Porgo il mio saluto al poeta Maurizio Landini che con questa sua ultima fatica, “Hoplon“, entra nel catalogo editoriale.
Ho voluto scrivere una breve nota di benvenuto alla sua poesia.
La potrete leggere, oltre che nel volume, anche qui sotto, bella riportata in evidenza.
Vostro Gianfranco e la redazione.
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La scrittura di Maurizio Landini sembra essere un affluente intento a unire la propria acqua al fiume principale (la Poesia del nostro presente). Questo apporto di materia fa parte di una dinamica analoga a quella altri fiumi che presentino identiche caratteristiche, ovvero: un’acqua che contenga il senso dell’irrealtà, dello straniamento, il salto in dimensioni linguistiche e concettuali favorevoli a certe suggestioni extra-fisiche. In un tale flusso testuale si riscontrano strappi nell’irrealtà e disubbidienze spaziali. In un simile gioco espressivo, tutto può convivere: tutto può girare su sé stesso per tentare la posizione dell’umano in un solco che non è visibile, ma che pure ci tange. Maurizio Landini sceglie in questo suo ultimo lavoro, intitolato “Hoplon”, il rintuzzamento espressivo e tematico di cui sopra. Il titolo è in parte una definizione di questa tematica. Hoplon è lo scudo del guerriero nell’antica lingua greca e rappresenta molto bene la contro-arma che serve (che dovrebbe servire) alla difesa passiva del soldato. La quiete di un simile incedere consiste nell’evitare il fendente del nemico e non rappresenta dunque un’aggressione, bensì un accucciarsi dietro il paravento. Una difesa questa che bene combacia con il timore di chi teme l’offensiva dell’“altro”, quando l’altro si manifesta con caratteristiche extra corporali e extra fisiche. Insomma, una battaglia in cui l’avversario non si riconosce che da piccoli segni e linguaggi perlopiù sconosciuti. Il tessuto poetico è per sua natura complicato: esso preferisce procedere come un corso d’acqua (torniamo alla metafora dell’inizio) che rintuzza e pare tornare al monte: si avvince in spirali rettili che possono confondere il lettore. I poeti non vogliono rinunciare a questa caratteristica stilistica: il testo poetico pare negarsi – è geloso di sé, desidera fingersi altro; allontana il volenteroso lettore, stordisce quest’ultimo come farebbe un pavone nel momento della massima espansione della propria ruota –. In Landini ci pare di avvertire, più che un senso di civetteria, un senso di dolore: il rincrescimento di non potere comunicare direttamente una Verità. Maurizio (come del resto, gli altri autori che affrontano questo tipo di scrittura poetica) si rifugia allora negli espedienti che il suo talento gli ha messo a disposizione, ovvero: le figure retoriche di significato, come la sinestesia, la metafora o ad altri fattori come l’allusività, depistando forma e tema in maniera convincente.

Gian Franco Fabbri

Qualche testo:
I
Occhio, guardi il sole
e chiedi: «Proteggimi,
siamo entrambi pupille
siamo iridi, circoli di Dio
segnati a mano e prossimi
alla perfezione;
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V
È figura di un arcano
quel ricordo netto e preciso
come il damasco di un’alba, protesa
al campanile di San Vito: volare giù
dai freddi chiari della Carnia sugli alberi
vicini,
a reggere le tane del buio.
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XIX
Le luci dei mattini sulle spiagge
dove è cresciuto il freddo
ci accompagnano
al risveglio piano delle cose
sul mare piano, dove non pare
di aver mai camminato;
è stato lì, un miracolo
in un punto qualunque
del legno bruciato e del sale.
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XXXII
Passa oltre, la notte,
come il sacerdote e il levita:
al ritorno del primo sole,
pensiamo che fuori è più caldo
che fino a domani non è il tempo
della morte.