DEVIATI di Matteo Zattoni, Edizioni L’arcolaio.

Riflessione di Gian Ruggero Manzoni

Zattoni, quale poeta, è giovane autore ormai noto a livello nazionale. Con “Deviati” egli si cimenta quale narratore di racconti. Il suo è un libro contrassegnato da tinte forti tramite il quale si affrontano tematiche dure e reali, con piglio sicuro e pulito. Le storie raccontate parlano della “devianza” nella sua ampia casistica: anoressia, bullismo, crisi di identità, nevrosi, fino alla folle deriva di un dichiarato piacere di uccidere. Il lessico usato è incisivo al punto che, a momenti, può sembrare quasi cinico, in particolare quando affronta i “demoni” della contemporaneità. Scrive il sempre bravo Stefano Guglielmin nella sua prefazione: […] nel restituirci le disarmonie del moderno, lo scrittore Zattoni risponde rimpolpando la gamma delle tonalità linguistiche e tematiche lasciate ai margini dalla sua poesia. […] Ad accomunare tutti i personaggi è il loro vivere emotivamente precario entro un orizzonte sociale selettivo, poco disposto a sostenere i più fragili o i meno conformisti. “Deviati” è anche la storia di chi appunto va alla deriva, dopo aver deviato, per scelta o disperazione, dal solco dell’omologazione; forse nell’ultimo racconto s’intravede una ripartenza all’insegna di una libertà nuova, pur cominciata dal letto di un moribondo, nel segno dunque della perdita. Non a caso, credo, quel racconto chiude il libro, libro inaugurato da alcuni versi di Vittorio Sereni tratti da “Quei bambini che giocano”, distinti da parole come distorsione, devianza, emorragia, corruzione, ossia da quegli strumenti disumani che muovono i nostri destini sociali e sui quali Zattoni ci mette in guardia, rivelandosi autore fortemente civile laddove sembrava, nei versi, dominare in lui la dimensione privata, per quanto toccata dagli ossidi della civilizzazione.

Gian Ruggero Manzoni

 

Gian Ruggero Manzoni recensisce “Variazioni nel clima” di Carolina Carlone.

Articolo tratto dall’account FB dell’autore dell’articolo.

 

 

Così, di solito, viene presentata quest’ultima raccolta di Carolina: “Salirò su un’incudine // mi farò ferro e martello / per forgiare / ancora una parola // che suoni d’umano”. Già questi versi indicano il timbro che sostiene la raccolta … una raccolta poetica di impegno e di morale che Carolina Carlone ci consegna nelle sempre eleganti pubblicazioni de L’arcolaio, casa editrice dell’amico Gianfranco Fabbri; una raccolta arricchita dagli interventi di Luciano Benini Sforza, di Mariangela Gritta Grainer e di Nevio Casadio, con, in copertina, un’opera del sempre bravo Roberto Pagnani. La Carlone, con questo libro, denuncia, con grande forza espressiva, la disumanizzazione in atto nella cosiddetta civiltà del consumo, materialista e idolatra, che già Pier Paolo Pasolini aveva bollato come pervasa da un falso progresso. Anche la natura, nella sua raccolta, richiede ad alta voce un bisogno di vita ed esige quel rispetto e amore che si deve a tutto ciò che ci circonda. Del resto un poeta, se vuole fare del suo meglio nel denunciare i mali del tempo che vive, non può che «ribellare» le proprie parole. Il risultato è ciò che viene definita: poesia civile. L’Italia ha avuto, nel dopoguerra, una poesia civile di notevole valore, come ci ricorda anche l’antologia “I nostri poeti”, a cura di Stefano Guerriero (Edizioni dell’Asino). In questo Paese il silenzio è la più spietata e frequente forma di “assassinio”, quindi chi si pone e dice, con senso e senno, non può che essere ammirato, qualunque sia la sua estrazione politica. Per questo si parla del libro della Carlone come avente caratteri letterari forti nei quali si colgono un gusto indiscutibile, una conoscenza profonda della materia e la spiazzante dimostrazione di come la poesia sappia raccontare, con chiarezza e pathos, la vera storia etica e sociale di tutti noi.

 

Gian Ruggero Manzoni