Dal blog “Poesia, di Luigia Sorrentino” pubblicato in RAI news 24
Damiano Sinfonico, “Storie”
Prefazione di Massimo Gezzi
Sì, sono tutte così le Storie che state per leggere: tutte composte con lo stesso metro della prima, bella poesia sulla terribile telefonata che arriva mentre si pensa a tutt’altro (a Costanza d’Altavilla, in questo caso, e alle miniature medievali che ne illustrano la vicenda). Sono tutti versi-frase, o quasi, quelli che Damiano Sinfonico ha pazientemente cesellato per arrivare all’importante risultato costituito da questo suo libro d’esordio.
Il verso-frase non ha una storia fortunata, nella tradizione italiana: vi ricorre molto Fortini (ereditandolo anche da Brecht), a cui è impossibile non pensare; lo usano Giudici e qualche altro. Soprattutto, non lo usano frequentemente i coetanei di Sinfonico (classe 1987), di solito più orientati o a un flusso poetico sintatticamente elaborato, oppure a forme ibride, spurie, in cui poesia e prosa si confondono e si sovrappongono.
Diciamo allora questo, innanzi tutto: Sinfonico ha scritto un libro di poesia senza vergogna e senza ammiccamenti (almeno formali) alla prosa, e tuttavia questo normalissimo libro di poesia mi sembra originale e convincente quanto pochissimi altri libri d’esordio apparsi negli ultimi anni. Pronuncio questo giudizio guardando a varie caratteristiche della raccolta, prima fra tutte la struttura accuratamente studiata: le Storie di Sinfonico sono disposte in quattro sezioni che per titolo hanno un aggettivo posto tra parentesi: (prime), (aperte), (innocenti), (ultime). Se è evidente che (prime) e (ultime) si rispondono tra loro, per riconoscere una seconda simmetria strutturale bisogna leggere i testi: e si scoprirà che la sezione delle (prime) e quella delle (innocenti) iniziano entrambe con un testo in cui chi dice io riceve una telefonata, mentre (aperte) e (ultime) sono inaugurate da un sogno e un risveglio.
Una telefonata, un risveglio: gesti immediati, momentanei, persino banali, che però a volte si fanno portatori di un senso, incidendo una differenza nel ripetersi dei giorni e delle abitudini. Le poesie di Sinfonico, in fondo, giocano tutte su questa tensione o opposizione sotterranea che interessa tutte le dimensioni del testo: la regola autoimposta del verso-frase, per esempio, potrebbe far pensare a poesie granitiche, sentenziose, persino rigide, e invece queste Storie risultano davvero tali: narrazioni, racconti la cui fluidità sa valicare il punto fermo di fine verso e transitare nei versi successivi, tanto che il lettore non avverte troppe differenze di ritmo e prosodia tra la sezione delle (aperte), prive di punti e di maiuscole, e le altre storie. Ma c’è tensione anche in ciò che Sinfonico ci racconta: momenti, lampi di condivisione spezzati poi da un’interruzione, un’assenza (vedi L’ultima colazione, in place des Vosges…, o Il ponte, oggi è riservato al traffico automobilistico…); oppure desideri proiettati in un futuro che non sa ancora incarnarsi in un presente o in un luogo reali (Una volta ho regalato a un’amica una busta…; Ho sognato un ponte tibetano…); o ancora scene di vita quotidiana in cui gli opposti e le differenze vengono revocati in dubbio, come nella aperta in cui ci si ritrova, dopo una notte passata in bianco, fianco a fianco ma «lontani come due bordi di un cucchiaio», in fondo non troppo diversi dai manichini inanimati allineati dietro una vetrina e raccontati da un altro testo; o come nella lapidaria poesia in cui qualcuno, in ospedale, muore circondato dalle risa, inavvertitamente atroci, di chi fa visita a un altro degente.
Così il libro di Sinfonico, come tutti i libri di poesia più interessanti, lascia in chi lo legge l’impressione di una complessità irriducibile, di un’inquietudine feconda che anima tanto la forma quanto il contenuto, e che i luminosi «anni futuri» antivisti dall’ultimo testo – ci si può scomettere – sapranno ancora mettere a frutto: non resta che leggere queste pagine, dunque, e «aspettare insieme il domani».
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ESTRATTI
DA “Storie” di Damiano Sinfonico, L’arcolaio, (Forlì 2015) EURO, 10,00
(innocenti)
Mi telefona nei momenti sbagliati.
Sempre, chiunque.
Appare il numero sul display, e mi secca.
Lascio correre gli squilli, me ne infischio.
Richiamerà più tardi, nel pomeriggio, o alla sera.
Chiamerà quando ci sarà qualcuno in casa.
La casa diventa una conchiglia.
Squilla, squilla, come fosse disabitata.
Io mi avvolgo nelle sue pareti bianche, e resto in ascolto.
Mi fascia il drin drin continuo, mi circonda come un’aureola.
A volte ho la tentazione di staccare la corrente.
***
Ci tocca questa trafila di vetrine, di manichini spogliati.
Hanno strisce di plastica al posto degli occhi.
Allungano la mano, con borse e foulard sgargianti.
Il loro busto non conosce grasso e vecchiaia.
Dal magazzino scendono e salgono come fiocchi di neve.
Sorridono, scintillano, oscillano, bevendo la luce del mattino.
***
Si è scherzato un’ora intera.
Le risa si propagavano nel corridoio.
Una corrente magnetica.
Altre risa rispondevano dalle stanze intorno.
Si moltiplicavano lungo il reparto.
Poi è entrato l’infermiere, arcigno.
Ci ha rimproverati.
Come potevamo disturbare una tale quiete?
L’orario di visita stava scadendo.
Eravamo agli ultimi minuti.
Abbiamo riso ancora.
Qualcuno stava morendo.
Si presentano due poeti in libreria.
Hanno l’aria tranquilla.
Parlano di dolore, impudicamente.
Il cielo è grigio, si sta bene fuori.
Lascerò questa grotta sanguinante.
Il brillio di una postuma adolescenza. Qualcuno stava morendo.
***
***
alla P.
Che stupida!
Sì sì proprio stupida!
Così mi dicevo.
Ma poi la tua insipienza si trasformava.
E usciva la farfalla della perspicacia.
Damiano Sinfonico (Genova, 1987) ha conseguito un dottorato in letteratura italiana e attualmente insegna italiano presso l’Università di Granada. Collabora con “Poesia” e con il blog “La Balena Bianca”, e è redattore di “Nuova Corrente”. Storie (prefazione di Massimo Gezzi, L’arcolaio, Forlì 2015) è il suo primo libro di poesie.
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Dic 14, 2015 @ 17:23:42