Ripiegare i giorni addietro. Opera incerta di Anna Maria Curci.
PUBBLICATO IL 16 LUGLIO 2021 SUL BLOG GOLEM FEMMINA
opera incerta
Mentre qui aspetto
mi si accosta il silenzio
e suggerisce
Anna Maria Curci
Dell’opus incertum ne abbiamo traccia ovunque: sotto i nostri piedi, accanto al nostro cammino, lungo le grandi strade che da Roma portano fino alla fine del mare del Nord. Dell’opus incertum, in arte, ne abbiamo studiato presto la solida architettura, destinata nei secoli a chiudere i nemici oltre i muri, oltre il vallo e ugualmente scelto a sostenere sulle sue spalle le volte degli archi, aperti spazi del cielo fra le mura. Incertum. Incerto. Non per antifrasi ma per diversità di materiali che lo compongono, per diversità di forme che lo stratificano. Amalgama di forme e di materiali: la diversità come valore, come regola per resistere ed esistere nel dettato della poesia della vita “con miglior corso e con miglior stella” come indicato da Dante.
La sinestia con la poesia dell’opus incertum è presentata alle arti dalla raccolta Opera incerta, di Anna maria Curci, e il testo ti tocca dal profondo.
Con gran talento, nel dipanarsi dei versi, “Passa il tempo impunito/e sparge sale, ma non lo vediamo.”, e la poesia “racchiude il ricordo/e non rinnega”.
Il testo scioglie e coagula un conglomerato di masse e frammenti confitti nell’ammasso ancor fresco del nucleo dell’evocazione, architettura tenace, resistente ai secoli, che “più degli omissis” teme” le omissioni/le sommosse mancate contro l’inanità”. Si mostra agli occhi della poesia, poesia di cui non possiamo fare a meno. Essa è l’ossatura delle nostre strade antiche, l’idea da dove siamo partiti per trovare radici sicure che ci proteggessero dall’ordinario, dall’insensibile.
Poesia a cui chiediamo l’esperienza e l’evocazione, l’indagine e il sogno, la sommossa e il prodigio, la memoria e il riso d’amore (che “non è mai peccato”). Chiediamo all’opus incerto, all’Opera incerta, di permetterci di “leggere versi all’alba/salutar maestri/nel vento freddo/dell’oscuramento” e l’autrice, che “conosce” e “racconta”, ci porta nel posto dove accadono le esperienze, dove la storia, ogni storia qui evocata, è stata straordinaria e la poesia, opera incerta, ha messo insieme ogni elemento diseguale, ha avuto la voce aperta.
Opera incerta, opera totale, opera di valore.
Consapevole della “musica della pazienza”, l’Opera attrae e invita. Mnemosyne regge, apparendo fin dall’esergo joyciano in cui l’invocazione al passato è la guida, la sfida dell’es e dei verbi che esortano al viaggio. L’autrice è la barcaiola, e la sua barca non ha vele (le vele sono suddite dell’inaffidabile vento) ma remi. Remi che portano da una sponda all’altro del viaggio, seguendo l’appoggio delle strofe, il perimetro dei distici e dei versi liberi, la linea dei baci delle rime e dei landay, i piedi della metrica classica e gli imperativi dei verbi.
Conducono gli anni, che lungamente hanno formato la raccolta. La vita ne scorre dentro come la storia, tópoi della sconfinata cultura dell’autrice, costruzione costante all’interno e fuori le mura del libro, dove “sciama la misericordia”, poiché il cuore umano “resiste a tutto” (come scrive Felicita Hoppe) tranne al fumo dei roghi e dell’inanità. “Chi ha più spesso occasione di sentire che gli viene fatto del male è proprio chi è meno capace di parlare” scrive Simone Wail, e la poesia spalanca quel silenzio. La storia è ombra che chiede luce e la poesia è pietra d’inciampo, ha l’esperienza del ricordo. Dove passa la gloria del mondo la poesia di Opera incerta ci dona il suo valore, le sue pieghe e i suoi varchi di luce. “Lo slancio riconosco,\la luce tende braccia\non si fa definire”. Brucia sul rogo il cuore di Giovanna e i figli sono cresciuti fra un film di Fassbinder e uno di Von Trotta imparando la lingua dei sogni e restituendola indietro. La porta di Ištar è chiusa, eppure da lì partono i nuovi dannati dei viaggi della speranza migrante, mentre ancora sulla Terra sussultano le voci dell’inferno, fra Dante e Sartre, Birkenau e la stazione centrale di Bologna.
