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GIAN RUGGERO MANZONI RIFLETTE SUL LIBRO DI ANDREA ITALIANO, “LA COCA”, PUBBLICATO NELLA COLLANA PHI DIRETTA DA GIANLUCA D’ANDREA E DIEGO CONTICELLO. CASA ED. L’ARCOLAIO.

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LA COCA di Andrea Italiano, Edizioni L’arcolaio

Recensione di Gian Ruggero Manzoni, estratta dal suo account FB

Andrea Italiano, poeta e storico dell’arte, è nato a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) nel 1980. Nel 2006 si è laureato al D.A.M.S. di Palermo con una tesi sull’antico pittore messinese Alonzo Rodriguez. I suoi studi recenti hanno riguardato soprattutto la pittura messinese del Seicento. Ha pubblicato su varie riviste specialistiche saggi su Antonio Barbalonga, Jan Van Houbracken, Filippo Jannelli. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni di storia dell’arte e storia del territorio messinese. Alcune delle sue pubblicazioni: “Solo l’uomo”, “Guerra alla tonnara”, “Sulle orme del Caravaggio. Alonzo Rodriguez principe dei pittori messinesi”, “L’ arte con i miei occhi. Pensieri sull’arte, dall’arte alla vita”, “Straordinari. Storie di uomini, cose e paesi da Messina a Mistretta”, “Caravaggio in Sicilia. L’ultima rivoluzione”, “Filippo Jannelli 1621-1696”.

Di lui scrive il bravo e irrefrenabile narratore sardo Matteo Fais: “Italiano è un poeta metropolitano, un Simone Cattaneo a Sud di nessun Nord, il versificatore di una globalizzazione in cui il mondo è collassato su sé stesso. Per lui, come per tutti noi, la natura è morta in questa società tecnologica che, per dirla con il terrorista Theodore Kaczynski, ‘è stata un disastro per la razza umana’. […] Andrea Italiano è uno dei pochissimi a mettere in rima il nostro mondo liquido di tragedia e solitudine, di rapporti umani ormai ridotti a sovrumana e siderale distanza. Ci sono le ‘buttane’, come le chiama lui, che a notte scendono in strada e hanno ‘già la fica di fuori’, ma ‘quando ci passi accanto / ti guardano con gli occhi dello schifo / ti odiano come odia un sopravvissuto, / per questo gridano perché io sì e tu no’. C’è la fatica e la merda che è il mondo del lavoro – altro che nobilitare l’uomo: ‘Il padrone ha deciso così / il giorno di Natale / resteremo chiusi / (cartello giallo sulla porta affisso da me). / Uso ancora la parola padrone / per dire datore di lavoro proprietà / o nella declinazione locale il principale, / parola da museo come cuore o poeta / eppure la uso ancora due o tre volte al giorno / questa parola me la giro in bocca come fosse caramella / e poi la sputo con soddisfazione’. Non troverete menzogne consolatorie o sdolcinatezze leziose in questi versi. Probabilmente, lui non vorrebbe neppure essere chiamato poeta, perché ‘quelli che fanno letteratura si sopravvalutano / e solo i raccomandati qualcuno se li ricorda dopo morti’, mentre la vita è prosastica, come passare ‘il resto della serata a guardare facebook / e instagram dove mi ritrovo solo culi di estetiste / commesse povere che fanno le dive del cinema / ma abitano case popolari’. No, nella lirica di Andrea il solo spazio concesso è alla verità, alla cronaca che diviene verso strozzato in gola, quotidiano annichilimento, morte sociale e spirituale, da cui i poeti laureati si tengono a debita distanza”.

La poesia di Italiano graffia, scalza, sbatte e batte con determinazione e fredda consapevolezza, rispecchiando, in piena realtà, ciò che Edoardo Sanguineti scrisse in “Per una critica dell’avanguardia poetica in Italia”, testo che finiva con queste parole: “[…] perché si tratta pur sempre, come si diceva anche allora, e come sarebbe bene tornare a dire anche oggi, io credo di cambiare la vita e di modificare il mondo. Cambiare la vita, modificare il mondo sono due motivazioni alla base della creatività e quindi dell’arte”. Italiano sa che il libero pensiero, alimentato con osservazioni, studi e buone letture e scrostato da pregiudizi, arroganze e ignoranze, è, di per sé, rivoluzionario e per questo solitamente mal tollerato, quindi considerato pericoloso per lo ‘status quo’ da chi detiene un potere ed evitato perché troppo pesante da reggere per coloro che hanno abdicato in favore di un sistema sempre più marcescente. Ribellarsi allo stato delle cose in generale è stata la molla di molti poeti, ma per questo nostro siciliano è divenuto anche stile di vita.

