Eugenio Vitali: non leggerti al plurale
Eugenio Vitali, LA TRACCIA, L’Arcolaio 2016
Propongo di leggere questo libro a partire dal testo finale p. 77.
La vita mi sfugge,
non riesco a perforare
la parola.
L’ombra
appassisce i dadi,
appena lo scarto
di una nascita.
Ricordo
il segreto
dell’oro delle polveri
ma tutto si perde,
la morte raggira il sarcofago.
È scrittura stilata sul limite, riassuntiva, forse, per questo più libera.
Non si avverte una struttura portante cercata, quanto, piuttosto, grumi, ricorrenze e urgenze.
Molte le poesie dedicate ad amici, parenti, figli. E poi la guerra, la campagna, figure portatrici di etica; persino un maestro. Una traccia, insomma, attraversa queste poesie, e la traccia è il battesimo del poeta.
Sempre una traccia
dentro me.
Il tempo è solo un intarsio,
pensavo,
e con i miei abiti vestivo il tramonto,
lo portavo a ballare.
pag. 45
Tutto questo avviene perché lo sguardo ha avuto il tempo di imprimersi sulle presenze avvertite per la prima volta nel mostrarsi di segni, di splendori nella luce, di brusìi nell’ombra. Lo sguardo è stato lungamente esercitato fino alla frequentazione di una geometria formale, necessaria a contenere un certo andamento surreale, dentro le maglie di un micro racconto.
Bellissimi, dunque, i testi in cui Eugenio Vitali rievoca la guerra, i figli, ma anche certi passaggi assertivi ed esortativi, a dirci di una parola vitale, alimentata dall’esperienza piuttosto che da stili e modelli letterari.
Leggiamo, per esempio, il ricordo di un’infanzia al sole, nell’aia della vecchia casa, in cui il maresciallo passa a chiedere se tutto va bene; e l’episodio assume il significato di un epos, di un mondo che forse poteva ancora insegnarci il senso e la dispersione, parole utili per il nostro presente, non per il progetto di un’intera vita.
Senza astuzie ma nell’umiltà delle cose che sanno di non durare.
Sebastiano Aglieco
*
Lo chiamavano Sfrondazil,
mio padre.
Mi sentivo insonne e alto come lui.
Aveva gli occhi cromati d’azzurro,
sul volto ogni compimento,
le ginocchia piegate dalle ore
come un cosisia.
Guerra del Carso, guerra d’Africa
ma più memoria di sé.
Sul birocchio scalava giornate,
il suo respiro
scremava
il dolore del mondo,
diceva che altro non bisognava aspettarsi.
Quando se ne andò
non servì una corona presa
da un golgota,
la morte aveva la pelle secca,
si mise sull’attenti
per quell’uomo
a cui era bastato un cucchiaio di sole.
I famigliari lo baciarono,
lui disse
“è assuro morire da vivi”.
p. 45
*
Non leggerti al plurale,
leggiti all’inverso,
slacciati le mani,
togliti il cappello.
Un’invenzione dell’ombra,
dà credito al sole.
Balla
sulla tua ignoranza,
serra la mano, il fiore, le astuzie.
Sarai altro
prima di voltarti.
p. 49
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