Una nuova entrata per la casa editrice L’arcolaio. E’ Flavio Ferraro, romano, classe 1984, poeta, saggista e studioso di dottrine metafisiche. Ha pubblicato diversi libri di versi: “Sulla soglia oscura” (2010); “Da un estremo margine“, (2012); “La direzione del tramonto“, (2013); “La luce immutabile“, 2019; “La malvagità del bene. Il progressismo e la parodia della Tradizione“, 2019.

Antonio Devicienti ci fornirà una felice chiave di lettura a questo nostro corposo volume, che, in definitiva, raccoglie tutte le opere sopra menzionate.

Vi auguriamo una buona consultazione.


Nello spazio e nel tempo del poema (uno scritto)

S’immagini il bianco della pagina quale tempo eternamente presente e an­chequale spazio, vastissimo e bianco, dentro il quale cercare direzioni e tracciare sentieri tramite la lingua–scrittura: ecco una prima caratterizza­zione dei libri in poesia di Flavio Ferraro.

Non si tratta di “libri sapienziali” o “di ricerca interiore”, ma li si legga (ed ecco una seconda caratterizzazione) quali esplo­razioni delle possibilità che ha la mente, a mezzo della scrittu­ra in poesia, di elevarsi oltre i fre­quenti stati di prostrazione e di banalità quotidiana cui viene costretta dai molteplici ob­blighi di carattere lavorativo, economico, pratico in senso la­to. L’esplorazione del bianco della pagina–spazio genera la scrittura, è scrittura–mentre–si–fa–e–mentre–si–muove.

Accade così che, appunto nell’intatto bianco della pagina e nel tempo ne­cessariamente e naturalmente sospeso della scrittura, la mente esplori le direzioni che si aprono al suo sguardo (terza caratterizzazione: la poesia di Ferraro è sguar­do). È questo il motivo per cui la luce polarizza sempre, in­sieme con il silenzio,lo spasmodico dirigersi, orientarsi, ruota­re del­lo sguardo; è luce cercata, desiderata, capace d’inter-rogare la mente, di provocarne la crisi conosciti­va che sola può per­mettere il progresso del pensiero il quale attra­versa so­glie e porte, tocca margini e buio, il quale va esperendo mondi, deser­ti, giar­dini, acque, direzioni differenti e anche opposte e, do­vendo esprimersi tramite la parola poetica, fa esperienza pu­re del silenzio, dal silenzio im­para modulazioni e ritmi, col si­lenzio dialoga e di esso si nutre.

Ma non sono, queste pagine in poesia, né diario di esperien­ze interiori, né descrizioni di stati della coscienza, bensì il far­si stesso di quelle espe­rienze le quali, si faccia molta atten­zione, vengono a essere esplorazioni del pensiero capaci di toccare e muovere il sentimento – un sentimento dell’immagina-zione scriveva Fernando Pessoa nel Libro dell’inquietudine e im­maginare significa, nella pagina–tempo–e–spazio di Flavio Ferraro, pensa­re tramite una lingua della poesia precisissima e sempre consapevole di sé, dal taglio diamantino e dall’ar-chitettura musicale – è musica del respi­ro e del battito car-diaco, perché questo pensiero che cerca dire­zioni e sentie­ri parte sempre dal corpo e mai dimentica la propria terre­strità.

Questa quarta caratterizzazione dell’immaginare dice, infatti, di una poesia che proprio nel suo stare e muoversi in luoghi e per luoghi riassumendo in sé ogni possibile frazione del tempo rimane fedele alle proprie stesse ragioni che sono quelle del pensiero non freddamente speculativo, ma calda­mente visionario, non raziocinante, ma fantasticante e in­stancabil­mente in movimento.

Antonio Devicienti


Alcune poesie:

Da Un estremo margine

io rendo polvere alla pietra.

Così fa il mare; così dona

vertigine la terra.

Luce sommersa, che sempre

trascolora: e tu, cui un’onda chiara

levigò il respiro, tra i flutti

ancora non lo vedi?

È questa fissità, lo sai,

che più non può tardare

**

l’albero, che nessuna fonte

nutrì; nato da sé, fonte

lui stesso: l’albero neve.

Dai rami nudi, rivolti

verso il cielo; e le radici,

fin dentro la terra.

Per sollevarla

**

Da La direzione del tramonto

Luce che mi è segreta

se non tramonta; e dove porta

mi chiedi, dove scompare

a chiudere dintorno a cingere

lo spazio dei miraggi.

Estrema parvenza d’increato,

guarda come tutto è preso

in un abbaglio: raggiunto

da uno stesso esilio,

senza discernere i colori.

Bianco su bianco, sempre,

e nonostante tutto andare.

**

Allievi di molto morire

– nostra unica sapienza –

a volte sembriamo rocce

intente a risalire il fiume

dell’estate.

Ma non siamo come i semi

che sprofondano e poi

s’inverano fedeli apparizioni,

non abbiamo (siate chiare,

mie parole) questa costanza

del ritorno.

Aurora di ogni vigilia,

sposa a lungo cercata

tra le tenebre, rompere

un vaso e poi indovinarne

la forma – sarà questo,

scendere nel buio.

**

Da La luce immutabile

Seguitano a cantare,

anacronistici insetti:

tra le spighe

intempestive, affranti,

calcano la scena

per l’ultimo concerto.

Spettatore distratto

chiedo venia,

qual era l’adagio?

Sappiate – a suo tempo –

assecondare il tramonto.

**

Mi fanno visita talvolta,

impervi messaggeri,

come acqua di torrente

che smemori in dirupi.

Recano notizie di golfi spettrali

nere corolle incerti confini,

roba da poco insomma –

come sempre,

tutto sperduto nella luce.

**

Ho voluto consacrarmi

a un Fuoco eterno:

e questo con parole,

come se dire fosse

ancora vedere

e il divino l’oltrequi,

ascoso – aperto.

“Come in alto

così in basso”5

oh Tu che porti

a compimento.

**