Raccolta da leggere per riprendere a far pulsare il cuore e le vene di sana adrenalina.

Gian Ruggero Manzoni

IPPOLITA LUZZO RECENSISCE IL LIBRO DI ANDREA ITALIANO, “LA COCA”. COLLANA PHI DIRETTA DA GIANLUCA D’ANDREA E DIEGO CONTICELLO. ARTICOLO TRATTO DAL SITO “IL REGNO DELLA LITWEB DI I. LUZZO.

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IPPOLITA LUZZO RECENSISCE “LA COCA” DI ANDREA ITALIANO.

DAL BLOG DELL’AUTRICE IL REGNO DELLA LITWEB

COLLANA PHI DIRETTA DA GIANLUCA D’ANDREA E DIEGO CONTICELLO

Con una prestigiosa collana di qualità, L’arcolaio, casa editrice di Gian Franco Fabbri, sono pubblicate le poesie di Andrea Italiano, saggista d’arte e poeta “narrativo” come scrive Diego Conticello nella sua prefazione. Io, guardando la sua produzione saggistica su Caravaggio, ho visualizzato le sue poesie come dettagli dei quadri del Caravaggio, immersi nella stessa luce che esalta e allontana il soggetto dalla realtà. Una realtà violenta e ingiusta, una realtà deforme, dove “Voler essere felici è tragico”

Andrea è un poeta civile, un poeta che denuncia le storture dei nostri tempi orribili. Affida al verso le immagini, le fasi dello schiacciamento di un gatto investito sulla strada e poi diventato trasparente a furia di essere pestato sull’asfalto, poi continua a denunciare la vita orribile delle prostitute sulla strada e la condizione dei lavoratori alle casse dei supermercati, dipendenti della volontà del padrone. Una realtà che schiaccia e annienta qualsiasi velleità artistica, qualsiasi anelito di libertà

Noi siamo “come le formiche/che sia a primavera o estate poco conta/accumulare devono cose da mangiare/neppure sveglie/e già rimettersi pesi sulle spalle,/rubare fare a pezzi morire/per quando verranno autunno/inverno/perché verranno autunno/inverno/la stessa condanna

Sono poesie amatissime da me e condivido tutto del suo “Ho passato tutta la sera a leggere Simone Cattaneo” che vi raccomando.

Non conoscevo Simone Cattaneo e la scoperta postuma dei suoi versi, ma credo nello spazio asfittico del destino che può soffocare gli spiriti più sensibili. Ognuno poi scegli di sfuggire come può e mi piace moltissimo quando Andrea ci dice “Mi prefiggo per il futuro di cercare solo cose belle,/emozioni bei pensieri bella gente/essere contento di quello che ho/perché c’è gente che non ha nemmeno questo.

Sembra un mio manifesto e il Regno della Litweb mi è nato dentro da dieci anni per la stessa esigenza, vivere malgrado tutto cospiri affinché non sia possibile, vivere incontrando anime belle, bei pensieri, poesia vera

Se poesia ha un suo martello, un suo urlo, un suo manifesto, “La Coca” di Andrea Italiano lo ha, ha il martello, il manifesto, l’urlo, per una nuova resistenza.

Ringrazio questa possibilità di leggere poesie che vorrei vedere lette e distribuite nelle scuole e nelle strade, nei luoghi di lavoro, ringrazio Andrea e ringrazio la poesia di Andrea Italiano che giunge in Litweb per vie imperscrutabili.

Nei versi la vita e gli incontri per noi

Ippolita Luzzo

L’ARCOLAIO E’ LIETA DI ANNUNCIARE LA PRIMA ITALIANA DEL LIBRO DI PAULO LEMINSKI, “DISTRATTI VINCEREMO”. LA PUBBLICAZIONE E’ COLLOCATA NELLA COLLANA DIRETTA DA LORENZO MARI “L’ALTRA LINGUA”; LA TRADUZIONE E’ OPERA DEL BRAVO MASSIMILIANO DAMAGGIO.

