SE NON NEL SILENZIO di Barbara Herzog, Edizioni L’arcolaio.
Articolo scritto da GIAN RUGGERO MANZONI su FACEBOOK

Barbara Herzog si è trasferita dalla Svizzera in Italia a vent’anni e si è laureata in Lingue e Letterature Straniere con una tesi in Letteratura Africana. Lavora presso lo Sportello Protezioni Internazionali dove dà sostegno ai rifugiati politici che giungono da noi. Collabora a progetti contro le Mutilazioni Genitali Femminili in Italia e in Africa. Ha pubblicato la raccolta “Sopravvento” con Raffaelli Editore. Col presente libro va ad esplicitare gli anni dedicati al lavoro che svolge quotidianamente. A questo punto lascio la parola all’amica Francesca Serragnoli che ha curato la prefazione dell’insieme: “C’è una chiarezza nel mondo, senza confini, chiamata sofferenza. Vicina o lontana che sia, ne siamo impastati nel corpo e nello spirito dalle origini del mondo. Franco Loi, in una sua poesia, cito a memoria, scriveva: ‘ogni volta che mangio, qualcuno muore’. Immagino si riferisse alle notizie del telegiornale. Ecco, questo libro non sono le news di prima pagina raccontate con gli occhi della poesia. Non è un libro furbo che ha trovato un argomento ‘commerciale’ (l’esagerazione non politicamente corretta è per capirsi). Certo, il primo commento, buttato lì, è quello che il dolore che il libro tocca (con mano) è quello che percorre un fiume sotterraneo, parallelo: i migranti, i futuri rifugiati, i derelitti. Noi lo vediamo alla televisione e, come gli operatori, ci mettiamo i guanti di gomma. Ma non è questo, ripetiamo, il commentino che può torturare la mente e la pancia. Lo scontro principale è su ‘cos’è umano’ e la chiave di lettura, credo, sia ‘non si assomigliano / se non nel silenzio’. […] Barbara ha avuto la forza di non isolare il dolore come ultimo pungiglione (sotto teca) che definisce quello che è una persona. Il pungiglione sono i volti, con i loro orizzonti vasti come quelli dei grandi paesaggi collinari che ci circondano. Non si tratta di contenere la sfilata di profughi che entrano nelle nostre città, di contare, di classificare, qui c’è una grande similitudine che sorregge tutte le nostre poesie: la migrazione in questo mondo, senza confini, dolorosa, turbata, il grande viaggio della vita spinto dal desiderio di stare meglio, cioè della felicità […]”.

Gian Ruggero Manzoni

 


 

IL CICLO DELL’ACQUA – PARTE DEL RISTAGNO di Michele Miccia, Edizioni L’arcolaio.
Recensione di GIAN RUGGERO MANZONI

Michele Miccia, nato nel 1959, vive e lavora a Parma. Ha cominciato a scrivere da adolescente e a venticinque anni ha deciso di smettere, cestinando quanto sin lì prodotto. Nel 2006 ha ripreso a fare poesia. Dal 2006 al 2011 è stato inserito in varie antologie poetiche. Nel 2011 ha iniziato a pubblicare le sue raccolte, tutte con le Edizioni de L’arcolaio. Così dice l’amico Gian Carlo Baroni di quest’ultima raccolta di Michele: Giunge alla quinta tappa l‘importante progetto poetico di Miccia intitolato complessivamente “Il ciclo dell’acqua” che si articola in diversi momenti e fasi tuttora in fieri. L’ultima recente raccolta, “Parte del ristagno”, procede in continuità con le precedenti (“Parte di sotto”, “Parte di dentro”, “Parte di mezzo” e “Parte di fuori” – alcune delle stesse ho avuto modo, anch’io, di segnalarle qui – nota di GRM), ma allo stesso tempo evidenzia una autonomia che la distingue, una personalità che la differenzia. Il complesso e ampio progetto dell’autore si dimostra dinamico e in evoluzione, capace di generare nuovi capitoli collegati fra loro, ma dotati di una parziale autosufficienza. I cinque libri sono accomunati dal tema del corpo, ma possiedono ciascuno una parola chiave che li contraddistingue. Nella prefazione a “Il ciclo dell’acqua – Parte del ristagno” Giovanna Piazza nota che nelle novanta liriche che compongono il libro l’immagine dominante è quella della porta. La porta è una metafora intramontabile e potente, ricca di significati anche opposti, di sfumature e di suggestioni. Ha a che fare con il rapporto duale fra dentro e fuori, inclusione ed esclusione; la porta si apre e si chiude, accoglie e respinge, divide e collega, è limite invalicabile e varco spalancato, è soglia che separa e che unisce. La porta è un oggetto formato di parti (cardini, serratura, ingranaggi); attorno alla porta cresce una casa con le sue stanze e camere, i suoi arredi, con la famiglia che vi abita, le persone che la frequentano e i corpi che si incontrano e si toccano. Quelli di Miccia sono versi visionari che si esprimono con toni misurati e distaccati e che sanno trasformare incubi, labirinti, allucinazioni, angosce e paure, in originale e profonda poesia. Dalla raccolta: “Ogni giorno m’invento / un passato da celebrare con l’aggiunta / di nuovi particolari, un’infanzia / che non ho avuto, una giovinezza / adulterata, alberi sconosciuti / a cui soltanto ora do un nome, / elaboro una liturgia per / evocare i miei antenati perché / diffondano sul mio / conto voci credibili / che mi saldino a un prestigio di padre, / conta che questa storia giunga / a me millenaria, consolidata / per il buon nome dei miei ricordi”.

Gian Ruggero Manzoni