Prefazione di Claudio Bagnasco
Come nei due precedenti lavori (Il ciclo dell’acqua – Parte di sotto e Il ciclo dell’acqua – Parte di dentro), anche in questa raccolta poetica Michele Miccia ritiene il corpo unico strumento di conoscenza: non a caso, tra le parole più ricorrenti troviamo sangue e carne, oltre ad acqua, quest’ultima eletta a portavoce della resistenza del mondo alle umane interpretazioni: “questa acqua incolmabile”, p. 1, “L’acqua è incomprimibile”, p. 34.
Ma ne Il ciclo dell’acqua – Parte di mezzo lo sguardo di Miccia si restringe e, nel contempo, si acuisce. Centrale non è più l’indagine del corpo in relazione, appunto, al mondo, bensì quella della relazione tra corpi.
Ci troviamo innanzi a un concetto tanto semplice quanto implacabile: ogni rapporto poggia, in fondo, su una mancata coincidenza, giacché due corpi non possono trovarsi in un medesimo istante nella stessa porzione di spazio (“Il tuo spazio e il tuo tempo/ non sono stati nostri”, p. 5). Ma ogni mancata coincidenza libera il desiderio, declinabile ora in una rincorsa, ora in una memoria, ora addirittura in una sorta di pedinamento affettuoso: “Tu esci e io ti seguo dopo/ a tua insaputa per/ indovinare la/ scia”, p. 4.
I rapporti tra corpi, per loro stessa natura, non solo non saranno mai mediati dal ragionamento, ma dei corpi avranno –talora – l’intempestività e l’irruenza. Potranno insomma essere rapporti, fuor di metafora, dolorosi: “Arrivasti come una / fitta improvvisa al fianco”, p. 12; “Un corpo contro corpo / io e tu”, p. 20.
Da questa prospettiva, ancora una volta la poesia di Miccia rimane ben al riparo da qualunque retorica, da qualunque stolida tentazione sentimentale. Anche le relazioni amorose, giocate in questo piano di costante asincronia, non potranno giungere ad alcuna stabilità. Ciò a cui forse una coppia può ambire è una complicità nella corsa indefessa verso un fantomatico punto d’equilibrio (“Non possiamo fermarci / tu ed io, dobbiamo sempre / procedere come una / bicicletta”, p. 11).
La comunione parrebbe davvero impossibile, per le figure messe sulla scena da Miccia. Eppure, nella coda della penultima poesia, si leggono due bellissimi versi, proiettati verso un orizzonte inedito. Nel quale l’altro (ma è un altro orizzontale o verticale? È discendenza o trascendenza?) riesce a scorgere l’unità laddove noi percepiamo la dualità: “solo un terzo distante / coglie un canto all’unisono”, p. 89.
Come se ogni rapporto, nell’immediatezza così simile a uno scontro, trovasse il proprio senso profondo altrove. Come se ogni rapporto fosse un atto di altruismo assoluto. Un sacrificio di sé.
Alcune poesie tratte dal libro:
Il vaso è stato rotto,
le parole scappate,
fluidi tu e io scorriamo
in questa acqua incolmabile
che sempre ci precede,
riflettente di luci
che dilatano le
città fino agli estremi
effetti del martirio,
noi circoncisi con
l’oblio del suo fango,
scanditi esattamente
dalle feste di cui
non conosciamo le
nascite e l’eroe che
le fissò col suo sangue,
i sacrifici che
infine a noi seguirono,
strappandoci dagli astri.
***
Non possiamo fermarci
tu ed io, dobbiamo sempre
procedere come una
bicicletta che scorre
senza cadere per
minuscoli e invisibili
aggiustamenti di
traiettorie e tensioni
a formare una scia
senza ripensamenti.
***
Alla fine del mio
corpo, dove più fluido
è il mio sangue e certo
più propenso a sbagliare,
ci sei sempre tu come
un mare abbacinante
che chiude l’orizzonte
a ogni barca che vi
si inoltri, qui la mia
pelle è una successione
di suoni non capaci
di durare, la premi
con le tue dita e spuntano
vuoti di melanina,
macchie bianche su cui
non attecchisce il sole.
***
Trattieni il seme a oltranza,
nel caso di una lunga
carestia saprà
il tuo corpo dove attingere
per la sopravvivenza
prosciugandolo in sangue,
ti ingolfi per restare
a terra, avere più
peso per sprofondare
in un delirio di
pienezza, io invece voglio
frammentarlo e carpirtelo
in tanti appezzamenti
di latifondo per
tutte le bocche della
futura discendenza.
***
Attraverso la tua
pelle sono visibile,
se esco non sono nulla,
ho una mia forma solo
in te, con me scadrà
la tua vita se credi
d’espellermi, devi
tenermi col guinzaglio
così non capiranno
chi porta l’altro, se
ti ammali ti accudirò
a condizione che
tu accetti la mia forma,
anch’io accetto la tua,
ci estingueremo insieme
con doppio peso morto.
***
Ti sei fatto cremare
per occupare meno
spazio di quello già
esiguo che tenevi
in vita, l’urna con
le tue ceneri mi
è ora vicina e tutte
le sere parlo e mi
confido coi tuoi resti
che adoro più di quando
fosti carne e ossa, mi
rispondi senza l’enfasi
della gioventù e io sto
bene ora che hai placato
le tue mire, per questo
equilibrio d’amore
innalzerò la nostra
casa comune, muri
di mattoni legati
con un impasto di acqua
calce e queste tue ceneri
che mi hai consegnato.
Rispondi