“Mi pare, se così posso dire, un diario poetico importante, non solo – forse – perché ha il timbro esistenziale della maturità ma anche perché tocca tutte le corde umane…Tocca in profondo, pur essendo all’apparenza lieve la tua scrittura…”.
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(Eugenio De Signoribus; passaggio estratto da una lettera privata, firmata e inviata a Luciano Benini Sforza, datata 23 ottobre 2012; ciò viene pubblicato col consenso esplicito dello stesso autore e mittente della lettera in questione)
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Due poeti a confronto: Luciano Benini Sforza e Daniele Serafini
lunedì 10 dicembre 2012
Appuntamento con due noti poeti che hanno recentemente presentato i loro libri nell’ambito degli appuntamenti di Ravenna Poesia: Luciano Benini Sforza, il solitario, e Daniele Serafini, l’esule.
Leggendo le loro poesie, in verità, emerge un sentimento differente perché Benini Sfrorza dimostra, pur nella sua solitudine, di avere una profonda apertura verso il mondo, verso gli altri; a sua volta quella di Serafini può sembrare “nostalgia”, e forse lo è, per i luoghi che ha dovuto abbandonare durante la sua vita, ma è anche un guardarsi indietro restando nella realtà che lo ospita, “in questo presente dal quale la vita passata diventa pensabile non nell’incompiutezza che nasconde ogni rimpianto, bensì nel disincanto procurato dall’aver appreso che la bellezza è negli occhi di chi la guarda“.(dalla pref. G. Bellosi)
Confronto, dunque, fra due poeti e fra le loro ultime pubblicazioni: Dopo Questo Inverno, di Benini Sforza, con prefazione di Jean Soldini, pubblicato da L’arcolaio e Quando Eravamo Re di Daniele Serafini con prefazione di Giuseppe Bellosi, casa editrice Mobydick. Entrambi autori di numerose raccolte sembrano trovare un punto d’incontro quando i loro versi sfiorano delicatamente la natura: “Se contenesse il mare/tutto il blu che ho dentro,/sul bordo del mio sguardo/ti affacceresti con un senso/di vertigine:/vedresti l’immagine/ tua al fondo di scogliere,/un tempo, un golfo lì nascosto/ma oceanico”(B. Sforza, Il blu che ho dentro).
E Serafini “E quando si alza il vento-/il garbino a increspare la valle/o la tramontana a pettinare il mare-/sento dissolversi il tempo/in un movimento dolce/che rende distanti,/quasi inerti,/la furia/l’innocenza/la grazia/lo stupore/di quando eravamo re.”(da Quando eravamo re, suite poetica in dodici movimenti).
Benini percorre con la nave della sua poesia i sentimenti umani, li colleziona e li vive con grande coinvolgimento:le sue poesie grondano di acque, di neve, di navi che solcano il porto, di pinete dove “mi addentro nei corridoi costieri/della pineta,la bici misura/i giochi del verde sulla retina,/i percorsi sono mozzafiato,/gli aghi di pino/friggono appena/andando sotto le ruote,/ma la quiete è un anello d’oro,/d’aria,/è un salto sottile/e momentaneo”, c’è tutta quella Marina di Ravenna in cui vive e che ha plasmato la sua mente e le sue emozioni, pure il luogo si dilata all’universo intero così il tempo interiore che ripercorre incontri, occasioni e relazioni a cui si ancorano i testi che intessono ed evocano legami magnetici, profondi.
Il libro di Serafini, Quando eravamo re, si divide in tre sezioni. La prima, Tornando a Campoformido offre al poeta l’occasione di incontrare e ricordare il padre aviatore morto nel 2003; segue Dodici dediche, essenzialmente ritratti con dediche a persone e personaggi incontrati; a conclusione Quando eravamo re, che dà il titolo al libro, è una sequenza di paesaggi che, proprio nella loro conformazione, mare e valli, terra e acqua, traccia la linea di confine che allo stesso tempo delimita il suo ‘esilio’ ma che è appagante nella sua calma, nel suo silenzio che placa l’anima “in un movimento che sembra/ordire trame cangianti/di memorie e di oblio”.
A cura di Anna De Lutiis