la traccia

LOGO ARCOLAIO

UN NUOVO AUTORE ENTRA IN CATALOGO ARCOLAIO.

SI TRATTA DI EUGENIO VITALI

 

Il suo nuovo libro si intitola La traccia e si fregia della prefazione di DAVIDE RONDONI.

 

Eugenio Vitali ha una lunga carriera alle spalle, come recita la bio-bibliografia, che qui sotto volentieri riportiamo:

“Eugenio Gino Vitali è il poeta ravennate che tra il ’69 e il ’70 sorprese l’Europa con il Libro d’Affissione (manifesti di grande formato con cui tappezzò di poesie i muri delle grandi città italiane, dal Veneto alla Sicilia), un’operazione inedita per l’epoca e che aprì la strada a fenomeni imitativi, nel nostro paese e all’estero.

Classe ’34, dodici raccolte alle spalle (“Concerto Atomico”, per le edizioni Cappelli, gli valse nel 1984 la vittoria al Premio speciale Dino Campana e “Testata d’Angolo”, per le Edizioni dell’Orso, quella al Premio Internazionale Moncalieri nel 2006), liriche tradotte in Francia, Germania e Polonia, e un’intera silloge tradotta nella Repubblica Ceca da Zdenek Frybort – l’indimenticato traduttore de “Il Nome della rosa” di Eco – Vitali ha raccolto i consensi formali della grande critica da Bárberi Squarotti a Roberto Roversi (due le raccolte di Vitali uscite per i tipi della “Libreria Palmaverde”) da Maria Luisa Spaziani a Gino Ruozi a Nevio Spadoni.”

 

Adesso si pubblicano, qui sotto, alcune poesie, alternate frammenti della prefazione di

DAVIDE RONDONI.

 

Buona lettura!

Buon arrivo in ARCOLAIO, caro EUGENIO!

 

***

 

Abito al pianterreno,

non ho scale per salire.

 

Divento leggero

più del sonno che incanta.

Oltre al mio nulla

purifico il cinismo,

balbetto un alfabeto,

mi sorpasso come un clandestino.

L’alba si isola

nel greto,

lasciando integre

disordinate macerie.

 

**

 

San Francesco

 

Le campane di San Francesco

lampeggiano secoli,

stanno a guardia di lontananze

che non potemmo scavalcare.

Nel giorno che si nasce,

nel giorno che si diventa,

quelle campane raccontano

di genti dalle ostinate

strette di mano,

testamenti

con memorie di un sogno.

 

E la nebbia su Ravenna si attarda

rateizzando la vita.

 

**

 

 a Roberto Roversi

 

Vestivi

di un solo colore le bandiere,

per te la Storia montava lenti spesse.

Nebbie fuori dal portone,

la pietra levata

all’edificio.

Il sorriso

di Elena.

Se anche una sola persona perde,

– mi dicevi –

tutti restiamo sconfitti.

 

 

 

14 settembre 2012

 

**

 

Vitali arriva all’incrocio.

 

di Davide Rondoni

 

“Eugenio Vitali come ogni poeta trae in inganno. O meglio trae a un altro livello delle cose, del discorso.

I toni di malinconia, i frammenti di ricordi, la notte, Raven- na coi suoi ori marini, perduti nei secoli … Questo libro potrebbe sembrare un gesto sospeso tra memoria e nostalgia. E lo è, certamente, come si vede in alcuni dei testi più belli e vividi:

III

A sera conclusa, /la casa/ diventava suono /nell’aia. /Ci appoggiavamo / su panche di vento, / mia madre un libro di favole, /sul suo volto un’ombra /lasciata intatta dal sole.

 IV

Il maestro Marcello / era un re, / scriveva il tempo, / portava da casa la vita,/ Nel suo pensare fioriva /la terra. / La scuola / cancellava la matita, / avevamo ancora luce per stagnarci.

È poeta che cerca in tale aria memoriale l’esatta dizione delle cose, come un traccia di luce nella penombra. Quelle “panche di vento” …

E altrove, in molti punti del libro, Vitali fa rivivere, con un gesto quasi da pittore bizantino, momenti che baluginano come stelle nella notte del tempo. Un tempo che, appunto, toccato dalla poesia, non spegne quei momenti. Come la intensa poesia per il fratello. O quella per il padre.”

 

**

Scrutami la fronte

e incorona le notti.

Lascia alle righe

assetate

i ricami dell’ombra.

 

Adesso mi credi:

sono il tuo nemico.

 

**

Per Franco, mio fratello

 

Un campo aperto,

il biglietto d’ingresso che i giorni

acquistavano per giocarsi.

Vivo da vivo

come le stagioni che raccontano i frutti.

Mille persone in una

per lasciare all’altro la scelta.

Guidavi scalate,

portavi zaini di polvere.

Mai una pausa,

nuove voci alla casa dei giorni,

un calcio a un pallone,

ti specchiavi in un volto malato,

correggevi compiti e menti,

rincorrevi le stelle e le donavi.

