 2015 e 2018).
Negli ultimi anni sono apparsi anche i suoi libri in versi fra cui Ballata dei tredici mesi (Garzanti, 2003), Che volto hanno (LietoColle,2011, Premio Il Meleto-Guido Gozzano), Quaranta citazioni per Anselmo Secòs (LietoColle,2015, Premi Carducci e Rubiana-Dino Campana) e Carni (Pequod,2021).
Suoi racconti sono compresi nelle antologie Narratori delle riserve (Feltrinelli,1992) e Racconti italiani del Novecento (Meridiani Mondadori,2001).
È autore di testi teatrali e del radiodramma Due.
Studioso dell’Alfieri cui ha dedicato due saggi.
Intensa la sua attività di traduttore di classici francesi del Sette e del Novecento da Sade a Céline, Gide, Caillois, Malraux, Blanchot.