Torna in Casa Arcolaio l’amico Ildo Cigarini con l’opera sua più recente. La illustra compiutamente il critico letterario Ludovico Parenti, tramite le parole usate nella prefazione del libro di Ildo.
Procediamo così: porremo in evidenza la prima parte dello scritto critico e poi inseriremo alcuni testi tratti dal volume in questione, dopodiché concluderemo l’analisi con l’ultima parte del pensiero di Briganti.
Amici miei, vi auguro una buona lettura!
(G. F.)
***
Prima parte
Tutto è poetante per Ildo Cigarini.
Per tastare semplicemente il polso di questo poeta, basta riandare solo a qualche titolo delle non poche precedenti raccolte, Del tempo il vuoto è duro, Rumori di passi sull’erba, Racconta l’acqua di storie sommerse, per registrarvi, ben ferma, una volontà poetica: non sono, questi titoli, rispettivamente un settenario, un novenario, un endecasillabo? Si possono inoltre comprendere facilità di emissione e abbandono ad una versificazione espansiva sapendo del suo rapinoso amore per la letteratura (senza limiti temporali e geografici).
Amore quale perenne seduzione e imperioso invito a cercare di far luce nella misteriosa avventura della vita: quella in atto e quella passata, personale e altrui.
Alberto Bertoni riscontra nella poesia di Cigarini “l’abilità nel legare insieme – sul piano della profondità percettiva – piccola e grande storia”.
Se questa osservazione è valida per Racconta l’acqua di terre sommerse (donde è tratta), essa lo è anche per Il midollo della vita, dotata anzi, questa, di uno scatto in più, considerando fin dal titolo la ‘volontà’ di Cigarini di arrivare proprio al midollo della vita.
Ambizioso, l’autore? Certo, come ogni poeta; ma onesto. Onesto nel suo desiderio di ricercare – “in ginocchio”, cosciente di poter fallire – “il respiro del mondo e profondo/ il silenzio di tutte le sue voci” (da “Umano gesto”).
Immergendoci nelle sue pagine sentiamo, nel loro ricco fluttuare, che l’estro e il sentimento del poeta mirano ad abbracciare ogni cosa: dagli amori passati (“In un altro tempo”) e
presenti (“Ancora un’altra volta”) alle figure della madre e del padre (“La vita che torna” e “A due passi dal mare”, poesie tra le più felici dell’opera, toccanti nella loro dimessa ‘cronaca’), dal mondo naturale (“L’albero”) alla storia passata (“Sunt lacrimae rerum”) e a quella di oggi (“Sono arrivati”). Con attenta tessitura Cigarini rende i proprî versi trasparenti. Nessuna civetteria o torsione linguistica, nessuna traccia di modi postermetici, sperimentalistici, neobarocchi e via dicendo (liberatosi dei capoversi maiuscoli delle passate opere, unico legittimissimo ‘vezzo’: una punteggiatura ‘libertaria’: del resto, si sa, la punteggiatura è un sentimento…), semplice- mente una versificazione così chiara da sfiorare spesso l’ingenuità; ma, si badi, un’ingenuità consapevole, equivalente a un voler mettere a nudo il proprio animo proprio perché con sincerità il verso ‘dica’ (e non semplicemente ‘suoni’) ciò che lo costituisce.
Senso e forma procedono con fluida armonia, paradossalmente ancor più espressivi, i versi, quando Cigarini apre a qualche immagine surrealistica (“Pare ubriaca/ la luna capo- volta nel bicchiere” da “Quarto frammento”), a qualche suggestione classica (“I capelli un tempo luminosi e folti/ ora gli cadevano sulle spalle” da “L’ombra di Ettore”), a qualche apertura leopardiana (“Aerea e chiara/ su scuro e rotondo cielo/ tu luna rischiari la parola” da “Tu luna”), a qualche attenzione vibrante a una realtà animale o naturale che sprofonda in improvviso agro ricordo (“La gatta”) o in premonizione di morte (“L’albero”) (…)
***
Alcuni testi
Da una stanza all’altra
Le loro voci da una stanza all’altra,
rumore di oggetti spostati,
brevi silenzi,
qualche parola persa dietro le pareti.
Era stato così sempre
il loro amore irrisolto?
Una pausa lenta
dentro una parentesi lunga una vita?
E se non ci fossero state pareti
ma solo uno spazio libero
aperto all’incontro delle loro voci
e parole chiare senza ombre
sarebbe stato diverso?
O forse le parole non mascherate
non trattenute dalle pareti
li avrebbero feriti prima
lasciandoli più soli e più lontani?
Si parlavano da una stanza all’altra,
del resto era solo mattina
e c’era ancora tempo prima di uscire.
Fuori il giorno si apriva alla luce
e loro, mano nella mano,
avrebbero attraversato quella luce
camminando in silenzio
ciò che restava della loro vita.
**
La lingua dell’eternità
Ciò che oggi ci serve
è ciò che sarà con noi domani.
La lingua del silenzio
è la sola lingua dell’eternità.
È dentro di noi sempre
gioca a nascondersi agli altri
e si muove tra oscuri
meandri di parole senza senso.
Lotta per sopravvivere
si scompone in sospiri spenti
riemerge alla luce
tra tempeste dialettiche e verbali.