 

**

 

“…Ma i poeti, dicevo, sono ingannatori. E forse i poeti romagnoli ancor di più. Non perché giochino o, come certi altri poeti un poco da salotto, perché cerchino consenso delle menti più che dei cuori con un uso frequente dell’ironia. No, Vitali non gioca mai. Se vi è “ludus” nel gesto di poetare si ha nel gesto quasi bambinesco, nello stupore della ragione di poter adoperare parole che superano se stesse, quasi come elastici che al gioco si rivelino più intrepidi delle intenzioni di lancio. Un gioco dunque come superamento stupito del linguaggio, o come afferma in modo bruciante un antico libro di inni: “in hac verbi copula stupet omnis regula” – in questo gesto amoroso della parola stupisce ogni regola.

Vitali non cerca l’annullamento della regola (nella poesia co-me nella vita, direi) ma il suo “stupore”.

L’inganno di un poeta autentico è sempre inganno d’amo- re. E anche in questo caso, Vitali, mentre ci dona da pagine su cui sembra invitarci a un primo completo – non per mole ma per capitoli toccati –, in realtà ci fa vedere che il punto vivo, la forza vera di tale autoritratto sta in una “sfuggenza”. O meglio, in una sempre irriducibile alterità.”

“Sarai altro / prima di voltarti”

 

**

 Dalla sezione  La traccia

(dicembre 2012 – marzo 2013)

 

Un treno

lasciava dighe di fumo,

le rotaie smerigliavano specchi.

I vecchi avevano viaggiato

per annullare una corsa finita.

Fagioli come bistecche

sollevavano la loro fame.

Un barbone passava,

il treno fischiava e lui se ne infischiava,

salutava il convoglio

dove finivano le voci.

 **

 Ripresi a sfidarmi fra lampi di lepri.

Arrivarono

Lorenzo, Cico, Erba e Vetro di Legno.

Per non sciuparlo,

tenevamo il sole nell’ombra,

per merenda c’era la fame.

Il giorno della Cresima

ci misero in fila,

ci dissero che l’Eterno non si sarebbe più

allontanato.

 **

A Maria Luisa Spaziani

Restauro il bacio

che non sapemmo vivere.

Per capirci, la luce si tramutava in vento.

Restavo al cospetto delle onde,

i tuoi occhi distendevano lampi.

Insieme,

in una zona franca,

dentro a un cerchio di giorni,

la nostra prova

incastrò la vita.

“Eugenio… ora

non posso risponderti”.

**

“Sarai altro / prima di voltarti”

 

“…O altrove, con accenti quasi da invenzione quasi alla Majakovskij:

XIV

Nel mio corpo / vita e tempo. / Una donna / mi raccontò “ho accarezzato la notte, / in due faremo vivere anche il nulla”. / Ma io correvo/ avanti, / spegnevo ancora / i colori delle biglie.

XV

Sempre una traccia / dentro me. / Il tempo è solo un intarsio, / pensavo, / e con i miei abiti vestivo il tramonto, / lo portavo a ballare.

Intendo che c’è in Vitali, accanto e inestricabile alla sua forza di presenza qui e ora, di hinc et nunc della storia e del presente, accanto a quella forza che – secondo la lezione di un Roversi a lui caro, amico e maestro – lo fa legare la speranza di tutti al destino o alla sconfitta di uno, così come gli fece inventare e propalare le poesie-manifesto, un’altra forza. C’è una energia non alternativa e non di segno opposto, di certo non egocentrica, ma attenta a considerare il grande mistero dell’io”. Dell’uomo che pronuncia “io” nell’universo e si rende cosciente di una differenza vertiginosa e misteriosa. Una identità e alterità sperimentate secondo quello che ha scritto il genio di Charleville, Arthur Rimbaud, che gridò al centro della poesia moderna, sconfiggendone ogni sicumera espressionista, egoista e avanguardista di bassa lega: “j’est un autre” – io è un altro. O che mormorò: non sarebbe esatto dire “io penso, ma io sono pensato”.

Intendo che sulle estreme propaggini del suo lavoro, Vitali, in quanto autentico poeta, coglie che nel suo stesso dire e essere-al-mondo si adempie un prodigio di “feritoia” di presenza che al tempo stesso parla d’altro:

“L’invisibile non lascia impronte, solo presenze”

dice in un fulminante aforisma della seconda parte del libro.

In questa sorta di doppia uscita del suo sguardo, verso il tessuto personale e collettivo di una storia (a volte cronaca minima) personale e comunitaria, e d’altra parte, verso un mistero del destino personale e della sua necessità di una parola aperta all’infinitamente altro, ecco, qui, in questo incrocio, o anche croce, sta e canta anche a denti stretti, e mormora ora la poesia di Vitali.

E con questa “x” segna il posto che gli spetta come poeta e segna il nostro ascolto con un marchio, un sigillo. Un ardente pro-memoria.”

“Perché temere la notte? Fa da apprendistato alla luce”

 

Davide Rondoni