

Barbara e la scoperta di cosa è umano
I migliori poeti mi hanno insegnato che le poesie più importanti sono quelle che se ne fottono di essere belle poesie. Quelle in cui, come accade incontrando certe persone, la bellezza è la forza stessa con cui sono presenti, non “una” delle qualità, tantomeno un elemento di decoro
Avevo visto crescere e scritto la prefazione al precedente libro di Barbara Herzog, emigrata ventenne al contrario dalla Svizzera all’Italia, ero certo della potenza della sua parola. Che allora, concentrandosi ancora in una sorta di ricerca del proprio volto, forse in qualche movimento si attorcinava. Ma c’era la bellezza come forza. E ora, in questo “Se non nel silenzio” di cui ho visto la lavorazione, quella cosa che vedevo germinare è fiorita e esplosa. Chissà se quando compilò la tesi in “Letteratura africana” immaginava che il suo contributo alla poesia sarebbe passato anche attraverso l’atto umile di dare “letteratura” a una parte di umanità africana senza più parole…
Questo è un bellissimo, violentissimo libro. Di una donna che per lavoro si è trovata a mettere le mani e la faccia nella emergenza umanitaria, ovvero -perché questo termine fa schifo ed è consunto- nella vita sbattuta e ferita di tante persone. Ascolta le storie di questi uomini e donne -spesso oggetto di violenze brutali- che arrivano al suo ufficio per motivi di prima burocrazia. È la soglia tra l’inferno e la vita civile. E dove, appunto, la civiltà prima ancora che esser rappresentata documenti da compilare, nelle procedure che vorranno dire forse un primo passo verso un riscatto, è lo sguardo, la sofferenza, la compassione di Barbara. Non a caso la poesia è fiorita lì, su quella soglia. Primo fiore di una civiltà. Troverete pagine che mozzano il fiato. Cose che “si sanno” ma che la sua poesia, spesso intesa come minima, discreta regia di silenzi e di interruzione di frasi, ci ridanno con il rilievo che meritano. Perché qui sta il punto e la “giustizia” di questo libro. Ci è toccato leggere in questi anni una montagna di brutte poesie sulla immigrazione, sugli annegamenti, sulla pena umana di una situazione che sta cambiando il mondo. Ecco, quell’immane dolore non merita quella flaccida montagna di parole retoriche. Ma queste parole tese di una donna che lavora. Come ho visto anche nel libro di Franxesca Barra sulla storia di Remon, “Il mare nasconde le stelle”. L’immigrazione non è un fenomeno che si può leggere in modo univoco e banale, e certo sta cambiando la faccia d’Europa. Beh questo libro finalmente ci offre una visione di queste storie, di questa faccenda. Lo fa con efficacia anche perchè nasce in una cornice ben precisa. Che non è la sola commozione, ma il duro lavoro quotidiano, l’ufficio. La dinamica interna del libro, diviso tra le storie, i volti, le situazioni su cui la Herzog trova versi bellissimi, e il suo essere una donna che poi torna a casa, ha una famiglia, compie anche un altro dovere, e poi ogni tanto vola pazza in autostrada con la musica ad alto volume, ecco, questa dinamica garantisce quel principio di realtà che offre la vera materia della poesia, mai nutrita della sola emozione come molti credono e praticano.
Con asciuttezza svizzera e soprattutto femminile, la Herzog ci dà resoconti in prosa e in versi che tagliano l’anima. La sua regia di silenzi e parole, di mezze frasi riportate, ci offrono l’incontro con il sedicenne, la infermiera violentata per due anni, e tante persone con accade il miracolo dell’incontro, come lo chiamava Pavese: “ogni parola/ un confine disciolto”.