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Un nuovo autore per la collana “L’altra lingua” diretta da Lorenzo Mari. E’ il sud-americano Paulo Leminski, il dottissimo poeta noto non solo in Brasile ma anche nel resto del continente meridionale dell’America. Quest’opera, va detto, è stata pubblicata per la prima volta dalla nostra casa editrice, cosa di cui andiamo orgogliosi. La traduzione è efficacemente curata dal poeta e critico Massimiliano Damaggio, del quale qui sotto vi regaleremo qualche stralcio della prefazione integrale.

Vi auguriamo una buona lettura.

(gf)


Alcune parti della prefazione di Massimiliano Damaggio:

Acciaio in fiore.

Nel 2013 l’editrice Companhia das Letras pubblica Toda poesia, le poesie complete di Paulo Leminski. Ne vengono ven­dute in breve tempo 65.000 copie. Il successo non s’è fermato e, ad oggi, Leminski è fra i poeti più amati e venduti del Brasile – e non solo. Un destino curioso per chi scriveva

una poesia

che non si capisce

è degna di nota

la dignità suprema

di una nave

che perde la rotta[1]

per chi pensava quindi alla poesia come pura bellezza del lin­guaggio che non deve sottostare ad altro comandamento se non a quello dell’“arte per l’arte”. Sembrerebbe, detta così, di trovarsi davanti al “solito” poeta che “non si capisce” e, in fondo, annoia.

E invece è il contrario.

Leminski esordisce a soli diciannove anni nientemeno che fra le fila del gruppo concretista di San Paolo, che lo accoglie con entusiasmo. Haroldo de Campos scriverà poi, nella breve nota introduttiva al libro di Leminski Caprichos & relaxos (1983):

Fu nel 1963 alla “Settimana Nazionale di Poesia e Avanguardia” di Belo Horizonte che comparve Leminski. 18 o 19 anni, Rimbaud curi­tibano con un fisico da judoka, che scandiva versi omerici, come fosse un discepolo zen di Bashō, il Signor Banano.


[1] “um poema / que não se entende / é digno de nota // a dignidade suprema / de um navio / perdendo a rota”, in Caprichos & relaxos, Brasiliense, 1983.

*****

Di questa dimensione ludica, in Leminski ritroviamo il tocco umoristico e il linguaggio colloquiale. E di certo il rifiuto verso la poesia “impegnata” politicamente che strumentalizza l’arte.

La sua rotta però sembra coincidere maggiormente con le sei proposte delle “Lezioni americane” di Calvino, come sostiene Nanci Maria Guimarães nella sua tesi di dottorato Leminski: linha mínima[1]:

Nell’opera di Paulo Leminski, leggerezza, rapidità ed esattezza […] sono intimamente intrecciate. Questi concetti sono presenti nella sua scrit­tura quando avviene l’allontanamento dalla referenza, la contemplazione dei piccoli miracoli quotidiani, la rarefazione del linguaggio. Ma fanno anche parte di una forma orientalizzata di vedere il mondo, basata sulla filosofia “zen” buddista.[2]


[1] Nanci Maria Guimarães, Leminski: linha mínima, p. 49, Universidade Federal do Rio de Janeiro, 2008.

[2] Id., p. 68.

*****

Un incontro di contrari, parte di una chia­rissima strategia approfondita nel libro successivo dell’87, Distraídos venceremos (“Distratti vinceremo”), dove Leminski vuole ridurre, o eliminare, la distanza fra espressione e realiz­zazione, in un pensiero-sintesi dei suoi studi zen. Fonte di tutto ciò, il monaco giapponese Takuan Soho (1573-1645) e la sua “Lettera sulla comprensione immobile”, di cui Leminski ha ampiamente trattato in “Bashō, la lacrima del pesce”:

In ognuno di noi esiste ciò che si chiama “comprensione immobile”. Que­sto devi esercitare. Immobilità non vuol significare essere come una pietra o un tronco d’albero senza intendimento. La comprensione immobile è quanto di più agile vi sia al mondo, pronta a intraprendere ogni possibile direzione e non ha essa alcun punto su cui sosta. Immobile vuol significare senza eccitazione, non fissare né trattenere l’attenzione sopra un unico punto, in tal maniera impedendo ad essa di dirigersi su altri punti che in continuazione si susseguono. La v’è un albero con molti fusti e rami e foglie. Se la tua mente si limitasse a una di quelle foglie, non potresti tu vedere tutte le altre, mentre ne vogliamo vedere la totalità. Perciò, non dobbiamo trattenerci in alcun punto che tolga integrità alla sequenza dell’esistente.[1]

Insomma un progetto di poesia, come di pensiero e di vita, che questo bohémien impenitente con la passione distruttiva per la birita, il bere, ha seguito fino alla fine.

