Dall’Africa c’è chi fugge altrove per evitare il carcere in quanto dissidente del regime del paese natale. (Dall’Eritrea).
In Africa c’è chi va, a più riprese, per aiutare le comunità dell’Etiopia a sollevare un poco la condizione degli indigeni alle soglie di una povertà assoluta (e semmai, quando l’italiano torna in patria si vede costretto a vessazioni di ogni tipo da parte dell’azienda in cui lavora, avendo egli preso un’aspettativa non pagata).
In africa c’è chi va per prestare lavoro presso una multinazionale e scopre l’orrore di una vita in dissoluzione della metropoli nigeriana.
Ecco una serie di scorci narrativi del romanzo “Una stagione in Nigeria”, del cesenate Stefano Zanoli. Un libro che riporta in maniera puntuale e drammatica la sub-esistenza al limite inumano.
Buona lettura!
Un romanzo
UNA STAGIONE IN NIGERIA
Stefano Zanoli
L’arcolaio – Prose, collana diretta da Enza Valpiani
(Maneggiare Lagos col logos…)
una guida emotiva alla più grande città africana
1_
Qualche anno fa, allo scoccare della mia terza decade, ebbi l’occasione di dare una svolta importante alla mia vita; lasciare tutto per trasferirmi là dove, seppur vagamente, pensavo di poter trovare tutto e, forse, diventare un uomo adulto a pieno titolo; lasciare l’Europa, mondo immutabile e sicuro, per andare in Africa. Fu così che me ne andai a sbattere il muso in un risvolto ancor più doloroso del normale principio di realtà. Una sberla da rimanerne intontito, paralizzato nell’afasia d’un groviglio informe di parole, dentro una tempesta d’emozioni, impietrito e agitato allo stesso tempo; uno di quei momenti in cui la vita pare abbia preso una piega drammatica “irreversibile”, si sia come cristallizzata in una vibrazione monocorde, nella frequenza di un eterno presente, privo di futuro e orfano di un passato lontano. Il mio male d’Africa personale, pensavo per consolarmi, fissando le folte fronde d’un ritorno d’agosto, cresciute in un sol colpo dalla mia partenza equinoziale.
…
Perché andare a sud? Il nord è misura, contenimento, proporzione, bianco e nero, silenzio ed equilibrio; il sud invece è dismisura, dispersione, caricatura, colore, rumore, squilibrio. Nell’ I Ching volgersi verso sud significa viaggiare; è così che decide di fare Ismaele all’inizio della sua avventura; mentre Junger parla di una età in cui il mistero appare raggiungibile al cuore solo nello spazio, solo nelle bianche macchie della carta geografica; e pour l’enfant amoureux de cartes et d’estampes, così per me, andare a sud significava voltare le spalle alla minacciosa bonaccia dell’ordine costituito. A Lagos, ex-capitale amministrativa della Repubblica federale di Nigeria, la più grande città dell’Africa occidentale, megalopoli-formicaio del nuovo millennio, ci andavo per lavoro, convinto che del resto “lavorare” fosse il modo migliore per viaggiare.
2_
Un sabato, di pomeriggio, verso Victoria per la partita di calcio tra espatriati, poco prima di Satellite Town, le auto davanti, in fila, hanno preso a scartare veloci, tutte a destra. Al centro è disteso, normale alla mezzeria, un corpo umano rinsecchito dalla combustione infilato in due gomme nere. Il nuovo geologo ancora fresco di barbetta europea, si volta per interrogarmi a bulbi dilatati; e io che rimando ad Aloy, il mio autista Ibo, dall’alto delle mie tre settimane, la question:
“Quello cosa?…”
“Quel morto! Là, in mezzo alla strada…”
“Ah… quello ? A thief, probably”.
A Okokomaiko un corpo, a faccia in giù, è rimasto tre giorni al centro della carreggiata, in un punto dove mancava il divisorio. Ogni volta che ci passavamo di fianco, in auto, chiudevo gli occhi e mi voltavo. Aloy scartava impercettibilmente a lato. Il corpo, a pochi passi dal bus stop, in un luogo pieno di gente, sopra un mucchietto di immondizia, faceva parte anche lui della massa di rifiuti. La gente indifferente attraversa la strada a piedi, a pochi metri, evitando di calpestar la massa putrescente.
