Presentato in precedenza sul blog Spazio libri. Prefazione di Alberto Bertoni.

L’AMORE COME LUNGO RIPOSO: ECCO “SUL BANCO DEI PESCI”,

ESORDIO POETICO DI CARLOTTA CICCI

di Federico Migliorati

La poesia fluida e frastagliata al tempo stesso della romano-bolognese Carlotta Cicci si inserisce in questo nostro tempo come un originale richiamo al verseggiare profondo e costante, che nulla riserva a una facile lettura. Ideatrice insieme al marito Stefano Massari, pure lui poeta, di quella fantasiosa e originale creazione culturale di Zona Disforme che sulla scena italiana si sta facendo apprezzare per il multiforme lavoro artistico a quattro mani, Cicci ha dato alle stampe per la feconda casa editrice forlivese “L’arcolaio” di Gianfranco Fabbri “Sul banco dei pesci” (121 pagine, 14 euro), sua opera prima nel mondo della poesia, suddivisa in quattro stanze e con l’insigne e approfondita recensione di Alberto Bertoni. L’atmosfera che subito assorbe il lettore è quella dei territori dell’interiorità in cui è facile assaporare un’acribia di fondo per la parola, maneggiata con cura, necessaria per un dire sempre fondamentale, per parlare di un assoluto (“sono giovane/sono tutte le età”) che porta a perdersi per poi ritrovarsi. Se i social sono ormai diventati cassa di risonanza, effimera e spesso mefitica, di un verso volubile e vuoto, la poetessa mantiene la barra dritta e manifesta con sincerità come “in questo tempo consueto/nessuna notizia nuova/solo morfina/a buon mercato”, ficcante e incisivo passo che non può che stimolare la riflessione tenendo ben presente che “non abbiamo più tempo/per il perdono”. L’Io che parla è spesso ferito, lacerato da contrasti e contraddizioni, è una presenza-assenza (“sono latitante”) che chiede “risposte umane”, che resta “immobile a guardare” e rifugge dalla semplicità del tutto in un vortice che sembra interrogare ciascuno di noi. La verità e la menzogna, l’onore e l’infamia, la dolcezza e la crudeltà, l’immanente e il trascendente, il superfluo e l’essenziale, il caos e l’ordine, la fedeltà e il tradimento, la debolezza umana e la forza: la parola si fa voce, canto, preghiera, lamento con Cicci, senza mai abbandonare i territori di una poesia contemporanea e antica al tempo stesso e per la quale condividiamo l’opinione di Bertoni che vi accosta, senza instaurare delicati paragoni, l’esordio di Milo De Angelis a metà anni Settanta. Si assiste a una sorta di invito al lettore a prendere parte alla scommessa del viaggio, tra accelerazioni e contaminazioni, magmatico andirivieni e temerario abbandonarsi all’altro, ma anche alla conoscenza di sé e dell’oltre che ci circonda: nei versi brevi e concisi, spesso formati da una sola parola, è sigillato un “pensiero anemico” che spicca in qualità e significato. “Sul banco dei pesci” nasce da un caleidoscopio di visioni, sensazioni, ambientazioni reali e immaginarie, è figlio di una poesia “randagia” che ha cura della parola e del suo obiettivo precipuo. Nulla, in questa silloge, induce all’ozio, all’inerzia bensì richiama condivisione, partecipazione, empatia: c’è una forza centripeta e centrifuga che fa dire all’autrice come l’amore sia “un lungo riposo/nel mezzo di un incendio”, un contrasto, forse un’aporia, alla ricerca di “indizi di luce”.

FEDERICO MIGLIORATI