Il ricordo è il dovere della cultura, il suo punto di domanda.
Ma è il cuore che conduce. E il cuore dell’Opera ha un ritmo raffinato. Un azzurro Erlebnis continuamente si sovrappone al tempo ed interseca la linea della storia. L’azzurro che “fiorisce nella testa” è l’alta volta sulle spalle del muro incerto, che accompagna ogni pagina e solleva dalla fatica del tempo e della storia, in un dialogo per frammenti e dolcezze che nel silenzio cerca la grazia fra il mondo e l’interiorità “Così va azzurro l’oggi/non cerco altre parole. /Si affacciano discrete/ se offrono riparo./ Sui sentieri interrotti/non portano salvezza/rebberciare non sanno. /Duetta l’ombra con la luce”. Il moto dolce e paziente, costruito ed emerso al di là di ogni male patito è lo spazio assoluto in cui la poesia si relaziona. Traccia la mappa della salvezza. “Nei giorni di canicola e di merla” tutti gli affetti sono stati custoditi. E amati. “Il tuo sorriso mi è venuto incontro”. L’affezione, contrario vocabolo della vacuità, è stato riparo e protezione. E coscienza. E poesia, opera incerta.
Tre poesie da Opera Incerta
di Anna Maria Curci
opera incerta
*
Per Ziggy Stardust
È la sera di un giorno nella storia,
vita e dolore come sempre a braccetto.
Né mai più scorderò la quinta ora:
Alla lavagna le note su Goethe
e il suo Prometeo spaccone
Allacciato alla strofa finale
di Space Oddity, lì trascritta da loro,
più giovani di me di quarant’anni,
adesso in quarta, che dicono:
“Ora può cancellare, prof, se vuole”.
No, non voglio, no, non vogliamo.
Here are we floating, her schwebwn wir,
Major Tom, Far Above the Moon,
weit über den Mond.
Distrazione
“Chi legge non s’accorge” e forse
allaga e allarga il fossato.
Se coglie a tratti il suono e l’ultrasuono,
si ferma, punta il dito: dici a me?
Ma la pazienza di aspettar risposte
il cocchiere la lascia ad ogni tappa
di quel viaggio normale e accidentato.
I venti magri sono ignoti a molti.
*
Traducendo “Sic transit gloria mundi” di Czechowski
Lo struggimento mi lascio alle spalle,
percorro la mia strada nella storia.
La lama che mi pende sulla testa
non separa colpevoli e innocenti,
l’alba del giorno una sollevazione
contro speranze dalla voce querula.
Tutto è stato detto? Non lo so.
Più degli omissis temo le omissioni,
le sommosse mancate contro l’inanità.
Anna Maria Curci è nata a Roma nel 1960. Insegna lingua e cultura tedesca in un liceo statale. E’ nella redazione della rivista “Periferie”, diretta da Vincenzo Luciani e Manuel Cohen; per il sito “Ticorenzo” di PierLuigi Albini ha ideato e cura la rubrica “Il cielo indiviso”. Ha tradotto, tra l’altro, poesie di Lutz Seiler, di Hilde Domin e i romanzi Johanna e Pigafetta, (di prossima pubblicazione) di Felicitas Hoppe, tutti editi da Del Vecchio.
Ha pubblicato i volumi di poesia Inciampi e marciapiano (LietoColle 2011), Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015), Nei giorni per versi (Arcipelago Itaca 2019).
Insieme a Fabio Michieli è direttore, caporedattore ed editore del Lit-blog “Poetarum Silva”.
SIMONETTA SAMBIASE
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