Sa attendere il suo tempo
nascosta tra le pieghe dell’anima
si prepara a vincere
contro il rumore delle lingue morte.
Sentirà il nostro respiro
e i nostri passi farsi leggeri
vedrà all’orizzonte un fuoco
accendere di luce il cielo
e uscirà finalmente salvata
la lingua dell’eternità
**
La pagina bianca
Dammi tempo
e tutta la mia vita sarà tua.
La pagina bianca e muta di parole attende
dalla mia mano il segno di un risveglio.
Le stagioni hanno corso molti spazi
lasciando solo poche tracce di memoria.
Mi interroga questo imbrunire lento e mesto.
I pensieri che cadono come foglie stanche
da un altro mondo, senza colore e senza vita.
Solo un cumulo di rovine senza storia.
Eppure c’è ancora un’aria pura che ritorna.
Un lamento che si fa suono e dolce affanno,
un urto contro l’estremo vuoto che ci attende
e arma la mano di parole mai prima osate.
La pagina bianca ora respira e si espande
oltre il limite della prudenza di un ricordo.
Raccoglie le confidenze da molti silenzi
e ci sorprende con le verità più nascoste.
Dammi tempo
e tutta la mia vita sarà tua.
Seconda parte
(…) In sintonia con la varietà di momenti e situazioni, il tono è ora tensivo (qua e là le ombre degli emigranti in fuga da guerre e miserie: “Sono arrivati come sono partiti/ senza sapere, ad occhi chiusi,/ il soffio della vita fermo in gola” da “Sono arrivati”), ora contemplativo (“La pagina bianca e muta di parole attende/ dalla mia mano il segno di un risveglio” da “La pagina bianca”), ora rievocativo (“La casa è sempre lì/ dietro la siepe di corbezzolo” da “Il maestro dei mestieri”), ora sentenzioso (“La vita arriva/ senza averla cercata” da “Ci rivedremo”), ora lirico (“C’è quiete in questa mattina di primavera/ (…)/ Le mie mani conoscono il suo corpo/ e il suo respiro si ferma nel cercarmi” ( da 4^ composizione di “Tra le infinite porte del tempo”), ora civile più che politico (“In ginocchio dentro la vita”), ora di compressa tragicità dinanzi a un presente minaccioso, che coinvolge storia degli uomini e storia personale, nell’attesa – temuta ma forse anche inconsciamente desiderata al fine di una purificazione totale e di un rinnovamento positivo dell’uomo – della “lava della storia” che “Riempie il vuoto e tutto brucia” (da “Sull’orlo del vulcano”), ora introspettivo (“Troppo grande il suo mondo”), ora di trepida commozione grazie a un tassello da aggiungere alla piccola epopea di Borgovecchio compresa in Racconta
l’acqua di terre sommerse (“In un solo istante”), ora di un pungente erotismo con la complicità di una celeberrima pittura (“Al tocco e al bacio”), ora ‘confessionale’ (“Umano sono e umano sento/ il respiro del mondo e profondo/ il silenzio di tutte le sue voci” da “Umano gesto”), ora perfino ‘teatrale’ (“Tu, notte senza cuore/ mi hai tradito” da “Tu notte senza cuore”); e si potrebbe ‘continuar citando’ se si volesse insistere nel sottolineare la colorita ed elegante strumentazione poetica di Cigarini.
E tuttavia, se il poeta stesso, onestamente e intelligentemente, si dichiara in una poesia “Naufrago di una luce/ che ancora cerco e bramo” (guai, per i poeti, a trovarla, quella luce!), non c’è da stupirsi se l’ultima sezione dell’opera (Da un’anima in fiamme), che pare voler coagulare i molteplici nodi tematici, si apra a ventaglio nell’impossibilità di una sintesi, come traspare dai versi “Seguiremo insieme i nostri respiri/ e ci ritroveremo cercandoci ancora”, nei quali leggiamo, più che quella dei
corpi, la cerca della propria identità-verità (da “Portami delle rose rosse”).
In detta ramificazione fluviale Cigarini sembra proprio desiderare che il lettore si perda perché sappia quanto innumerevoli sono le sfaccettature della vita e tocchi con mano le altrettante innumerevoli difficoltà che il poeta affronta per cercare di dare ordine al caos.
L’impressione che se ne ricava è che “il midollo della vita” risulti inafferrabile come la vita stessa: mutevole nelle sue forme, nelle sue realtà percepite e sognate, nello sprofondamento dei pensieri e nell’affioramento dei ricordi, nell’invocazione del silenzio e nella necessità della parola, nella vibrazione degli sdegni e nello spineto dei rimorsi, e così via. E tale slittamento-mutamento, o moltiplicazione di elementi,
non può generare che un elevato numero di poesie, le quali, a loro volta, per sentimenti, paesaggi e storie diversi, assumono nel loro complesso la forma di un autentico campo minato in cui le mine sono le stesse composizioni: corpus generoso e ‘liquido’ il cui ‘centro’, spostandosi di continuo, sembra dappertutto.
Ecco perché, allo stadio attuale della sua ricerca poetica, tutto è poetante per Ildo Cigarini.
Ludovico Parenti
Rispondi