Chi non ha visto mai

che fiore, lama e fiera

uno o l’altro tanto fa,

e il forte fiore d’una lama

in carne lenta,

un po’ meno, un poco più,

chi non ha mai scorto

la dolcezza che scorre

a filo di lamina samurai,

chi no, non sarà capace mai.[2]

Senza mai perdere la rotta.

Massimiliano Damaggio


[1]Takuan Soho (Giappone, 1573-1645), La saggezza immutabile.

[2]“Quem nunca viu / que a flor, a faca e a fera, / tanto fez como tanto faz, / e a forte flor que a faca faz / na fraca carne, / um pouco menos, um pouco mais, / quem nunca viu / a ternura que vai / no fio da lâmina samurai / esse, nunca vai ser capaz.”, Aço em flor (Acciaio in fiore), in Distraídos venceremos, Brasiliense, 1987.


Alcuni testi:

Invernàcolo (3)

Questa lingua non è mia,

chiunque lo indovina.

La parola permane

quando il senso cammina,

Chissà che dica appena falsità,

magari solo mento verità.

Così mi dico, io, minima,

chi sa, mi sa, non sa.

Questa non è la mia lingua.

La lingua con cui dico

trattiene un canto antico,

la voce, oltre, non parola.

Il dialetto che si usa

al margine sinistro della frase,

ecco la parola che mi lusa, io, mezzo, io dentro, io, quasi.

***

Come abbattere una nuvola a fucilate

sirene, bar in fiamme,

auto che si scontrano,

la notte mi chiama,

la cosa scritta a sangue

sui muri dei locali

e degli ospedali,

le poesie incomplete

e il rosso sempre verde dei semafori

***

Transpenombra

tempesta

che passa

ma lascia i petali intatti

sei passata in me

le tue ali aperte

è passata

ma sento ancora un dolore

nel punto esatto del corpo

che la tua ombra ha toccato

che razza di dolore è questo

che quanto più duole

più ne esce sole?

***

Ci vediamo

Anche te, materia bruta,

anche te, legno, massa e muscolo,

vodka, fegato e singhiozzo,

luce di cero, carta, carbone e nube,

pietra, carne di avocado, acqua di pioggia,

unghia, montagna, ferro infuocato,

anche voi avete nostalgia,

bruciatura di primo grado,

voglia di tornare a casa?

Argilla, spugna, marmo, gomma,

cemento, acciaio, vetro, vapore, panno e cartilagine,

tinta, cenere, guscio d’uovo, granello di sabbia,

primo giorno d’autunno, la parola primavera,

numero cinque, la sberla in faccia, la rima ricca,

la vita nuova, l’età media, la forza vecchia,

anche tu, mia cara materia,

ricordi quand’eravamo soltanto un’idea?

***

PAWEL KRUPKA RECENSISCE “CROCEVIA DEL FUTURO” DI CARLO CIPPARRONE, COLLANA L’ARCOLAIO GIALLA, UN LIBRO A CURA DI SAVERIO BAFARO.

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Il poeta calabrese Carlo Cipparrone celebrato con un’edizione postuma delle sue ultime opere

di Paweł Krupka

   Carlo Cipparrone, poeta e critico letterario di Cosenza, è appartenuto agli scrittori italiani che hanno omaggiato la letteratura polacca. Di sua iniziativa è nata, vent’anni fa, la rivista «Capoverso», dedicata unicamente alla poesia. Su essa venivano pubblicate regolarmente traduzioni di opere di poeti polacchi ed interventi sulla poesia polacca contemporanea. Nel 2006 creò la collana “Prisma antologie” nella quale presentava la poesia europea odierna. I primi a comparirvi furono gli spagnoli, ma li seguirono subito dopo i polacchi, poi francesi e greci. L’antologia Scalzi ma con gli speroni, pubblicata nel 2007, conteneva opere di dodici poeti polacchi in rappresentanza di tutte le regioni e generazioni.

