L’arresto, di Gabriele Gabbia, Edizioni L’arcolaio.

Articolo di Gian Ruggero Manzoni, tratto dal proprio account Facebook

Gabriele Gabbia è nato il 14 luglio dell’anno 1981 a Brescia e ivi vive. Nel 2011 ha editata – nella collana «I germogli»diretta da Stelvio Di Spigno per le edizioni L’arcolaio di Gian Franco Fabbri – la silloge di liriche La terra franata dei nomi, con prefazione di Mauro Germani (vincitrice – in ex aequo con Clery Celeste – della seconda edizione del Premio di Poesia per Opera Prima «Solstizio» 2015 e premiata con “Segnalazione” alla XXVI edizione del Premio Nazionale di Poesia «Lorenzo Montano»; premio, quest’ultimo, che s’è aggiudicato nel 2013 vincendo la XXVII edizione nella sezione “Una poesia inedita”). Sue poesie e interventi critici sono apparsi all’interno di riviste cartacee, antologie di premî, blogs, websites. Intorno al suo lavoro in versi hanno scritto: Sebastiano Aglieco, Amedeo Anelli, Gianluca Bocchinfuso, Giorgio Bonacini, Roberto Carifi, Giacomo Cerrai, Diego Conticello, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Marco Ercolani, Flavio Ermini, Francesco Filia, Marco Furia, Mauro Germani, Stefano Guglielmin, Giuliano Ladolfi, Giorgio Linguaglossa, Piera Maculotti, Mario Marchisio, Lorenzo Mari, Fabio Michieli, Luca Minola, Elisabetta Nicoli, Giancarlo Pontiggia, Jonata Sabbioni, Maria Zanolli. L’arresto – blog «in-certi confini», Milano, 2019 (qui: http://maurogermani.blogspot.com/2019/03/gabriele-gabbia-larresto.html; e L’arcolaio, Forlimpopoli, 2020) è il suo secondo libro di liriche.

Dalla prefazione di Giancarlo Pontiggia: “Un canto segnato fin dalla poesia liminare come scoperta della «tragicità del vero», entro un orizzonte di emblemi cristologici («l’immensa corona di spine» e il «calvario» delle due poesie successive) che varranno come segni culturali, anziché religiosi. E di questi emblemi è sparso l’intero libro, non solo in termini liturgici, ma anche concettuali, se ben leggiamo, con l’attenzione che giustamente pretendono, versi come il quarto tempo de ‘La condanna’: nel contrasto fra ciò che è compiuto e ciò che è adempíto, nell’idea di una parola «che scardina / e rimuove redime» è presente in tutta la sua ampiezza, vertiginosa e verticale, la grande riflessione cristiana sul mistero del Figlio e della morte”. Innegabilmente Gabriele Gabbia, per bravura e intensa capacità nel poetare, si è già fatto notare dalla critica e dai vari addetti fin dalla sua prima raccolta di versi. Era dal 2011 che attendevamo un’altra sua silloge, ed ora, finalmente, l’abbiamo fra le mani. Dalla postfazione di Flavio Ermini: “La legge della grande esistenza – propria degli antichi viventi – è tragica, arreca l’arresto, ma un arresto in cui finalmente si compie il senso della vita: lo spirito che fiorisce eterno nello sguardo muto dei morti, mentre nei vivi si consuma effimero e quasi senza lasciare traccia. Quello spirito che fa scrivere a Gabbia: «Solo, soffierò / lo sguardo, / da ciascuno / di voi tutti / su ognuno / di me»”. “L’arresto” nasce come raccolta elaborante un lutto. Come anche altri hanno notato risulta silloge “non della fine, ma per la fine” di uno stato, quello di essere avvolto, in un qualche modo, da un mondo che, per il nostro poeta, è privo di senso, così che l’urlo del vuoto, il grido del furore, l’invettiva del nulla, assurto a “metodo esistenziale”, con calma, con millimetrica precisione, con lucidità, con freddezza, quindi senza alcun affanno, vengono lanciati verso di noi. Gabbia è chirurgico in questo: “Tu cerchi il tuo sguardo per crederti / – per figgerti –, / per trovarti e pure appendice / nel moto del vero / e finisci, solo / per lambirti, / dacché è dove non sei / che stai”. Questo è un libro potente che, tramite un linguaggio spezzato, sintetico e incisivo, scava dentro, accusando l’incapacità che, nell’oggi, l’uomo ha di raccontarsi.

(G.R. Manzoni)