3_
Oggi che mi racconto questo, tutto è dimenticato, stampato in filigrana, secco nelle parole; ma allora, all’ingresso della expressway, al ritorno da Ibadan, quando fermi osservavamo i venditori di animali seccati sotto sale (che strana specie… con zampe-ali, quasi castori-vampiri volanti), i miei nervi erano scossi da tutto, sfibrati sotto il sole… Allora ero in quell’età che ancora tutto può crollare in una notte, e con i mesi accumularsi uno sbucciamento che penetrando fino al derma dell’anima lascia il segno in balia d’un frusciare di farfalle…
Di Stella ho già spiegato la parabola. Resta da dire il triste minidramma del nostro ultimo incontro. Si era presentata al camp inaspettata, una sera che pioveva, il cielo lampeggiante.
***
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Qualche anno fa, allo scoccare della mia terza decade, ebbi l’occasione di dare una svolta importante alla mia vita; lasciare tutto per trasferirmi là dove, seppur vagamente, pensavo di poter trovare tutto e, forse, diventare un uomo adulto a pieno titolo; lasciare l’Europa, mondo immutabile e sicuro, per andare in Africa. Fu così che me ne andai a sbattere il muso in un risvolto ancor più doloroso del normale principio di realtà. Una sberla da rimanerne intontito, paralizzato nell’afasia d’un groviglio informe di parole, dentro una tempesta d’emozioni, impietrito e agitato allo stesso tempo; uno di quei momenti in cui la vita pare abbia preso una piega drammatica “irreversibile”, si sia come cristallizzata in una vibrazione monocorde, nella frequenza di un eterno presente, privo di futuro e orfano di un passato lontano. Il mio male d’Africa personale, pensavo per consolarmi, fissando le folte fronde d’un ritorno d’agosto, cresciute in un sol colpo dalla mia partenza equinoziale.
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Perché andare a sud? Il nord è misura, contenimento, proporzione, bianco e nero, silenzio ed equilibrio; il sud invece è dismisura, dispersione, caricatura, colore, rumore, squilibrio. Nell’ I Ching volgersi verso sud significa viaggiare; è così che decide di fare Ismaele all’inizio della sua avventura; mentre Junger parla di una età in cui il mistero appare raggiungibile al cuore solo nello spazio, solo nelle bianche macchie della carta geografica; e pour l’enfant amoureux de cartes et d’estampes, così per me, andare a sud significava voltare le spalle alla minacciosa bonaccia dell’ordine costituito. A Lagos, ex-capitale amministrativa della Repubblica federale di Nigeria, la più grande città dell’Africa occidentale, megalopoli-formicaio del nuovo millennio, ci andavo per lavoro, convinto che del resto “lavorare” fosse il modo migliore per viaggiare.
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Un sabato, di pomeriggio, verso Victoria per la partita di calcio tra espatriati, poco prima di Satellite Town, le auto davanti, in fila, hanno preso a scartare veloci, tutte a destra. Al centro è disteso, normale alla mezzeria, un corpo umano rinsecchito dalla combustione infilato in due gomme nere. Il nuovo geologo ancora fresco di barbetta europea, si volta per interrogarmi a bulbi dilatati; e io che rimando ad Aloy, il mio autista Ibo, dall’alto delle mie tre settimane, la question:
“Quello cosa?…”
“Quel morto! Là, in mezzo alla strada…”
“Ah… quello ? A thief, probably”.
A Okokomaiko un corpo, a faccia in giù, è rimasto tre giorni al centro della carreggiata, in un punto dove mancava il divisorio. Ogni volta che ci passavamo di fianco, in auto, chiudevo gli occhi e mi voltavo. Aloy scartava impercettibilmente a lato. Il corpo, a pochi passi dal bus stop, in un luogo pieno di gente, sopra un mucchietto di immondizia, faceva parte anche lui della massa di rifiuti. La gente indifferente attraversa la strada a piedi, a pochi metri, evitando di calpestar la massa putrescente.
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Oggi che mi racconto questo, tutto è dimenticato, stampato in filigrana, secco nelle parole; ma allora, all’ingresso della expressway, al ritorno da Ibadan, quando fermi osservavamo i venditori di animali seccati sotto sale (che strana specie… con zampe-ali, quasi castori-vampiri volanti), i miei nervi erano scossi da tutto, sfibrati sotto il sole… Allora ero in quell’età che ancora tutto può crollare in una notte, e con i mesi accumularsi uno sbucciamento che penetrando fino al derma dell’anima lascia il segno in balia d’un frusciare di farfalle…
Di Stella ho già spiegato la parabola. Resta da dire il triste minidramma del nostro ultimo incontro. Si era presentata al camp inaspettata, una sera che pioveva, il cielo lampeggiante.
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