   Purtroppo, malgrado l’impegno preso con la Polonia, Cipparrone non è riuscito mai a visitarla. Doveva partecipare, nel 2006, all’Autunno Poetico di Varsavia. In quell’occasione, la casa editrice Heliodor pubblicò, nell’ambito della collana bilingue italo-polacca, la sua raccolta Il tempo successivo, contenente quattro lunghi componimenti d’indole epica e riflessiva. Vari impegni impedirono il viaggio e un’altra opportunità non si è presentata. Delle singole poesie di Cipparrone furono pubblicate, successivamente, sulle riviste polacche. Ciononostante il poeta non ha avuto, in Polonia, la notorietà che meritava in sé e per la promozione della poesia polacca in Italia. Se ne è andato dopo una lunga e pesante malattia nell’ottobre 2018 all’età di 84 anni. Geometra di professione, si è potuto dedicato alla letteratura, la sua passione sin dall’età giovane, solo in pensione. Fu un curatore, redattore, promotore culturale e critico molto attivo. Nell’ambito letterario era particolarmente stimato per il rigore, la precisione e la tutela dell’alta qualità editoriale di tutte le pubblicazione sui libri e sulle riviste.

   Qualche mese fa, nel terzo anniversario della scomparsa, presso le edizioni L’Arcolaio è apparsa la raccolta di poesie inedite Crocevia del futuro. La cura dell’edizione è di Saverio Bafaro, psicologo, psicoterapeuta, poeta e critico letterario,  anche lui, negli anni, redattore di Capoverso. Bafaro accompagna l’edizione con un’ampia premessa in cui, oltre ai valori letterari dell’opera, presenta le qualità personali dell’autore che, nonostante “l’incompatibilità” con le tendenze della società poetica attuale, si è conquistato un posto degno e duraturo nella letteratura italiana. Silenzioso, puntiglioso nel lavoro, particolarmente onesto dal punto di vista morale ed intellettuale, ha costituito sempre un esempio da seguire per i colleghi giovani. Grazie a queste qualità e metodi lavorativi, tanto Capoverso, quanto le collane di libri della casa editrice Orizzonti Meridionali hanno mantenuto, per anni, il tradizionale rispetto per la parola e per il pensiero, nonché la solida qualità editoriale, conquistando un marchio di qualità dalla Sicilia alle Alpi.

   Il libro contiene poesie brevi e brevissime, raccolte in quattro cicli: Io e gli altri, Pensieri di caccia e di pesca, Quotidianità e Altre poesie. Questi componimenti, alcuni scritti negli ultimi anni della vita, si differenziano molto dall’opera precedente di Carlo, caratterizzata da componimenti lunghi e cicli di carattere lirico-epico con accentuata presenza di storie narrate. In Crocevia del futuro Cipparrone appare come impressionista e filosofo, muovendosi ai confini dell’aforisma. Questo volto diverso del poeta post mortem, conosciuto ora dai lettori, completa l’immagine di questo fine gentiluomo delle lettere. Nella memoria dei colleghi scrittori Carlo Cipparrone resterà proprio così, elegante di vecchio stile, nella costante ricerca di proteggere la poesia dalla contaminazione dell’ambiente, sempre più volgare. Qui sotto presento alcuni brani scelti dalla raccolta – omaggio all’emerito autore e promotore.

Questa sola felicità

Come misteriosa conchiglia che in sé racchiude

l’immensità del mare in risonanze d’onde,

ho costruito un guscio al mio dolore.

Ho saputo inventarmi questa sola felicità.

***

Umiltà

Preferendo andare a piedi

usai poco le ali,

che divennero un peso.

***

Altro è il sudore

Tu sei cavallo senza briglie

in corsa su libere rive di mare

e il tuo zoccolo sfiora

la bianca spuma della risacca.

Ti guardo e più mi pesano

fatica e obbedienza: Altro

è il sudore che sulla tua criniera

un vento felice asciuga.

***

Chiamati a vivere

Dura è la vita

e ognuno ha il suo destino.

Ma non possiamo dirci

pentiti d’esser nati,

poiché non siamo stati

noi a voler nascere

ma messi al mondo,

chiamati a vivere.

***

Crocevia del futuro

Dopo troppe notti senza luna

l’alba stenta a farsi luce.

Non è ancora giorno

quando, graffiando la nebbia,

le gru riprendono a roteare e intorno

crescono piloni, tralicci, antenne.

Assediata da tutti i lati,

la collina si sgretola.

Nuovi mostri violentano

la placida innocenza della campagna:

tenere groppe cedono

all’assalto delle benne.

Al crocevia sfrecciano veloci i motori,

percorrono viadotti audaci, attraversano

tunnel lunghissimi, vanno

verso un tempo smemorato.