“Cos’è umano” dice il primo testo. Lo dice così. Non si capisce se è una domanda, una affermazione, una presa d’atto davanti al mare di dolore che arriva. Non si capisce bene se è la malattia o la “guarigione” di cui parla nella stessa pagina. L’umano. Forse non è nessuna delle due cose. È quello che siamo. Che occorre conoscere anche quando è inguardabile. Probabilmente, Barbara Herzog non immaginava che questo sarebbe stato il suo destino. Vibra nel libro una salutare impressione come di una che si chiede: come mai sono capitata qui, a occuparmi di questa cosa immensa, di questi storie ?
Incontra persone di ogni tipo e nazione. Sono uomini e donne che “non si assomigliano/ se non nel silenzio”. Siamo uomini che abbiamo questa somiglianza in ciò che non sappiamo dire.
È un libro di poesia ? Ci sono vicende, lunghi inserti in prosa. Ma è un libro di poesia, di quella vera. E tutti dobbiamo ringraziare la testarda, la meravigliosa Herzog.
Davide Rondoni
Alcuni testi:
Nuotare nel dolore.
Sprofondare negli occhi iniettati di sangue rappreso da un anno.
Svuotati. Dalla fiducia nell’anima umana.
Cos’è umano.
Parlare con la voce afona che non ha più nulla da esprimere.
Ascoltare il tremendo silenzio.
Non c’è fine. Continuerò malamente ad incollare frantumi.
Continueranno a frantumare.
Voglio essere invasa dal tonfo sordo che batte ribatte
nella testa china per comprendere.
Comprendere è il primo passo verso la guarigione?
Dal gelo nelle vene dei torturatori.
attaccata al cordone ombelicale
per quattro giorni
a succhiare la vita
da una madre
sfrontata abbastanza
da salvarmi al costo
delle nostre vitesarò un altro segno
perso tra lumini accesi
e realityma io saprò
dove sono natapregherò per i fratelli
rimasti indietro
e per chi mi ha accolta
Per diventare dottore i soldi non sarebbero bastati.
Nella mia zona erano molto attive le milizie del governo. Reclutavano a forza i maschi, e per lo svago prendevano le femmine. Soprattutto le sorelle e le figlie dei maschi che si rifiutavano di eseguire gli ordini.
Qualche volta eseguivano punizioni esemplari.
Si divertivano a mutilare. Ma non in modo da far sopravvivere. Bastava quel poco tempo che serviva per arrivare strisciando piano per terra, fino all’ospedale, con la vagina esplosa. Così noi tutti sapevamo che non bisognava resistere.
Ero una brava infermiera. Ma in certi casi non ci puoi fare nulla.
Un giorno, tornando a casa dal lavoro, mi hanno presa.
Mi hanno buttata dentro ad una stanza buia e puzzolente. Sentivo che c’erano altre donne, ma non potevo chiedere perché avevo la faccia tumefatta e la mascella rotta.
Per due anni sono stata lì dentro.
Ogni giorno quindici uomini entravano nel buio e mi prendevano o a turno, o insieme.
Anche quando avevo ancora la mascella rotta.
Sentivo che attorno a me succedeva la stessa cosa.
Poi, col tempo, hanno incominciato ad usarci anche per i lavori. Così ho visto come hanno sotterrato una donna col grembo gonfio. Viva. Dicevano che fertilizza i campi.
Una sera erano tutti ubriachi. Ormai non ci rinchiudevano più fino a tardi. Ridevano tanto che non si stavano accorgendo di nulla.
Sono riuscita a scappare. Ho corso per chilometri. Ho camminato. Sono collassata vicino ad una macchina.
L’uomo che era dentro si è preso paura alla mia vista.
Mi ha caricata nella sua macchina, e mi ha fatta lavare da sua moglie. Mi hanno dato un vestito. Mi era mancato aver un vestito. Ho mangiato tanto.
Mi hanno detto di un cugino che sapeva come ottenere dei documenti e biglietti per un aereo. Non so perché l’hanno fatto.
Sono arrivata qui.
So che sono in Europa.
Dove sono?
Vi prego, aiutatemi.
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