NOURI AL JARRAH
UNA BARCA PER LESBO
Un altro autore in lingua araba. E’ il siriano Nouri Al Jarrah, tradotto dal nostro Gassid Mohammed. “Una barca per Lesbo” è una raccolta dal tono solenne, con grande forza evocativa, che ci pone davanti la sciagura della povera terra di Damasco, oggi così martoriata, sia nelle cose che nel nobile suo popolo. Questo massacro di povera gente incolpevole è esemplarmente descritta dal poeta e molto bene spiegata, nella suo intervento, da Mohammed.
Riportiamo in calce alcuni passi di Gassid, farciti dalle poesie mirabili di Nouri Al Jarrah.
Buona lettura!
L’inizio dell’introduzione.
“La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere” dice Italo Calvino. Ed è forse quello che ha fatto Nouri Al Jarrah. Egli ha riassunto, sulla carta, quella che è la condizione della sua patria, la Siria; guerre, morti, migrazioni, annegamenti, e la distruzione di un intero paese. Ciononostante, il poeta non ricorre a parole forti e taglienti, parole che possono ferire la sensibilità e affondare come lama nella carne. Al contrario, vi è un lessico ben selezionato, sottile e leggero, capace di rivelare, davanti all’immagine del lettore, le scene più “orrende”, senza dover ricorrere a parole “orrende”. Questa è una delle caratteristiche principali di questo libro.
Le poesie.
Ho visto un lampo a est
l’ho scorso con la coda dell’occhio
era a ovest
ho visto il sole nel suo sangue
bagnato
il mare agitarsi
e il passo dai libri rubato.
**
TAVOLA GRECA (Il richiamo di Saffo)
Come sei arrivato al mio grembo, figlio mio, come ha
fatto l’onda a respingerti lontano da me, lasciandoti là, sulle
spiagge di Smirne, angelo senza ali.
**
Dalla Laodicea abbiamo portato il miglior vino in borracce di
pelle, il miglior vino, uva nelle barche dei ciprioti, portato sulle
spalle dei marinai di Creta. L’uva della Sham, portato da Darayya, Duma e
dalla valle delle siriane con le mani unte di profumo.
**
Voce
Mi vuoi nelle vesti del martire
nell’acqua del tuo silenzio
sdraiato;
la tua volontà
che io sia
un fiore
nell’occhiello della camicia.
***
Dalla sezione TAVOLA (III)
Il mio sangue non mi vuole vivo,
il mio sangue mi sfugge,
defluisce dalle vene
mi fa vedere i miei tremiti.
Dalla mano trabocca il mio sangue,
macchio pietre, finestre e alberi.
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