solchi

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Un nuovo poeta entra a far parte del catalogo de L’Arcolaio; si tratta di Maria Allo, autrice nata in provincia di Messina ma residente a Riposto, presso Catania. La raccolta che ora propone al suo pubblico s’intitola “Solchi – La parabola si compie nei risvegli” e porta in sé la bella prefazione della nostra cara Anna Maria Curci. Maria è stata inserita nella collana diretta da Fabio Michieli: “FuoriCollana”

Benvenuta tra noi, Maria!

L’inizio della prefazione di Anna Maria Curci:

Allegoria della tensione: Solchi. La parabola si compie nei risvegli di Maria Allo

 

«La parabola si compie nei risvegli»: questa frase, tratta da un verso e che costituisce la seconda parte del titolo della raccolta di Maria Allo, consolida, man mano che si scorrono i componimenti qui rag­gruppati, il suo ruolo di punto di riferimento costante, lanterna alla lettura e, insieme, di mistero che non può e non vuole essere ridotto a una formula di spiegazione, per quanto acuta, per quanto illumi­nante, per quanto prossima allo stato delle cose la spiegazione possa essere. Le manifestazioni del ter­mine parabola si articolano e si mescolano: narrazione esemplare e allegoria, curva e andamento ellittico si gettano, non di rado precipitano, tendono al compimento in quei risvegli anch’essi polisemantici. Si destano i sensi, si desta la coscienza, la rivelazione si cela e si mostra, risale in superficie, colta in un contrasto, in una effusione, in una esplosione di colore e materia.

La tensione è narrata, afferrata, attraversata; è una tensione che alimenta lo scorrere del tempo e che nu­tre la condizione umana, che scuote la natura, con tremende deformazioni o improvvise trasfigurazioni all’occhio attonito delle creature. Vale la pena soffermarsi, dunque, su ciascuno di questi elementi che innervano la voce poetica di Maria Allo.

(…)

 

***

Alcuni testi

 

“I Rosi” era mio padre

Questo di lui ricordo

Si ergeva solenne

[Attenta figghitta

l’acqua d’aranciara non si bivi] gridava

Durante l’inverno il temporale

Ingrossava quei torrenti

L’acqua scrosciava giù dai calanchi

E quando il grande pino fu abbattuto

Rimasi a guardare

La bocca aperta e il naso per aria

Senza fiatare.

Aveva mani gigantesche il grande pino

Nodi di vene gonfie e l’occhio buono

Come un vecchio frate.

[Rimani fin quando mi sveglierò]

Accade d’inverno

Quando dietro le vibrazioni del vento

Sento con la voce burbera e calda

La mano di mio nonno

Bagliori bianchi attraversano il cielo

Gelide le trasparenze dell’etna si perdono

In lontananza

Ma non si vede il mare

O forse semplicemente

La parte più profonda del mare

 

***

Fai di te un segno senza ambiguità

Scandisci il tempo che ti resta

Come riparo e lascia scivolare le radici dissonanti

Del tuo alfabeto

A sfiorarti senza nome è uno stralcio errante

Un fruscio di acqua nella brezza

Ma non c’è sintassi che traduca

La notte ha il sapore di more silvestri

Nel colore di un pensiero che muore

Così metto a fuoco il silenzio bianco

Per lasciarti essere alba furiosa

Le parole sono destinate a finire

Con il suono della voce

La luce e il buio delle nostre esistenze

Dovremmo mentre è ancora giorno

Strappare dai nostri volti trasparenti

La maschera dell’ombra che s’allunga

Su queste carte dai versi mai finiti

Dovremmo anche cadendo

Distillare l’essenza

Della luce dentro il cerchio

 

 ***


È questo vuoto a farsi corona

Filo di sole albero muto

Imbrigliato nel solco di un giorno

Chiami luce lo schianto di nebbia

Ma a crollare è la terra senza fondamenta

Dimmi può la parola antica e nuova

Darci consistenza

I nostri giorni adesso dentro il tempo

Fanno di noi deserto e vuoto

[Trincea di anime ferite]

Abisso di luce dentro un abbandono

Trasversalmente

Con la coda dell’occhio

Futuro passato presente

In un altro mutamento

 

***

Franta stamane l’alba [come grani di melograno]

Trabocca da inverno smemorato

Ogni scheggia del giorno è nebbia stinta

Ogni eco del cielo è solitudine di mare

Il senso di ogni andare

Sarà forse questo silenzio solidale

Allarga le braccia

Fino a sciogliere in canto

Il frastuono assordante

Delle nostre esistenze

“Basta il silenzio a farne un altro mondo

 

***

Un altra fetta di prefazione

 

Quando concede a se stessa la prima persona singolare, la voce poetica chiama a sé altre voci, eviden­ziate dal carattere corsivo; sono la voce, in dialetto siciliano, del padre, innanzitutto: «[Attenta figghitta  / l’acqua d’aranciara non si bivi]», la voce dell’altra metà dell’io, quella dubbiosa, oppure risoluta nel rivolgere un invito: «[Tu associa i miei scritti alla tua pace]» o, ancora, messaggera di lapidarie constatazioni: «A un tratto crolla la terra senza fondamenta».

Accanto al contrappunto, alle interlocuzioni, sono anche le variazioni stilistiche ad animare la scrittura e, di conseguenza, la lettura. L’attacco del terzo componimento della raccolta, che richiama i salmi bi­blici («Sembra vincere l’odio in questo mondo. / Vedete con quanta ferocia e astuzia / Esulta nel disse­tare la sua sete») si affianca pertanto, in uno scorrere mai interrotto da segni di interpunzione, al tono evocativo («Questo di lui ricordo»), a quello visionario («Un cerchio di Tempo piange nudo su un sas­so») e alla vera e propria invocazione («Così ti invoco / Ti invoco e ti chiamo anima»), mantenendo sempre viva la tensione anche nel modulare canti e asserzioni.

È l’alba, rifugio e promessa di rivelazione, che può essere «franta», non la tensione, che può essere atte­nuata, ma resta irriducibile. Irriducibile resta pure il mistero. Su questo principio, come affermato in apertura, non è dato esprimere dubbi. Solo l’ossimoro di un canto sgorgato dal tacere condiviso lascia scorgere un barlume di speranza, attraverso un futuro che, più che previsione, è ipotesi anelata: «Il sen­so di ogni andare / Sarà forse questo silenzio solidale / Allarga le braccia / Fino a sciogliere in canto / Il frastuono assordante / Delle nostre esistenze».

 

 

Anna Maria Curci