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Daniele Serafini da oggi impreziosisce la nostra collana “I codici del ‘900”. Autore di lunga data e di grande eleganza, è stato un importante redattore della casa editrice Moby Dick – fondamentale realtà culturale del territorio romagnolo, purtroppo chiusa recentemente per la scomparsa di Guido Leotta e Giovanni Nadiani, colonne importanti di quella società -. Daniele fornisce in questo suo ultimo progetto una summa della sua opera poetica, chiusa con una raccolta inedita che prende il titolo di “Polvere di stelle”. Traduttore finissimo, è tuttora figura notevole nel campo della poesia internazionale. Ci piace, qui, farlo presentare da Davide Rondoni e Angelo Andreotti, i due poeti e critici letterari che hanno seguito con riflessioni acute questo suo nuovo prodotto editoriale.

Un libro per molti versi memorabile, “Tra le radici e l’altrove”. Lo consigliamo con vivo interesse, orgogliosi di averlo nel nostro catalogo.

Una prima manciata di testi.

Da “Paesaggio celtico”  (1993)

Elogio dell’ombra

Là dove estremo

si apre il paesaggio

Ravenna gravida giace

orfana di sale e di vento.

Ma se oltre la piana

altra vita s’adombra

e trae conforto,

è la parola schiva

che qui cerchi

non la frase ampollosa

dove il vuoto s’addensa.

***

Fin de siècle

Da limpidi clivi del Galles

dove il mare balugina

e il vento fende straniero lo sguardo,

il cuore volsi oltre il confine

ma non vidi che impronte dissolte

assorte tracce di perdute stagioni.

Poi, inattesi, giunsero tersi

gli anni del rimpianto

e la rinuncia mi sembrò vana,

l’esilio una fede mal riposta.

Per quanto testimoni di rovine,

non è più tempo

di recitare la morte

***

Da “Luce di confine” (1994)

Il trionfo della luce

I giorni crescono in un intrico di colori

che non conosce l’esilio della luce

ferma tra stalattiti, forme

inermi, assenze.

I tuoi gesti riparano

dalla caduta del sole,

dal silenzio del corvo.

Ombra che si fa ombra e incanutisce

nella stretta dei corpi.

Il sentirti è vedere, oltre le apparenze.

***

Da “eterno chiama il mare” (1997)

Estate normanna

Di te ho veduto il prodigio,

dolce estate di Normandia,

assorto in ampie distese

di covoni e di pioppi.

Di te ho bevuto l’esilio del mare,

adagiato sui tuoi fianchi leggeri,

in attesa che la pioggia d’agosto

liberasse la terra accidiosa.

Di te ho gustato il sangue salmastro,

che riposa su alture dolenti,

dove i corvi oscurano l’aria

e un rilucere di croci bianche

accoglie anche il vento marino –

sola voce ad urtare il silenzio.

Colleville, agosto 1994

***

Intermezzo

Frammento dalla prefazione di Davide Rondoni

Serafini, avventuroso pudìco

Di questo libro, auto-ironico e malinconico monumento a oltre trent’anni di poesia, mi ha convinto la forza visionaria, quasi opposta al generale tono malinconico da esule che Serafini ama mettere sul tavolo come abile giocatore. Non fidatevi. Le apparenze ingannano, o meglio in arte anche le apparenze sono un linguaggio. Qualcosa da interpretare. Serafini me lo ricordo col foulard, anni fa. Un poeta col foulard. E allora, ok, potremmo fermarci a dire che questo è un buon libro di poesia, umanissima, civile e malinconica di un uomo intelligente e sensibile, che sente correre il tempo sulle rive del mare e talvolta in luoghi lontani del mondo.

Una voce colta, raffinata da letture e passeggiate e da una certa esperienza di cose del mondo. Un padre aviatore, una madre amatissima. Come se fosse il piccolo referto di una vi- cenda tutto sommato minore.

Ma no, c’è qualcosa qui che ci avverte. Dall’anima del poeta o che cosa Serafini ha incastrato tra mente e cuore, tra voce e verso, tra gli occhi e il foulard, arriva un avviso. Guarda bene. Piccolo referto un cacchio. E vicenda minore non vuol dire niente. In poesia sono tutte vicende importanti. E non perché sia più o meno importante il poeta ma perché lì, a lui, il mostro magnifico dell’esistenza ha chiesto che gli venisse data voce. E questa è la cosa importante. Solo la sventura è muta, diceva la Weil. E se c’è una voce, allora…

“Per quanto testimoni di rovine, non è più tempo

di recitare la morte”.

