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PAOLO DONINI PARLA DI “BUBO BUBO” DI SILVIA COMOGLIO

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Bubo Bubo: invito alla meta-morfòsi

Postilla a Bubo Bubo di Silvia Comoglio

DI  PAOLO DONINI

 

Esiste una poiesis meravigliata e meravigliante il cui esito è una lingua capace di liquefare il corpus del significato rimodellandosi in una concrezione puramente risonante, un’esperienza limpida del verbo.

Si tratta di una lingua prodigiosa, dato che il senso (e il sentire che lo sottende) sono integralmente rinnovati oltre la sensata insensatezza instaurata nella forma o nella maschera comuni.

Questa lingua parla anche a prezzo di una oscurità semantica che viene riscattata per via di trasparenza, di brillantezza, di precisione e di vertigine:

 

… sciogliere nel vento

le sillabe del’ombra

 

Questa lingua chiede a chi legge lo stesso rinnovamento sensato/sensibile che l’ha investita, trasformando il materiale verbale  in favella rapinosa e l’autore (a specchio del lettore) in creatura straordinaria.

Bubo Bubo, di Silvia Comoglio, parla questa lingua ri-sensata e chiede a sé (quanto a noi) una meta-morfosi reciproca.

*

La meta-morfosi non è qui soltanto trasformazione, ma riflessione (meta) sullo stato stesso della forma (morfòsi).

La poetessa opera in una zona acuta della lavorazione verbale dove ad essere discusso è lo stato stesso della forma.

Il giusto addentellato nella prefazione di Marco Furia  a quanto una simile lingua sa evitare si aggancia al livello genetico della forma verbale, nel cuore del codice dove la poetessa mette a segno uno scardinamento essenziale, esplosivo. Ma non a fini distruttivi.

Il cuore della materia verbale viene portato a incandescenza dalla vis di questo libro che non possiamo definire in altro modo se non: passione.

La passione del testo produce una temperatura mentale e percettiva che consente la liquefazione delle strutture logico-sintattiche correnti e la deflagrazione delle consuete modalità emotive e sensoriali ma, come nei procedimenti per la soffiatura del vetro, adopera poi questa materia colata “levandola” all’apice della perizia poetica e insufflandola di una forma rinnovata.

Quello che appare è una modulazione verbo-sonora azzardata lungo l’afflato armonizzante del verso, una forma ri-formulata che muta permanendo nella bolla cangiante del suo organismo sinfonico, dove soffiare il vetro del verso si coniuga magicamente a suonarne l’oboe misterioso.

*

Ma prima che si compia questa ri-formulazione e come in esergo a questa alchimia dobbiamo incontrare  (incontrarci in) una creatura prodigiosa: Bubo Bubo (il  gufo reale già caro a Mussapi).

Bubo Bubo nel soffice bagliore del suo carisma lancia un appello araldico alla meta-morfòsi.

Prima di gettarsi nella vertigine performante del testo, l’autrice chiede al lettore di accogliere la cifra iniziale/iniziata della nuova e misteriosa apparizione di Bubo Bubo.

Bubo Bubo è la postura alata e planante da cui la poiesis spicca il salto attraverso il verbo, lungo la matrice sinfonica del soffio che la regge e la tramuta, scolpendola nella spazio acustico-visivo della percezione.

I nostri sensi (significati) e le nostre sensibilità devono cedere alle proprietà senso-sensibili di Bubo Bubo abbracciando la sua ricognizione notturna, spalancando il suo occhio crèmisi e dilatandone nella nostra la medesima pupilla innovativa, sino a vedere quanto lui stesso vede, sino a scorgere lì, innanzi alle nostre labbra, il configurarsi modulare della sua rilucente favella performante e conoscitiva.

*

L’attenta intromissione di segni di interpunzione, di puntini, trattini e la certosina sottolineatura degli accenti inscrive questo testo nel suo omofono spartito ritmico completando la simbiosi verbo-sonora ma, grazie al  ricco catalogo immaginifico che la percorre, lasciando in evidenza la resa visuale e panoramica del costrutto.

Così la planata ritmica di Bubo Bubo attiva un piano sensoriale spurio e meticciato.

*

Proprietà di Bubo Bubo è  dunque una capacità di vedere con le orecchie (che non a caso ha grandi) o di sentire cantando, quasi profondendo nel buio la sonda del suo dire sino a rilevare un  paesaggio topograficamente perlustrato.

Allo stesso modo i pipistrelli (i vispistrelli) irradiano la notte rilevando i corpi grazie a ultra-suoni che ne guidano il volo fratturato.

