Matteo Zattoni, autore in poesia, è personaggio ormai noto a livello nazionale – uno dei migliori della generazione della prima metà degli anni Ottanta. Con “Deviati” si cimenta come narratore di racconti -un tipo di scrittura che, a nostro avviso, gli si staglia molto efficacemente addosso -.
Dirà meglio di noi Enza Valpiani nell’ottimo editoriale proposto in quarta di copertina e che qui sotto riproduciamo. Pubblicheremo anche alcuni estratti dell’eccellente postfazione di Stefano Guglielmin, il quale dà un suo punto di vista molto convincente.
Un libro a forti tinte, questo di Zattoni, che affronta tematiche dure e reali con un piglio sicuro e pulito.
Buona lettura!
L’editoriale di Enza Valpiani:
Le storie affrontano la “devianza” nella sua ampia casistica: anoressia, bullismo, crisi di identità, un brulicare di nevrosi, fino alla folle deriva di un dichiarato piacere di uccidere.
Si potrebbe quasi parlare di profetica distopia, sapendo che i racconti della presente raccolta risalgono ad una decina di anni fa: in gran parte le vicende dei protagonisti riecheggiano infatti le cronache attuali e disegnano una topografia dell’odierno disagio sociale ed esistenziale.
L’autore ammanta tuttavia di un lessico incisivo e ispirato persino la dimensione cinica e violenta del delitto, delegittimandolo. I “demoni” moderni non hanno più, come nella letteratura russa di fine Ottocento, un legame ontologico con la religione, ma la scelta di un registro ironico assume la funzione di sfatare i falsi miti e i luoghi comuni, porgendo al percorso della sofferenza lo spiraglio di una non impossibile redenzione.
Porzioni dell’intervento di Stefano Guglielmin:
Al poeta Zattoni, che ama contenere gli attriti del mondo, ricreandoli nella misura mossa del verso, tracimando solo di rado in lessici infernali e del sottobosco sociale, più petrarchesco, insomma, che dantesco, nel restituirci le disarmonie del moderno, lo scrittore Zattoni risponde rimpolpando la gamma delle tonalità linguistiche e tematiche lasciate ai margini dalla sua poesia. Per quanto anche i suoi versi nascano da una volontà prosodica, trattenuta dalla formula lirica, che finalmente in Deviati può realizzare, modulandola di racconto in racconto: ecco allora l’affastellarsi paratattico e gergale di un’anoressica, l’ossessione descrittiva di un ricercatore o di un angelo assassino, oppure, ancora, la narrazione poetica di un fiore in boccio, entro una storia di metamorfosi dove, al Dio che punisce la disobbedienza, si sostituisce la salvezza offerta dal chirurgo plastico.
(…)
Ad accomunare tutti i personaggi è il loro vivere emotivamente precario entro un orizzonte sociale selettivo, poco disposto a sostenere i più fragili o i meno conformisti. Deviati è anche la storia di chi appunto va alla deriva, dopo aver deviato, per scelta o disperazione, dal solco dell’omologazione; forse nell’ultimo racconto s’intravede una ripartenza all’insegna di una libertà nuova, pur cominciata dal letto di un moribondo, nel segno dunque della perdita. Non a caso, credo, quel racconto chiude il libro, libro inaugurato da alcuni versi di Vittorio Sereni tratti da Quei bambini che giocano, distinti da parole come distorsione, devianza, emorragia, corruzione, ossia da quegli strumenti disumani che muovono i nostri destini sociali e sui quali Zattoni ci mette in guardia, rivelandosi autore fortemente civile laddove sembrava, nei versi, dominare in lui la dimensione privata, per quanto toccata dagli ossidi della civilizzazione.
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