NOTA A CHIARO DI TERRA DI ANTONIO PIBIRI
Con Chiaro di terra Pibiri vuole rompere i diaframmi dell’oscurità. Ma non per tornare a un improbabile “chiaro di luna” e lì affidarsi a ormai apatiche certezze veritative. No. Pibiri ci sta comunicando che siamo davanti a qualcosa come un gioco d’ombre, in cui proprio attraverso il messo-in-ombra, appena illuminato dalla terra, rende accessibile il senso della vita. È il passo nella penombra della verità, nel cammino della sapienza, nel gesto dell’amore, ma – ancor prima – nell’abbacinamento dell’ombra. Perché è qui che Pibiri ci vuole portare: all’illuminazione che viene dall’ombra. La poesia è mossa da un’originaria meraviglia e da sempre la sua domanda è in cosa consista un’ombra. Ebbene, questo libro mostra come il pensiero-che-interroga metta in discussione innanzitutto se stesso. Incessantemente Chiaro di terra si fa paladino della compresenza essenziale di luce e oscurità, compresenza che si costituisce come principio germinativo della parola poetica, tanto da giungere a sovvertire la lingua che essa stessa parla. Ciò accade in modo particolare nella sezione “Visioni dell’ultimo”, dove il poeta ipotizza che la luce sia in fondo quella cosa che nasce dall’ascolto di una voce. Ecco cosa ci rivela Pibiri. Ci indica che se la poesia poco sa della luce è perché pur
avendola sempre pensata non l’ha mai pensata a partire dalla terra, dall’evento della terra, dal suo chiarore.
Flavio Ermini
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