Un altro autore esordisce nel catalogo de L’Arcolaio: si tratta del milanese Andrea Leone con la sua raccolta “Hohenstaufen”, che giunge a noi dopo diverse raccolte pubblicate, tra cui: “L’ordine”, uscito nella collana “Niebo” diretta da Milo De Angelis. Il nostro poeta è anche autore di un saggio collettivo: “La sposa barocca” (Lieto Colle, 2010) e di due romanzi: “Kleist” (Ventizeronovanta, 2014) e “Il suicidio di Holly Parker” (ultima edizione per Ventizeronovanta, 2016).
Vi proponiamo la prefazione al testo, scritta da Lorenzo Chiuchiù, e due testi estrapolati dalla raccolta.
Con l’alternanza di prose poetiche e di versi acuminati e nervosi, Hohenstaufen drammatizza la personale mitologia di Andrea Leone: il potere, la morte e lo Streben si muovono come protagonisti di un palcoscenico sempre sul punto di crollare. Le stirpi e i continenti, grandezze e tempi che esigono l’incalcolabile si susseguono in una lotta perpetua e in una caduta che sembra senza fine. Ossessivo e circolare, il libro ritorna sul dettato come se qualcosa di decisivo – il senso della grandezza e del dolore – dovesse essere trattenuto e nello stesso tempo, per non essere mitigato con la memo- rialistica o il diario, andasse spazzato via con gesto sovrano e disperato.
Eppure tutto accade all’interno di un entusiasmo essenziale: “la violenta primavera” è popolata dalle “divinità degli esordi” e “la potenza straniera” diventa a tratti riconoscibile: “Mia nata un giorno / nella perfetta bellezza / che ora ti è maestra. / Mia sorella della meraviglia / cha hai creato / ciò che era sempre stato. / Mie lacrime al culmine del nome”.
Le forme iussive e i vocativi incantati e terribili sono la manifestazione e insieme la revoca delle potenze dell’estremo: “le bellezze perfette”, “l’età divina”, “la festa della sentenza”, “la dinastia definitiva” sono l’espressione di un destino ma anche l’invocazione di chi se ne appropria. È signifi- cativo che queste potenze siano quasi tutte femminili: come evocate e conquistate dalla morte – il maschile der Tod è forse qui più cogente rispetto alla mors – attraversano la scena e nuovamente si eclissano: sono “le idee tremende”, “le ere della carne”, “le scienze maledette” che nella morte e contro la morte chiedono sovranità.
E in questo senso, con Hohenstaufen, Andrea Leone compone una sorta di araldica poetica: il nome del casato svevo che ha segnato la geopolitica di Europa diventa una specie di vox media: il nome si carica di fregi e ambizioni, di gioie improvvise e violenze. Come se le azioni narrate fossero tutte con- trassegnate da un sigillo arroventato, il nome Hohenstaufen diventa l’emblema per tutto ciò che aspira al definitivo: per la totalità o per il nulla.
Senza malinconia né condiscendenza, con una durezza battente e riarsa, Hohenstaufen è un canto d’addio e di ricongiungimento.
Lorenzo Chiuchiù
1.
So che gli Dèi morirono
nella matematica della casa millenaria,
e in tutti i mattatoi del mattino.
So che gli eredi si estinsero
nei musei degli eventi,
negli incendi estremi,
calcolando il pericolo antico.
So che i più celebri
eroi veri di ieri partirono
al mare del martirio,
al mare dell’addio,
quando il primo libro vivo
si infiammò del breve
brivido delle epoche.
Ma questo è il trionfo
questo è il trionfo di tutti
i teatri tramontati.
Questo è l’eterno
genio di chi guardò in uno specchio.
Questo è l’innamoramento.
Questo è il monumento del momento.
Questo è l’immenso
segreto che recito.
Questo è l’esercito che eredito
dentro lo specchio perfetto.
Questa è l’alta
matematica innamorata
che incanta la condanna,
attraversata
la porta bianca di Martina Franca.
In voi giovani nomi,
in voi eroi
dei corpi dei giorni,
in voi sismografi delle rivelazioni,
in voi spaventi dello spirito,
in voi compagni
di quella età divina
di cui sempre ebbi notizia,
in voi io conobbi
ogni scuola scandalosa della gloria.
Sto per essere
abbandonato al sacro
massacro del calendario e del miracolo.
Dopo di voi
dopo di voi io
dopo di voi io non sono
dopo di voi io non sarò
mai più guarito dall’essere nato.
**
2.
Secoli degli splendidi spaventi,
secoli dei regni eletti,
divinità dell’età,
divinità della verità,
divinità fiorite
dalle vite antiche,
voi siete
i calendari immortali.
Voi siete
i respiri degli imperi entusiasti
e la giovane perfezione
nelle memorie gloriose
tornate alla luce del sole.
Dea della vittoria
in quest’ora senza colpa.
Essere esattamente
il nuovo trono,
il morbo del mondo,
e queste ultime
recite attese da sempre.
Mia così vicina
algebra amica della nobile vita.
Mia nata un giorno
nella bellezza perfetta
che ora ti è maestra.
Mia sorella della meraviglia
che hai creato
ciò che era sempre stato.
Mie lacrime al culmine del nome.
Mio Dio
mio Dio infinito
mio Dio infinito che ebbe inizio
sulla soglia della tua storia.
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