Accogliamo con piacere il ritorno di Anna Maria Curci in Casa Arcolaio. Era dal 2015 che l’autrice romana non rinnovava la sua visita; lo fa oggi con un libro maturo e ricco di coinvolgimenti culturali e di talento. Il progetto che qui proponiamo è accompagnato da una postfazione robusta di Francesca Del Moro (quasi un saggio) che, con perfetta equipollenza, sta in equilibrio con la solidità del volume.

Bentornata, Anna Maria: Gianfranco e i suoi collaboratori ti abbracciano con stima e affetto.

Pubblichiamo adesso un inizio dello scritto della Del Moro.

Seguiranno poi ancuni brani dell’autrice, per terminare il promo con la parte finale del saggio di Francesca.

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Il viaggio dantesco di un cuore pensante (1^ parte della postfazione)

Se ogni opera letteraria è in qualche modo apparentabile a un viaggio, in quanto invita il lettore ad attraversare ed esplorare un percorso tracciato dalla scrittura, ciò vale in particolare per questo nuovo lavoro di Anna Maria Curci, in cui sono molteplici i riferimenti a un cammino, da svolgersi sotto il segno della pazienza e dell’ascolto. Il concetto di attraversamento viene evocato fin dal componimento di apertura da cui prende il nome la prima sezione, Barcaiola, che da un lato ci fa pensare all’inizio del viaggio dantesco (e Dante è un riferimento costante nel libro), dall’altro lascia affiorare il sorriso luminoso del barcaiolo Vasudeva che insegna a Siddharta a porgere orecchio al fiume. Così, fin dall’inizio Anna Maria si dispone e invita il lettore a prestare attenzione, a cogliere l’impercettibile, cadenzato bisbiglio del remo, basso continuo che scorre sotto la melodia dei versi.

“Su questo interroga il fiume, amico. Guarda come ne ride!” raccomanda Vasudeva a Siddharta e in queste pagine il sorriso è fedele compagno all’autrice e al lettore. Manifestazione esteriore di una serena consapevolezza, si muta solo a volte in riso aperto, sferza dell’ironia che, se qui risulta forse meno graffiante che in altri testi dell’autrice, nondimeno rimane prezioso strumento di indagine e smascheramento.

Torna in questi versi, come altrove (ad esempio in un ciclo di haiku inediti), il tema del guado come “condizione permanente”, un passaggio che prende corpo nell’incedere sghembo del granchio, spiazzante per chiunque prediliga le vie più dirette ma in sintonia con i cicli della natura e capace di superare gli ostacoli fino a raggiungere la meta. “Non ho fretta” si avverte nella chiusa di una delle poesie della prima sezione, invitando a rallentare il passo, a fare tesoro dell’attesa. A esperire ogni tappa con lo stupore con cui si scoprono le “piccole gioie in scatole modeste” del calendario dell’avvento.

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Alcune poesie tratte da “Opera Incerta“.

Dalla sezioneBarcaiola

Barcaiola

Siedi sull’altra riva e getti l’amo.

Io traghetto.

Nella scalmiera remo

bisbiglia con cadenza.

Lei, la tua mobile sostanza, smesse

le vesti torbide, mi accoglie.

Quando riprende il volo la speranza,

cocciutamente sai che non è fuga.

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Giungo da un sogno altrui

(A mio padre e mia madre)

Inseguo ancora, sai,
vostri sguardi e pensieri
e Madame Butterfly
che cantaste, leggeri. Un fiore di ciliegio
è la risposta, forse.
Taciuto a lungo il fregio
all’enigma, alle corse.

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Dalla sezione Opera incerta

Imperdonabile inattuale

            (leggendo Cristina Campo su Gottfried Benn)

Imperdonabile inattuale resti
neghi a chi archivio ti vuole dolente
e lorde liquida cambiali unte,
gabelle d’aria fritta, campionario

di impenitenti solite sconcezze:
nichilista, utopista, apripista,
autodafé alimenta per i gonzi
ghiotti solo d’altrui gozzoviglie.

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Dalla sezione Mnemosyne

A Gramsci

Roma, cimitero acattolico

E qui mi fermo sempre
              penso ai tuoi scritti

              al tempo        ad altre soste.

Anni addietro lasciammo i nostri segni
              scansate foglie
              sospese le parole.

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Dalla sezione “Di tanto azzurro

Traducendo Rose Ausländer

Una chiusa che sbarra
e i cordiali saluti 
lanciati come sfida
all’offerta di aiuto

Keine Delikatessen
si diceva in poesia.

E se il ghiaccio ci morde
tu Rose io straniera
ricerco la tua strada 
tendo l’orecchio al canto.

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Di tanto azzurro

Non so se sono ancora la bambina
che facevi volare nel mattino
nitido e freddo al sole di dicembre.

La casa, poi il mio asilo e la tua scuola
dove da trafelata ti mutavi,
lingua-madre diventava il francese.

So che di tanto azzurro mi rimane
un fiocco, il cielo in testa e l’occhio desto,
pegno d’incanto, balzo, testimone.

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Dalla postfazione di Francesca Del Moro (Conclusione)

(…)

Non si può prescindere dalla storia per aguzzare il proprio sguardo sul presente e in questo senso Anna Maria sembra far proprie le parole, evocate in una delle poesie del libro, che l’amatissima Cristina Campo scrive a proposito di Gottfried Benn, autore di scritti andati al rogo nel quadro delle persecuzioni nazifasciste: “Imperdonabile Benn, che afferma non dover essere il poeta lo storico del proprio tempo, anzi il precursore al punto da ritrovarsi di millenni alle spalle di quel tempo, l’antecessore al punto da poter profetare dei più lontani cicli avvenire”.

Anche Anna Maria è un’autrice imperdonabile, che rifiuta di essere complice o passiva testimone del suo tempo, che rifugge l’evasione (“cocciutamente sai che non è fuga”) ma fa della sua poesia memento storico per spingere oltre il suo sguardo sul presente, non per registrarlo semplicemente ma per poter agire su di esso avendo ben chiara la lezione del passato: si sofferma sugli orrori del nazifascismo e della seconda guerra mondiale, con le corse ai rifugi e la morte della piccola Anna Pardini nell’eccidio di Sant’Anna, gli ordini ripetuti in tedesco dai Sonderkommandos ebrei nei campi, per poi portarci ad appuntare lo sguardo sull’ora fissa dell’orologio della stazione di Bologna, sulla miracolosa intesa tra il Rivoltoso sconosciuto e l’uomo del carrarmato in piazza Tienanmen, e ancora fa di tre strade la topografia della tragedia storica di Berlino, richiama alla comune responsabilità per il dramma delle migrazioni. Dietro i fatti della Storia ufficiale, va alla ricerca di storie umane note e meno note, ne ricorda i nomi, facendo brillare la luce del coraggio, dell’amore che resiste all’orrore.

Ed è proprio in questa chiamata alla testimonianza, nella vocazione a parlare per conto di voci dimenticate o che rischiano di spegnersi che risiede il senso ultimo della scrittura, il valore e assieme la necessità di un percorso quale è quello su cui Anna Maria si interroga e ci interroga. Il percorso etico ed estetico compiuto da un “cuore pensante”, definizione che utilizza nella sua prima raccolta e che racchiude in sé la capacità della poesia di pungolare intelletto e sentimento per diventare, nelle sue parole, “pegno d’incanto, balzo, testimone”.

Francesca Del Moro