Anche il volo di Bubo Bubo è continuamente fratturato da pause e/o da repentini cambi di rotta, come del resto quello di tutti gli uccelli notturni (o delle farfalle) la cui ritmica alata è guidata da un sentire che ha ridistribuito le sue diverse funzioni agli organi di senso, sovvertendone il noto mansionario diurno, per cui gli occhi sentono e le orecchie vedono e le piume ascoltano, e parlano.

Anche il lettore aprendo questo libro deve riorganizzare il suo sistema percettivo.

E la suggestione forte delle prime pagine preme a farci indossare la soffice e multi-sensoriale  metafora di Bubo Bubo accogliendo il suo eccentrismo percettivo-conoscitivo come una chance di libertà profonda, sconcertante.

Nella tuta piumata ultrasensibile di Bubo Bubo, agganciato nel favo del canto al suo deltaplano lirico imprevedibile, il lettore compie tra sé questo viaggio affabulato, e discende una corrente tersa  come già il poeta sulla groppa istoriata di Gerione o lungo il gorgo visionario del Bateau ivre.

… “per tè-/ssere sull’acqua ebbre forme /di terre …

 *

Quello che chiede la poetessa-Bubo Bubo al lettore-Bubo Bubo, divenuto tale grazie all’aver indossato la tuta-metafora che dà titolo al testo, è di ri-dire il libro leggendolo:

… astrazione – eterna – del témpo sulla bocca

E abbracciandone il volo planare sul rinnovamento della forma senso-sensibile, spiccare poi a un’altezza vertiginosa (ma ancora terrestre) la bolla iridata della forma nuova, come un vetraio soffia la boccia parvente di un’ampolla al sommo della cannula con cui ha “levato” la materia fusa dalla fornace.

E la fornace è la passione.  Semplice e rara passione per l’amore, per la libertà.

*

La vis del testo è una passione scardinante tesa a un duplice superamento: sul piano linguistico, della forma e della maschera; sul piano esistenziale, del vincolo, sia esso biologico, logico o socioculturale, che vorrebbe determinare l’amore – parola disseminata in tutto Bubo Bubo –  a parte rispetto alla sua purissima – e liberissima –  dizione:

Poi ti dico: sii bocca

a stormo rovesciata

òltre …

 

dove soltanto quella dizione rovesciata ne consente l’emersione splendida, rutilante.

 *

Senso, significato e dizione in Bubo Bubo sono dunque un corpo unico,  grazie alla lingua ardente che ha liquefatto la materia verbale per trarne l’ampolla sonora del suo canto.

Ma per giungere a questa ri-formulazione la poetessa ha messo in atto una capillare elusione di quanto è noto e in qualsiasi modo riconducibile dal verbo rinnovato al verbo liso della consuetudine.

Non troveremo nulla in Bubo Bubo che ci riporti a casa, perché la casa a cui fare ritorno resterà nel libro.

*

 Di solito i poeti lasciano cadere in qualche punto dell’opera una poesia che racchiude la loro poetica, nel caso di Silvia Comoglio, ci pare che in Bubo Bubo il manifestino di poetica sia questa poesia accortamente delocata a fine testo, scrigno sotterrato nel bianco della pagina con dentro una minuscola chiave:

 

Fermarsi

prima – che ròtoli la voce.

Sul ponte. Impenitente. Prima

di essere chi tace. Chi chiosa

la maschera e la forma …

 

 Quale scienza dello schivare, quale accorto e personale aikido difende in sé quel Fermarsi / prima

L’intera opera può essere riletta sotto l’egida di quel Fermarsi / prima.

Ovvero, il volo rapinoso di Bubo Bubo si distende per intero, diacronico e sfasato, sempre prima che:

… ròtoli la voce.

Sul ponte. Impenitente.

Silvia Comoglio sa che la sua lingua innocente perché non scissa fra dizione e senso è una lingua minacciata.

Sa che la minaccia viene dalla parola, la stessa parola che salva e che annienta.

 Pertanto, programmaticamente nel testo (eppure solo a fine opera) la poetessa annuncia la sua diaspora dal e nel linguaggio comune, dove regna Chi chiosa / la maschera e la forma …

 Ma sa anche che l’ouverture alla lingua nuova  inaugurata da Bubo Bubo dirama il suo lampo armonico in un tempo dato, a un ritmo vitale/esistenziale in cui il suo acutissimo schivare le tagliole linguistiche sparse ovunque può avvenire solo in un Prima sospeso ed esente, entro un’anteriorità voluta da una voce che non prende parte né si rifugia, se non per rari e incantevoli accenti, nella sua possibile fiaba, nel suo fantasy ridissolto sempre sul filo cristallino dove anche chi parla la lingua nuova sa che:

 … soltanto ciò che tace / è vero tempo giusto.

 

                                                                                                                    Paolo Donini

 

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