(…)

Altri testi:

Da  Dopo l’amore  (frammenti a due voci(2004)

II.I

La spiaggia di Ouistreham, vasta e vaticinante. Il sole scende obliquo e si nega nel mare. Tu che giaci in rarefatta nudità. In te accogli salsedine e voci. Il tuo corpo è ardore di luce, sussulto che la sete placa e riaccende.

II.II

Ho tagliato i capelli, messo il profumo delle migliori occasioni, ho indossato il tailleur cremisi e sono uscita come se dovessi incontrarti.

Seduta in un caffè del centro, ho atteso che l’ombra del ricordo mi si posasse accanto, come una farfalla insolente, una vecchia abitudine – un battito d’eternità che oggi io mi regalo, nonostante la pioggia, nonostante il dolore.

***

VII.I

Un figlio che non mi hai dato; un figlio che non ti ho dato. La paternità della scrittura non riscatta dalla sterilità dell’Io. E tuttavia anche le parole, quali figli, hanno occhi che ti scrutano e ti giudicano – anche le parole se ne vanno nel mondo, orfane e solitarie.

***

Da   Quando eravamo re   (2012)

Tornando a Campoformido

(A mio padre, aviatore)

Tornando a Campoformido

è come se la tua foto,

quella con la tuta da volo

stretto ai compagni di squadriglia

e il volto dischiuso al futuro,

non fosse mai stata scattata.

Tornando a Campoformido

è come se, all’improvviso,

tu uscissi dall’album di famiglia

per ritrovare, nella sera illune,

un bagliore di giovinezza

una luminescenza d’ali

che non si piegano al vento

né al flettersi del tempo.

Tornando a Campoformido

è come se, d’un tratto,

tu avessi di nuovo vent’anni

e mi chiedessi, con un sorriso complice,

di staccare le nostre ombre da terra

per prepararci insieme

a un decollo senza paracadute.

***

Polvere di stelle

(Poesie inedite)

Su queste colline

(Pensando a Gabriel Rosenstock e a William Wall)

I poeti amati

i poeti incontrati

discendendo calanchi

lungo vene di gesso

I poeti tradotti

forzando la lingua

a un nuovo statuto

dai riflessi di vite.

I poeti serviti

tradendone i suoni

hanno nomi scolpiti

su queste colline

Nomi di cose vere

come un rosaio

o il muro sbrecciato

che sorride alla luna.

Brisighella, 2014

***

Sillabario

Questo taglio di luce

che lacera la valle

e distende lo sguardo

oltre la macchina da presa

nel fruscio di folaghe e canneti

disegna percorsi sconosciuti:

lo specchio d’acqua

eletto a sillabario

l’orizzonte in fuga

in un vortice di vuoto

il cuore fattosi palude

nell’eco dei miei passi

sospesi in un punto

che allo stesso istante

è cominciamento e approdo –

salutazione angelica

tra l’origine e la foce.

***

Un frammento dalla postfazione di Angelo Andreotti

Daniele Serafini e la poetica della lontananza

Selezionare poesie per un’antologia significa, per l’autore, costringersi a riflettere sul proprio percorso poetico per mostrarci quali poesie per lui sono ancora “attuali”; ma, rovesciando la direzione dell’osservazione, consente a noi di conoscere anche quali per lui non sono “più” così fondamentali. La selezione in fondo è una dichiarazione di poetica, e in quanto tale fa chiarezza sul suo intero percorso (almeno fino a un oggi che è già ieri), e ci aiuta a mettere a fuoco i temi attorno ai quali ancora muove la sua ricerca, ripresentandosi a volte in forme o significati o punti di vista differenti, che sono i cambiamenti di postura, di passo, di direzione.

Fin dalle prime due raccolte poetiche compaiono alcune parole chiave che resteranno una costante per Daniele, come per esempio memoria, esilio, oblio, morte, nostalgia, confine. A queste parole, usate con maggior consapevolezza nelle raccolte successive, se ne aggiungono altre tra le quali congedo, e le varie declinazioni di partire e restare che, unendosi alle precedenti, configurano sempre più un orizzonte poetico riassumibile in un unico sentimento, quello della lontananza, e allora se è vero che «raccontare la lontananza è dare presenza a quel che è sottratto alla presenza» (A. Prete), allora Daniele è poeta della lontananza.