Certezza di orizzonti etici e lampi di buio poetico nell’opus incertum di Anna Maria Curci

Lettera di Annamaria Ferramosca ad Anna Maria Curci su Opera incerta, L’arcolaio 2020

                                                                   13 marzo 2021, mezzanotte

Cara Anna Maria,

ho letto e riletto più volte questa tua Opera Incerta, con la viva curiosità di seguire quella ricerca delle diversità di cui parli nella nota d’apertura, che so ti caratterizza come intellettuale generosa, protesa come sei verso una costante ricomposizione di contrasti, di opposti, di spigoli (dell’umano) da smussare e tenere insieme. É un nobile e ammirevole intento, e pure difficile da trasporre in poesia, ma proprio per questo, è compito bellissimo, nuovo e necessario in questo nostro tempo così arido di pensiero e debordante di individualismo. E questa scrittura rivela i frutti della tua costante vigilanza, del tuo saper costruire cerchi umani autentici, a partire dal materiale incerto che questo nostro mondo ci mette a disposizione: le meravigliose diversità, sempre fertili di nuovi legami, di inaspettate spinte creative. Ma nell’opus incertum la parte oscura è pure quella originata da qualsiasi costrizione proveniente da una società che spinge all’omologazione, alla perdita di identità, alla disumanizzazione. Quel che ho sentito, in voce chiara in questa tua raccolta, è che ancora una volta  la poesia può restituire la capacità di capovolgere l’incertum, di ritrovare noi stessi, il nostro linguaggio autentico, la libertà di comunicare con il mondo.

    Così ho attraversato le quattro sezioni incontrando fin dalla prima, Barcaiola, che nel titolo testimonia l’oscillazione ondivaga del pensiero che indaga, testi densi di metafore e suggestioni su cui sostare per riflettere, per ricostruire certezze. E riconosco nella forma il tuo originale passo ritmico, la sobria musicalità, le pause, con cui sai accostare eventi e desideri, verità e domande, offrendo continui stimoli per altro pensiero e il costante invito a cercare, interrogarsi ancora e ancora. Quel lasciarti traghettare sulla riva dove restare in attesa di sciogliere enigmi, non è che il ritratto del poeta che attraversa il mondo per conoscere e ri-conoscere errori e strumenti di salvezza, del poeta il cui destino è quello di ritornare a guadare i fiumi dell’ignoto, del sempre inafferrabile.  A pag. 23

Tu prova a decifrare

linee forme colori.

Della sciarada resta

l’anelito, l’attesa.   

In questa sezione incontro poesie come mòniti di resistenza, inviti a sorridere dell’effimero che dilaga, esortazioni dissacranti di consuetudini vuote. Si rivela la tua ferma devozione alla funzione di guida delle nuove generazioni, quel “docere” che persegui in modo amabile e pure autorevole,  ricambiata dall’affetto dei tuoi allievi. Ecco, è questo un aspetto della poesia quanto mai necessario oggi, che può veicolare con incisività densi messaggi etici attraverso la forza trascinante della parola poetica.  E resto ammirata della cura formale, della sapienza metrica, del modo con cui riesci ad accorpare con levità e insieme grande efficacia semantica ben 9 forme esortative in soli 4 versi! come a p.26

ascolta, su, porgi l’orecchio

dirama la conversazione

traduci e chiedi, leggi e annota,

discerni e associa sotto il cielo.

Aspetti che hanno origine da una profonda disciplina interiore, un costante lavoro di crescita che ha coinvolto le tue scelte di vita, come riveli nel testo Controcanti, in 6 luminose strofe. Un cammino che attraversa desideri utopici e sguardi attenti sul marcio che avanza, sui guasti da contrastare con l’azione esemplare e con l’ attesa paziente di un forse lento ma sicuro cambiamento. E in questo costante orizzonte etico, nella sezione Opera incerta, non possono che spalleggiarti i numerosi autori e autrici – gli imperdonabili – che ami e scegli come guida e pure traduci: Cristina Campo, Gottfried Benn, Felicitas Hoppe, Czechowski. I testi Imperdonabile inattuale (pag.38) Traducendo Sic transit gloria mundi di Czechowski (pag.39) sono esempi che ben rivelano la tecnica di disseminare volutamente spazi di oscurità – quasi un sottaciuto invito a indagare, a ricercare questi maestri per carpirne i loro segreti, i messaggi di vita – mentre nel “buio poetico” pure porgi distici finali di fiero sarcasmo, o che stigmatizzano ogni scelta fuori dalla rettitudine. Trovo che questa tecnica sia una tua originale e sapiente scelta, che lasciando intatto il versante poetico prezioso dello straniamento,  agisce solo sul terreno dei riferimenti letterari e storici, attraverso l’invito al lettore ad un extra lavoro di ampliamento della conoscenza oggi reso agevole dall’uso della rete, come acutamente osserva Francesca Del Moro nella postfazione.

     Seguono testi che intrecciano scene semioniriche che ti sono dettate quasi come lucide rivelazioni di sibilla, ma prive delle note ambiguità di significato. Sono canti di verità trovate, frutto di lucido scavo, che tessono la tua tela profonda di pensiero, spesso con intarsi notevoli dal sapore di consegna come nel Kit di sopravvivenza a pag.51 . E in questo percorso affronti anche il tabù ultimo, quella morte che sai offrire come essenza rivoluzionata e serena, per via del lavoro duro di liberazione compiuto, dunque non scura, ma chiara della pienezza e coerenza del cammino.  A pag. 44

Potessi ripiegare i giorni addietro,

al mio passato si affiancherebbe morte

con il volto scoperto, compagno di piccozza

 e di sentiero, Con altro riso m’incamminerei.    

 Nella sezione Mnemosyne, che a me risuona con particolare intensità emotiva, hai sentito la necessità di percorrere i territori della memoria, soffermandoti sui più cari legami familiari e i ricordi di vari amici, con le loro tracce sedimentate, incancellabili. Ma come spesso succede in poesia, la memoria devia, s’intreccia con scene passate anche non vissute, ma solo apprese e pure dense di com-passione, con le loro cicatrici ancora vive. Così il tuo canto dilata la voce della piccola Anna uccisa a Stazzema, quella degli aguzzini di Birkenau, il silenzio delle lancette ferme nella strage di Bologna, il grido fermo del ribelle nella piazza Tienanmen. Un canto della memoria che esonda, fino a farsi anche riflessione sulla metamorfosi del nostro mare in mare mostro, attraverso il tuo accostare il ricordo di un salvataggio avvenuto nell’infanzia al naufragio dei tanti immigrati nel Mediterraneo, nostro colpevole naufragio dell’indifferenza.

Una poesia dunque di tono civile, come sa essere sempre e ontologicamente civile ogni vera poesia in quanto antidoto alla negazione della bellezza, una scrittura che riesce a unire pietre diverse in una solida struttura costruita con lingue-pensiero di differente origine. Lo affermo mentre ti vedo porgere anche nei versi dell’ultima sezione Di tanto azzurro le impronte di altri poeti stranieri da te amati e tradotti, come Rose Auslander, Trakl, Keats, le loro risonanze in cui tutti ci riconosciamo .

Infine, sempre nel segno di una lingua straniera che assume il sapore di linguamadre universale, hai saputo chiudere felicemente con la poesia dedicata a tua madre, da cui di sicuro hai ereditato l’amore irriducibile per la parola, che ti fa intensa testimone e sempre, inesorabilmente, in-segna-  Sì, questa tua scrittura coglie nel segno.

Serena notte

                     Annamaria Ferramosca