ARTICOLO PUBBLICATO SU “POESIA DEL NOSTRO TEMPO

DICEMBRE DALL’ALTODI VITTORIANO MASCIULLO

 

 

 

L’impressione di familiarità col verso, la ridondanza nella mente, un fare parte della stesura/lettura del poema,  nell’intravisto, che è imprevisto dello sguardo che rilegge, versi e passaggi fissati nella mente -come anti-immaginario fatto di parole- che ritornano inevitabilmente spezzati, o dilaniati, come inseriti in un monologo continuamente interrotto da lacerti ulteriori, che siano eventi della storia recente o ricordi dialogici  generati dall’estensione quotidiana del dramma dell’io, che si vorrebbe allontanare dalla bio/grafia ma che sempre ritorna, per vie traverse, dall’altro cui tendiamo, cui ci approssimiamo per errore, o per amore.

Questa l’intelligenza raffinata del libro che oggi vi presentiamo, Dicembre dall’alto (L’Arcolaio, 2018) di Vittoriano Masciullo, una poesia che ovunque ricomincia, nel ripensamento, rigenerantesi nelle infinite introiezioni del lettore, l’una diversa dall’altra, poiché ad ognuno viene dato il compito di riconoscersi nelle miriadi di frammenti di cui si compone il testo, ricomposizioni o campionamenti da  Bachmann, Bataille, Bene, Celan,  Deleuze, Paolo Di Tarso, Euripide, Fiumani, Mancinelli, Reta, Rosselli, Flavio Giurato, per citarne alcuni; delazioni, appropriazioni debite che dicono del dire plurale di una certa condizione contemporanea, in cui pubblico e privato finiscono per coincidere, dissipandosi l’un l’altro nella crisi di presenza, o impresentabilità dell’io, per cui, citando lo stesso autore “nessuno rimane comunque“. Ma, come sottolinea Cecilia Bello Minciacchi nella post-fazione, “più che ostentare le rovine, Dicembre dall’alto scrive una storia personale all’interno di una storia collettiva. Il frammento campionato qui non è usato tanto (o almeno non solo) per dimostrare il dissanguamento e il dissesto della nostra cultura, l’usura del linguaggio, la banalità delle espressioni comuni, gli inganni della comunicazione, risponde piuttosto a un forte desiderio di reazione e di ricostruzione in forza di parola, un desiderio vitale anche nelle sofferenze, nelle angosce, nelle smanie del sé e nei suoi tradimenti,  nel richiamo che <<l’abisso fa dell’abisso>>“.

Qui di seguito una  selezione di cinque testi che molto ci raccontano della significazione anche sonora della poesia di Masciullo, di una cadenza ellittica, di un’incurvatura frantumata del pensiero, immersa com’è in un itinerario psichico e linguistico di rara tensione e tessitura.

 

da Dicembre dall’alto ( L’Arcolaio, 2018).

ne viene una sola dilazione
fossero quelle amate nuvole dove non
anche sepolti io e te io e voi tutti
ne viene che si aspettano i corpi in movimento
non i convogli fermi al bivio ne viene
di un dolore felicissimo
necessario comprensibile un altro
venti aprile millenovecentosettanta
senza pensare più
ai tuoi capelli
a tutti i capelli cenere

*

l’elioterapia degli occhi azzurrissimi
selce nel cambia la lingua al buio
delle cose finite cambia le
cose infinite senza pace
imparando a tornare
da e col tempo i suoi occhi
malatissimi nel dirmi io qui senza te penso
(e ci voleva molto a scrivermi
cose così per forza l’esperienza della
malattia in età adulta) ma elena
stanca che per tutti è penelope e tacita non
ma soprattutto queste parole adesso
foglie innervate dal sapore nostro
vedi la bicicletta il giardino davanti casa
la salvezza a portata il non odore
insegui non interrompere
ora nessun infarto il
nebivololo ogni mattina
aspettala rispettala
chiamala con le parole migliori
nella sola lingua rimasta (la prima lingua
madre) perdici la vita
nei suoi azzurrissimi
e niente

*

e poi la mano perfetta
stringe l’imperfetta forma
mia nel e non ha
più importanza la resurrezione
nemmeno l’emocromo
i leucociti che procurano la mia lisi
indifferente a quest’arena
un solo abbraccio immensurabile
nessuna vendetta questo solo
indicibile esiste porta via
e nella strada solo la stretta
sua azzurrissima
ma niente

*